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30/05/2023

Lettera ad una professoressa. Rilettura per il tempo di un oggi qualunque.

di M. Gloria Calì, Angela Caruso, Anna-chiara Monardo, Raffaella Corsi

 “Lettera ad una professoressa”, come tutti sanno, nasce da una scrittura collettiva, e già questo è un atto di grande forza pedagogica. Pedagogia per giovani e adult*, docenti e cittadin*. Noi, oggi, quattro professoresse della scuola media di quattro parti diverse d'Italia, a 100 anni dalla nascita di Don Milani, pratichiamo la stessa scrittura collettiva, per tenere aperta la riflessione sul modo di fare scuola, e su come bisogna essere, per fare scuola. 

La scrittura nasce da una “bocciatura”, pratica scolastica sempre molto diffusa e gradita ad insegnanti che, dopo che non hanno insegnato, pretendono che gli alunni e le alunne imparino; e non lo fanno, vengono “bocciati/e”, “respinti/e”, diventano “ripetenti”. Già le parole sono pietre, scagliate addosso a quei/quelle minori che la scuola pubblica dovrebbe includere, costruendo in loro il gusto dell’essere cittadini/e. Una certa parte di loro ripete l’anno scolastico “per le assenze”…e meno male che c’è quest’alibi, così l’insegnante si autoassolve, dopo un paio di telefonate alla “famiglia” che cadono nel vuoto della totale sfiducia nella scuola e nell’istituzione pubblica, sfiducia che, è bene dirlo con chiarezza, accomuna docenti e genitori. Se gli/le insegnanti credessero in quello che fanno, farebbero una scuola inter-essante, cioè che sta dentro la personalità e i bisogni di alunni e alunne; nessuno si perderebbe l’opportunità di andare a scuola, perché i pomeriggi a bighellonare sono tutti uguali, mentre la scuola è unica: se si perde quella, non ce ne sarà un’altra. Di questa insostituibile funzione culturale e sociale dovrebbe essere convinta per prima la professoressa; anziché compiacersi di Pierino del dottore, che “scrive bene”, è specchio in cui si riflette il volto piccato dell’adulto/a che esercita la sua supremazia, bisogna partire dallo sguardo di Sandro, che “i professori l’avevano giudicato un cretino. Volevano che ripetesse la prima per la terza volta” o da quello di Gianni, che "I professori l’avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno.

Da cento anni ad oggi è cambiato troppo poco, nella sostanza; in apparenza, i documenti generali e quelli individuali sono carichi di delicati concetti, quali “successo formativo”, “inclusione”, “didattica laboratoriale”, “sperimentazione” mentre di fatto la scuola non ha ancora centrato il suo scopo vero ed è spesso “uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile”. Nei fatti l’istituzione scolastica, in tutte le sue componenti, agisce veramente in nome dell’inclusione, rispettando i ritmi di apprendimento degli studenti, consentendo a ciascuno di loro di crescere nel sapere e nel saper cooperare? Il processo valutativo assume fino in fondo un aspetto formativo, vivendo come parte integrante del fare didattica, attuando uno sguardo proattivo anziché il cipiglio misurativo e sanzionatorio?

Questi gli interrogativi che si dovrebbero porre alla professoressa, pilastri fondamentali per una scuola che intenda agire in nome della Costituzione e, quindi, del bene comune e della crescita individuale.

Voi sapete di poter scartare i pezzi a vostro piacimento. Perciò vi contentate di controllare quello che riesce da sé per cause estranee alla scuola. Oggi questo sistema è illegale” [attenzione: non “ingiusto” o “discriminante”. Nella Lettera si legge proprio “illegale”]. "La Costituzione, nell’articolo 34, promette a tutti otto anni di scuola. Otto anni vuole dire otto classi diverse. Non quattro classi ripetute due volte ognuna. Sennò sarebbe un brutto gioco di parole indegno di una Assemblea Costituente. Dunque oggi arrivare a terza media non è un lusso. È un minimo di cultura comune cui ha diritto ognuno."
Chi non l’ha tutta non è Eguale.”

