Home - la rivista - scuola e cittadinanza - Un anno in meno, per essere più poveri

politica scolasticascuola e cittadinanza

19/12/2023

Un anno in meno, per essere più poveri

di Ruggero Policastro

Quando, leggendo il testo del Decreto concernente il progetto nazionale di sperimentazione relativo all’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale, sono arrivato al punto in cui si dice che “costituisce elemento necessario dell’offerta formativa integrata la progettazione e successiva attivazione di percorsi quadriennali sperimentali di istruzione tecnica e/o professionale” non ho potuto fare a meno di pensare che i miei studenti di quinta, secondo questa sperimentazione, sarebbero già fuori dalla scuola.

Mi sembra che il punto centrale della riforma, fra le varie novità, sia questo: tentare di ridurre di un anno il percorso scolastico di coloro che sceglieranno (a tredici anni!) di frequentare un istituto tecnico o un istituto professionale.
Proprio insieme a quegli studenti di quinta a cui accennavo prima, poche settimane fa, in classe, ho analizzato una piccola tabella proposta dal loro manuale di Storia, che riportava le tappe dell’obbligo scolastico in Italia, e che di seguito riporto:

 

Legge o decreto ministeriale

Anni di obbligo scolastico

1859

Casati

2

1877

Coppino

3

1904

Orlando

6

1911

Daneo-Credaro

6

1923

Gentile

8

1948

Art. 34 della Costituzione

8

1999

Legge 20 gennaio, n. 9

9

2007

DM 22 agosto, n. 139

10

 

In pratica, da che esiste l’Italia unita, tutti coloro che sono intervenuti a modificare l’assetto della scuola, qualunque fosse la loro posizione politica e il loro intento di fondo, hanno ritenuto che i ragazzi dovessero stare a scuola per più tempo.
Il decreto recentemente pubblicato dal Ministero guidato da Giuseppe Valditara non va a intaccare – e ci mancherebbe altro – il numero degli anni di obbligo scolastico, ma mi sembra che vada in controtendenza rispetto a quello che è finora accaduto nella storia del nostro Paese: per la prima volta, se escludiamo il goffo tentativo della Buona scuola (che invece prendeva di mira i licei), sembra che si dica che a scuola ci si va fin troppo, che il tempo-scuola è tempo perso e per questo bisogna tagliare almeno un anno.

A me invece sembra di starci troppo poco con quei ragazzi. Mi sembra – sarò forse presuntuoso – che con me e con i miei colleghi possano imparare delle cose che altrove non imparano. Credo che i miei studenti debbano stare a scuola, a fare scuola vera, quella che non serve a produrre, quella in cui non si parla di soldi. Poi possiamo discutere di tutto il resto: di un legame più stretto fra la scuola e il mondo del lavoro, di maggiore sinergia con la formazione superiore, dell’ingresso di nuove professioni e di professionisti nel sistema scolastico. È evidente che la scuola deve cambiare, ma un taglio di questo tipo non può che essere un depauperamento.
Fino a che la sperimentazione riguardava solo i licei, ci si rivolgeva a studenti che quasi sicuramente avrebbero proseguito il loro percorso formativo all’università. Non sono comunque d’accordo, ma in quel caso almeno si trattava di offrire un percorso scolastico più snello a delle eccellenze che così, forse, avrebbero potuto mettere a frutto prima le loro competenze. Stavolta invece, coinvolgendo istituti tecnici e professionali, i ragazzi che frequentano scuole di questo tipo vengono privati di stimoli culturali che altrove difficilmente riceveranno. Il compito delle discipline non professionalizzanti, infatti, è quello di arricchirli come persone, come individui che in futuro non saranno solo lavoratori, ma per fortuna anche altro: cittadini, madri, padri, compagni di vita, amici, persone che dovranno saper godere del loro tempo libero. Se si tagliasse un anno di scuola, non è detto che diventino lavoratori migliori, ma è sicuro che sarebbero cittadini peggiori (o si vuole che siano sudditi?), meno capaci di godere del piacere che può offrire la fruizione consapevole di un’opera d’arte, in grado di offrire meno alle persone che li circondano. In pratica, sarebbero più poveri.

Francamente, poi, non avrei nessuna fretta di dare i nostri ragazzi in pasto a un mondo del lavoro che, quando riesce ad ammetterli, spesso li stritola, lasciandoli senza garanzie, violando i loro diritti e offrendogli salari che risulterebbero inadeguati anche se non ci fosse questa inflazione terribile. A proposito, appunto, di povertà.

 

Immagine a fianco: Bettanier, "la tache noir" (1887)

Scrive...

Ruggero Policastro Insegnante in un istituto tecnico e professionale di Firenze

sugli stessi argomenti

» tutti