Il 25 novembre 2017 sì è svolto a Roma, nella Sala Conferenze della Biblioteca Nazionale il seminario "Educazione linguistica democratica per la scuola di oggi e di domani. Nel nome di Tullio De Mauro", organizzato da Giscel, Cidi, Lend e Mce.
L'incontro ha rappresentato un intenso momento di ricostruzione storica e di riflessione sulla complessità del presente, con cui le quattro associazioni professionali hanno inteso confermare e rilanciare il loro impegno per una scuola pubblica e inclusiva, secondo Costituzione, attraverso i presupposti e i principi ancora attuali dell'educazione linguistica democratica, di cui Tullio De Mauro è stato artefice e maestro per decenni.
I lavori sono stati seguiti da RAI Cultura, che ha dedicato all'evento un interessante servizio e pubblicato in rete alcune delle relazioni, nell'ambito di uno "Speciale Tullio De Mauro", realizzato a un anno dalla morte e che raccoglie sue preziose interviste e testimonianze.
Proponiamo qui una sintesi dei lavori, curata da Clara Manca, corredata dal rinvio alle relazioni scritte, pubblicate sul sito del Giscel, e dai servizi di RAI Cultura, che ringraziamo.
Ci auguriamo che l'insieme di questi materiali, uniti a quelli raccolti in questo anno, possa essere utile a docenti, scuole, sedi territoriali delle associazioni per momenti di riflessione e di crescita professionale.
Questo è il servizio realizzato da RAI Cultura con testimonianze di Alberto Sobrero, Emanuela Piemontese e Mario Ambel.
Educazione linguistica democratica da utopia a realtà
Sala Conferenze della Biblioteca Nazionale di Roma: luogo “ideale” per ospitare un incontro di studio dedicato a Tullio De Mauro e all’Educazione Linguistica Democratica. La grande Biblioteca di Italia, infatti, ha intitolato all’illustre studioso la Sala linguistica, che custodirà e renderà consultabile, a scaffale aperto, gran parte della sua biblioteca personale, ricevuta in dono dalla famiglia (ricordiamo che l’allestimento bibliografico di tale Sala era stato affidato, tanti anni prima, proprio al Professore).
Il Seminario “Educazione linguistica democratica per la scuola di oggi e di domani. Nel nome di Tullio De Mauro”, organizzato dal Giscel, insieme alle associazioni ”cugine”, Cidi, Lend e MCE, non è stato solo un omaggio alla memoria del “Maestro”, ma anche un fact checking della scuola di fronte all’insegnamento della/e lingue e all’educazione tout court, in una società complessa e freneticamente in divenire, globalizzata e nel contempo divisiva.
Alberto Sobrero
Lo si è capito da subito, quando - dopo i saluti del Direttore della Biblioteca Andrea De Pasquale- Alberto Sobrero ha aperto i lavori. Infatti, il segretario del Giscel ha sottolineato che l’incontro in corso sarebbe stato solo la prima di una serie di iniziative volte a riflettere sulla società odierna, sugli intoppi che si verificano nella realizzazione di una educazione linguistica veramente democratica, sui bisogni reali dei ragazzi e della scuola, su una nuova didattica. E il pensiero di De Mauro insieme con i principi di una educazione linguistica democratica, ha aggiunto Sobrero, è il filo rosso che unisce le associazioni “cugine”, le quali nei loro statuti condividono le seguenti finalità:
Raffaele Simone
Dalla relazione di Raffaele Simone (“Il grande inseguimento. La scuola alla ricerca del linguaggio dei giovani”) si è ben capito quanto lavoro ci sia da fare, visto lo scarto enorme che esiste fra le due realtà; i giovani spesso sono “indietro” rispetto alla istituzione, altre volte più avanti, altre ancora “altrove”.
La scuola ha il compito di educare, cioè di ‘e-ducere’, “estrarre” gli allievi dalla loro condizione per “condurli” in qualche altro posto, attraverso il passaggio dal loro modo di esprimersi quotidiano in Lingua Naturale (indicata d’ora in poi come LN), condivisa con l’ambiente che li circonda e da questo incoraggiata, al possesso della Lingua Matura (LM), che la scuola utilizza per offrire tutte le potenzialità comunicative e culturali del linguaggio umano. Purtroppo i giovani sono spesso renitenti allo sforzo, all’applicazione necessaria e quindi si assiste al fallimento.
