Home - la rivista - scuola e cittadinanza - Scuola e globalizzazione: diritto e appartenenza

temi e problemiscuola e cittadinanza

29/08/2018

Scuola e globalizzazione: diritto e appartenenza

di Gianna Di Caro

In questi frangenti così delicati e complessi, a fronte del cedimento progressivo dell'etica pubblica e del degrado del dibattito politico, riproponiamo questo saggio di Gianna Di Caro, del 2002. Si tratta di un testo che, dopo la morte dell'autrice, venne pubblicato sul sito del Cidi Torino.

Ci sembra molto importante riproporlo alla lettura e alla riflessione, per l'estrema attualità delle riflessioni e delle indicazioni che contiene, a perenne salvaguardia dei doveri della scuola pubblica (e degli Stati) nei confronti della dignità e dell'emancipazione di ogni essere umano.
E come monito per il permanente rischio che corrono le democrazie di cedere all'oscurantismo e alle derive autoritarie oppure di perdersi appresso alle logiche di mercato.

Ne riproponiamo di seguito in breve alcuni stralci. L'intero testo è scaricabile qui.

 

Diritto allo studio e democrazia
A volte per comprendere meglio un problema del nostro tempo conviene fare qualche passo indietro e vederlo da una certa distanza storica; forse si perdono degli aspetti particolari, ma si guadagna una visione d'insieme. Per questo riflettere sul rapporto tra scuola e globalizzazione oggi significa ricostruire alcuni elementi del contesto in cui il diritto all'istruzione si è andato affermando.
L'istruzione di massa è figlia di due processi congiunti: l'industrializzazione e lo Stato nazionale. La prima ha favorito l'alfabetizzazione, il secondo ha costruito una identità collettiva fondata su un patrimonio di conoscenze e di valori da condividere, facendo della lingua e della storia due veicoli privilegiati di identificazione di appartenenza alla "nazione".
All'interno di questo cammino che si protrae per più di due secoli, da quando la cultura illuministica ha fatto del "sapere" una funzione della emancipazione umana, le classi e i gruppi sociali, esclusi parzialmente o totalmente dall'accesso alla scuola, hanno rivendicato il diritto all'istruzione. Il processo di diffusione e di innalzamento della conoscenza, tendenzialmente di massa, è apparso così, fin dal suo costituirsi, dotato di una duplice valenza, causa, a sua volta, di una forte carica di ambiguità: da un lato, espressione di scelte da parte del potere economico e politico (il mercato e lo stato), dall'altro, rivendicazione di un diritto, quello alla propria autonomia di pensiero e d'azione, condizione per una piena realizzazione umana da parte di ogni individuo. Le ragioni dell'economia e del potere si fanno valere portando alla segmentazione del mercato del lavoro e all'accettazione dell'ordine esistente, nonché al controllo dei meccanismi di inclusione, secondo un modello di integrazione sociale funzionale alla situazione del presente. Le ragioni dell'autonomia individuale sono lo sviluppo della capacità e l'acquisizione di strumenti di conoscenza e di orientamento, secondo un modello incompatibile con qualunque discriminazione o esclusione, proprio perché si tratta di formazione umana e quindi universale nei suoi principi.
Tra diritto all'istruzione per tutti e democrazia, si è venuto così costituendo un asse preferenziale, perché è proprio della democrazia garantire l'universalità dei diritti, in funzione del principio di uguaglianza dei cittadini. Stato democratico e diritto allo studio, hanno formato nel tempo un binomio indissolubile, divenendo la sostanza stessa di legittimazione e di difesa della scuola pubblica.
[...]

Cultura illuministica e scuola pubblica
Non a caso il tema dell'istruzione come diritto dell'individuo e dovere da parte dello Stato fu al centro dei dibattiti della Convenzione durante la Rivoluzione francese; non a caso il filosofo J.Antoine-Nicolas de Condorcet nell'Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello Spirito umano (1793-1794) scritto negli ultimi mesi di vita, attribuì alla scuola pubblica il compito di una educazione alla cittadinanza intesa sia come conoscenza dei meccanismi costituzionali, sia come acquisizione di strumenti per criticare e migliorare il sistema esistente. Un'educazione alla cittadinanza dunque intesa in modo attivo, non come puro adeguamento all'esistente, dove gli stessi diritti fondamentali sono un catalogo aperto, suscettibile di arricchimento da parte di ogni generazione che fa valere nuovi bisogni sociali, secondo una visione progressiva e storica dell'emancipazione umana. Nel difficile equilibrio tra diritti individuali e appartenenza Condorcet puntava sui diritti come elemento dinamico del progresso, secondo una visione senza dubbio ottimistica della storia.