Perché, se questa illegalità permane, la colpa è essenzialmente della professoressa, che resta ferma “alla ricerca della perfezione. Una perfezione che è assurda perché il ragazzo sente le stesse cose fino alla noia e intanto cresce. Le cose restano le stesse, ma cambia lui”.

La professoressa ignora, con intenzionalità che non stiamo qui a misurare, la condizione di Pierino che si trova, lui, sì, senza responsabilità, affogato da mille fantomatiche e schizofreniche “opportunità”; lui sta in una classe come in una bolla, sospeso in una dimensione culturale che fondamentalmente non gli “inter-essa”, cioè non è in lui. Solo in questo la scuola oggi  è effettivamente democratica, in quanto esclude Pierino e Gianni, pur se in modo diverso, alla partecipazione e alla costruzione degli oggetti culturali, alla formazione di una partecipazione piena alla cittadinanza. Per la nostra cara professoressa l’insegnamento è una forma di controllo per Gianni e per Pierino disorientati in una dimensione comune di non appartenenza in una scuola che affannosamente si preoccupa di alimentare l’utilitarismo e la competizione, trascurando il valore di crescita interiore.

 Cosa era Barbiana se non un grande laboratorio aperto al mondo  in cui presente e futuro si intrecciavano attraverso il dubbio e non la certezza, la domanda e non la pronta risposta,  la partecipazione attiva e non la prestazione, in un processo di interazione tra una guida consapevole e un discente curioso di agire e sperimentare?

Bisogna capire che va acquisita una postura di rispetto dell’individuo che apprende in un contesto collettivo e da questo far discendere ogni scelta didattica.

Bisogna capire che la scuola si fa pensando a Gianni, che non ha la “lingua”.

Le nostre scuole italiane, oggi, non sono popolate da analfabeti ma sono popolate da minori spesso smarriti, affogati nella dimensione dell’irrealtà digitale, gestiti, non educati, da genitori anche loro immaturi: hanno bisogno di una nuova lingua per la cittadinanza, per l’autonomia e la coscienza di sé e del mondo. Nessuno potrà dargliela, se le professoresse, come al tempo di Don Lorenzo, continueranno a specchiarsi nel volto di Pierino del dottore, che frequenta i corsi per il Delf o il Trinity, che programma i robot e usa Scratch. “È bene che Gianni impari a dire anche ‘radio’. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola. “Tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua”. L’ha detto la Costituzione pensando a lui.”

Eccomi… sono la professoressa.
Chi mi scrive? Vedo i volti di Antonio, che ieri sera bighellonava, impeccabilmente vestito Nike, tra i campetti del paese, ma non ha mancato di avvicinarsi a salutarmi; aggiungerei Giovanna, che se parla di suo padre si accende di rabbia e odio e confessa che prenderebbe una pistola quando è arrabbiato con qualcuno; aggiungerei John, che è più grande dei suoi compagni e mi guarda un po' silenzioso un po' ironico con occhi attenti dal fondo dell'aula, e ha fiducia in me. Ecco, nei loro confronti, a me succede di sentirmi la professoressa a cui scrivevano i ragazzi di Don Milani....
Dovrei difendere il mio operato di sacerdotessa del sapere, ma a due settimane dal congedo con la classe terza e di fronte all'evidenza delle mie mancanze, mi sento sempre poco costruttiva. Posso solo dire che il mio problema è sempre stato i ragazzi che la scuola perde.

Scrivono...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media da oltre 20 anni, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".

Angela Caruso Docente nella scuola secondaria di primo grado e dottore di ricerca in "Studi Umanistici" presso l'Università degli Studi "G. d'Annunzio". Membro direttivo del CIDI di Pescara

Anna-chiara Monardo Docente scuola secondaria di primo grado, presidente del Cidi di Cosenza, esperta di educazione linguistica.

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