Prima degli anni Ottanta tra LN e LM esisteva un forte scarto, visibile soprattutto nella prevalenza dell’uso del dialetto. L’istituzione scolastica - riconosciuta dalla società come specifica agenzia formativa del linguaggio - rispondeva in modo selettivo e con risultati insoddisfacenti (la cosiddetta “scuola del silenzio”), lontana dall’oralità come dai dialetti e dalle varietà linguistiche più basse. Proponeva come LM quella usata da una pluralità di modelli “alti”: scrittori classici, giornali, radio, televisione, istituzioni politiche e Chiesa. E l’ambiente circostante difendeva il controllo e la protezione di una lingua colta. Eppure nasce a poco a poco nell’ambito scolastico l’esigenza di favorire nei giovani un apprendimento linguistico meno codificato, costruito su libri di testo e teorie “aperte” alla comunicazione (per esempio, 1973, Il libro di italiano, di sua cura; 1976, le "Dieci Tesi" del Giscel).
Negli anni successivi una varietà di fattori esterni - vittoria della Sinistra, lotte e movimenti, nascita di associazioni per la formazione dei docenti, nuovi programmi, nuovi libri di testo, nuove riviste, la collaborazione fra università, scuola e case editrici - portava a una nuova sensibilità in campo linguistico: con la sociolinguistica nasceva l’attenzione alle varietà e ai registri linguistici, nonché l’apertura verso i dialetti; con lo studio delle strutture testuali si superava la grammatica della frase, mentre le attività linguistiche venivano analizzate nella duplice partitura dell’oralità e della scrittura. Il Ministero, seppure in ritardo, si muoveva “con tiritere e giaculatorie”.
Oggi però, in campo politico, morale e linguistico dominano il disorientamento, l’incertezza e la preoccupazione. Dove sta la sfasatura, dove è avvenuto il cambiamento, in ciò che la scuola crede sia il mondo (e la lingua) dei giovani e ciò che esso è in realtà?I primi segnali di quella grande trasformazione erano già stati registrati dalla rivista “Italiano & Oltre” (1986-2004) negli ultimi anni della sua uscita. Quali i fattori?
Il processo di globalizzazione, movimento di cose, persone, merci e culture (si pensi al Black Friday), ha portato a modelli “globali”, quali:
Certo, anche negli anni ’80 era andata affermandosi una young culture transnazionale (dai “figli dei fiori” ai “frikkettoni” e “coatti”, a seconda del ceto). Ma oggi nella cultura della modernità digitale, si è aggiunto il bisogno di agire divertendosi e non annoiandosi, la necessità di socializzare, la pratica del “facile”, come mostra l’uso dei media e dei social, anche con una ristrutturazione del canone delle letture: “graphic novel”, videogiochi, film, romanzi. Si tratta di una nuova etologia/ecologia del mondo giovanile, caratterizzata da:
Tornando all’educazione, lo scontro con le istituzioni si manifesta come opposizione all’autorità culturale dell’insegnante, come mancanza di rispetto per ciò che si studia e assenza di quell’orgoglio di appartenenza a un luogo di crescita, che caratterizzava prima la scuola.
Davanti a tale terremoto, alla perdita di ruolo, la Scuola ha avuto un atteggiamento di passività verso il mondo digitale.
Una delle condizioni per aiutare i giovani a passare dalla LN alla LM sarebbe quella di avere il sostegno del mondo esterno, che oggi stabilisce di fatto ciò che si deve imparare (esopaideia) sottraendo tale compito alla scuola (endopaideia), col proporre modelli di lingua naturale anche con l’appoggio di intellettuali e letterati. Così, l’inciampo più grande al passaggio da un sistema linguistico semplice, veloce e immediato a quello più complesso non sta più nel dialetto, ma nell’ambiente in cui i ragazzi vivono, fatto di una molteplicità di agenzie formative, dalla rete e dai social forum. Da qui si diffonde il nuovo linguaggio internazionale (un rock english), fatto di sigle, calchi, modi di dire, convenzioni, lessico e sintassi nuovi.