[...]

Dall'identità collettiva nazionale al sistema rigido e intollerante delle
appartenenze

Là dove questa sfera pubblica è assente o è stata vanificata come nelle dittature, negli stati totalitari o nelle democrazie dimezzate, non c'è neppure educazione alla cittadinanza: l'equilibrio auspicato da Condorcet si spezza a favore di una appartenenza rigida ed intollerante. È annullata l'autonomia della sfera giuridica dei diritti e l'individuo viene assorbito nell'identità comune, più o meno artificiosamente stabilita, il privato si impone come pubblico, bloccando le
stesse condizioni che rendono possibile la sfera pubblica sia nelle istituzioni che nelle pratiche sociali.

Scuola e globalizzazione: trasformazione del ruolo dello Stato: controllo dei
flussi migratori e segmentazione del mercato del lavoro, riduzione del potere
sindacale, funzionalità della scuola al mercato.

C'è ora da chiedersi che cosa succede in questo campo oggi, nell'età della globalizzazione, nei suoi tre aspetti di globalizzazione economico-finanziaria, politico-militare , e culturale, all'insegna del liberismo eretto a sistema in tutte le parti del mondo.
[...]
Gli Stati tendono ad avere una funzione non secondaria in questo campo, sia controllando i flussi migratori, sia depotenziando le organizzazioni sindacali dove queste hanno una tradizione di lotta e di radicamento sociale, sia intervenendo nel sistema scolastico, come struttura di disciplinamento, di selezione precoce e di segmentazione di mercati. Lo Stato dunque rimane un'arena fondamentale per la formazione di regimi transnazionali sia che si tratti della circolazione del capitale globale sia di diritti umani di tutti gli individui, indipendentemente dalla loro nazionalità e dalla loro cultura.Crisi non dello Stato, ma della democrazia: diritti negati e minacciati

Crisi non dello Stato, ma della democrazia: diritti negati e minacciati
Non è dunque lo Stato in quanto apparato di potere ad essere in crisi, quanto piuttosto la democrazia intesa come democrazia dei diritti. Sono questi ultimi ad essere minacciati dai meccanismi internazionali del liberismo e da quei governi che se ne fanno solerti interpreti, nella fretta di allinearsi agli standard mondiali.
Accanto ai diritti negati a popoli e gruppi sociali che sono respinti in una totale marginalità, si profilano aperte e pericolose aggressioni a quei diritti civili e sociali che sono il frutto di lunghi processi storici, realizzati nel tempo e fonte della creazione della stessa cultura democratica.
[...]
L'accesso all'istruzione di base è un diritto di formazione comune; all'istruzione secondaria è diritto di scelta, momento di equilibrio tra attitudini personali e vincoli di realtà e non
imposizione autoritaria dettata da supposte convenienze di mercato.
 

Generalizzazione della cultura dell'impresa, vuoto di identità collettive e rivendicazioni localistiche
La globalizzazione liberistica agisce anche come ideologia dominante, modificando la tradizionale finalità degli Stati-nazione diretta a creare identità collettive di carattere nazionale. La fine del paradigma statale come unità di comando e di territorio rende infatti del tutto secondaria questa finalità; con poche eccezioni (ad esempio, la Francia, dove esistono consolidate tradizioni legate all'unità nazionale e alla cultura fondativa dello Stato -nazione attraverso la Rivoluzione francese). È la cultura dell'impresa che sembra generalizzarsi
come ideologia facendo della scuola un'azienda che produce servizi (di diversa qualità) e degli studenti dei "consumatori" di prodotti culturali. In questo vuoto di identità collettive trovano spazio le rivendicazioni localistiche (dialetti, storie locali), volte a legittimare richieste politiche di nuova e artificiosa appartenenza.
L'ideologia del mercato non ha difficoltà ad integrarsi anche con questo tipo di rivendicazioni, dal momento che l'unica sua regola è la relazione offertadomanda, con la priorità della prima (la domanda può essere prodotta, come è noto).

Necessità di riprendere la cultura dei diritti come catalogo aperto
Che fare allora? Sembrerebbe sbagliato, oltre che anacronistico, a lungo andare, in questo credo si possa concordare con Habermas (L'inclusione dell'altro, 1998), tentare di ricostituire processi di identità attraverso i principi dello Stato-nazione, con il rischio di favorire nuovi e rigidi sistemi di appartenenza di carattere difensivo, risposte miopi e localistiche alla nuova realtà
mondiale. Sembra piuttosto valga la pena riprendere quell'aspetto del pensiero illuministico che, a differenza della cultura delle appartenenze nazionali che ha dominato in Europa per più di un secolo, lascia aperto lo spazio ad una visione di emancipazione progressiva; la cultura dei diritti, intesi alla maniera di Condorcet, come catalogo aperto e suscettibile di integrare via via le nuove domande di cittadinanza.
Nel contesto della globalizzazione diminuisce anche la distanza che tradizionalmente separava l'universalità dei diritti umani dai diritti civili, sociali e politici di cittadinanza propri dello Stato democratico: la distribuzione equa delle risorse, il rifiuto della guerra, il diritto al lavoro, all'istruzione, la tutela dell'ambiente sono ormai problemi che devono essere affrontati a livello
planetario e fanno parte integrante del catalogo dei diritti di ogni uomo, indipendentemente dalla sua appartenenza a questo o a quello Stato. Così la difesa dello stato di diritto e della legalità internazionale che impone il rispetto degli accordi fanno parte di quel minimo comune denominatore, che è alla base di una convivenza civile fra Stati, tra popoli e tra individui. Non è dunque compito della scuola oggi ridefinire il proprio ruolo attraverso l'identificazione
di nuove o vecchie appartenenze, siano esse legittimate dalla tradizione o artificiosamente inventate. Né tanto meno può appiattirsi sulle supposte esigenze dei mercati (sia della forza-lavoro che dei prodotti) che peraltro sono soggetti ad una straordinaria mobilità, ma deve trovare, proprio nel suo essere scuola pubblica le ragioni stesse del suo esistere.

Il "pubblico" come arena simbolica dell'autonomia individuale e la libertà come cooperazione e autogoverno contrapposte alla "libertà del consumatore"
Il "pubblico" infatti, nella sua accezione più autentica, è il costituirsi di quell' arena simbolica, mediata dalla cultura, in cui prende forma l'autonomia individuale, in cui ha inizio quella particolare prassi sociale che è l'esercizio dei diritti, diritto di conoscere, di scegliere, di orientarsi, di agire.
Esiste una incompatibilità irriducibile tra il dominio incontrastato del mercato e la libertà del soggetto: il mercato tende a trasformare la libertà in libertà di consumo, riducendo progressivamente la libertà nella sua forma attiva e pubblica, fondata sulla cooperazione e sull'autogoverno della comunità (Baumann, 2002). L'individuo ridotto a consumatore, esonerato dal controllo sulla produzione e sui meccanismi di distribuzione dei beni, dall'onere della scelta delle decisioni che si ripercuotono sulla comunità, è individuo isolato, atomisticamente concepito, tanto meno libero, di fatto, quanto più solo.

La scuola pubblica
Spetta alla scuola pubblica, attraverso la cultura dei diritti, di cui fa parte anche il rispetto della differenza culturale, mantenere aperto uno spazio di formazione umana in cui si conoscano e si pratichino i diritti alla cittadinanza in tutte la ricchezza e l'articolazione che il mondo odierno oggi richiede. Questa è una sfida per la scuola, ma una sfida che va accolta se non vogliamo che si realizzi quel mondo che più di un secolo e mezzo fa ipotizzava il liberale Tocqueville nell'opera dedicata alla democrazia in America (De la Démocratie en Amérique, 1835-1840):

[...]



 

Scrive...

Gianna Di Caro Insegnante di storia e filosofia nei licei di Rimini e Torino, fondatrice e a lungo Presidente del Cidi Torino, esperta di didattica della storia, è mancata nell'estate del 2005.

sugli stessi argomenti

» tutti