Che fare, allora? Una new education?
Vitale sarebbe riportare la scuola verso la modernità, non certo reintroducendo voti in condotta e disciplina, grammatica e riassunti. Ma neanche affidandosi ai tablet, come si è fatto di recente, con una raffica di riforme (in assenza di una vera e unica riforma), che si sono dimostrate senza risultato.
Emanuela Piemontese
“Si può parlare di “nuove frontiere” per l’educazione linguistica?”, si è chiesta Emanuela Piemontese. Forse, si deve guardare ancora alle vecchie frontiere, quelle auspicate dalle "Dieci Tesi" di De Mauro insieme con il Giscel. Ciò comporta, però, il coinvolgimento di tutta la società, che deve favorire la lettura (”privilegio della nostra intelligenza, della nostra fantasia e anche della nostra vita pratica” per dirla con De Mauro) con una politica per le biblioteche, con la circolazione del sapere grazie a una diffusione delle capacità ricettive.
Del resto, questo è stato l’impegno civile e politico di Tullio De Mauro per tutta la sua vita di studioso e di cittadino (fino all’incarico ministeriale), dalla Storia Linguistica dell’Italia unita (1963) a Senso e significato, Minisemantica, Capire le parole, ecc. e alla rivista “Due parole” o alla collana dei “Libri di base”. Anche davanti alla nuova Legge, la 107, egli lamentava il silenzio su ciò che nella scuola si era fatto, pur fra luci ed ombre, e sul fenomeno della de-alfabetizzazione, che interessa il 70% della popolazione adulta e di cui non è causa solo la scuola, ma gli stili di vita che fanno dimenticare ciò che si è appreso. Non è esente da colpe anche la Pubblica Amministrazione, con quel linguaggio oscuro che può rendere complicata la compilazione di un modulo persino a una esperta linguista come la relatrice stessa... Ci vorrebbe infatti un Piano Nazionale anche per il recupero degli adulti!
Le Indicazioni Nazionali hanno accolto alcune delle proposte delle Tesi Giscel e del pensiero democratico, ponendo l’attenzione sulle quattro abilità, sulla trasversalità della lingua nell’insegnamento di tutte le discipline, sulla continuità, ecc. Restano però molte difficoltà da superare, come la scarsità di risorse, la mancanza di una vera Riforma e, accanto ad essa, di una vera Formazione, in cui si impari a insegnare nell’ottica di un’educazione linguistica non verbalistica, in grado di valorizzare il “saper fare” e non solo il “saper dire”.
E il décalage delle nuove generazioni, denunciato nella Lettera dei 600 (ma già registrato nel Convegno Giscel del ’98), ci dice che non si tratta solo di modi e contenuti, ma dello spirito stesso dell’educazione, che non è ancora stato accettato: spirito “democratico”, come dire… il dettato stesso della Costituzione!
Mario Ambel
“Scuola, linguaggi e società tra chiaroscuri e nuovi scenari” è stato il titolo dell’intervento di Mario Ambel, direttore della rivista del Cidi “insegnare”. Di fronte ai grandi cambiamenti in corso, la scuola deve ripartire dai principi di un’educazione democratica e, ricordando il saggio di Simone Dalla lingua ai linguaggi e le sollecitazioni dello stesso De Mauro, farsi portatrice del plurilinguismo, da intendersi come pluralità di linguaggi. Cosa non facile, proprio oggi, che si vuol tornare alla meritocrazia, alla serietà “perduta” e insieme a nuovi miti illusori, fragili, quali le nuove tecnologie. Quanto al “lassismo” imperante nella scuola secondo molti censori, è bene ricordare che la scuola, secondo il pensiero di De Mauro, deve essere il luogo per “competere”, ma con se stessi: per avere tutti il “diritto alla parola”, e il “diritto al senso critico”. E non è stato così, se già nel suo Convegno nazionale del ’97 a Palermo il Cidi individuava banalità e superficialità nell’insegnamento, fornendo un elenco dei diritti e delle finalità della scuola.
Come già nei Nuovi Programmi del 1979, in cui Sobrero aveva intravisto i rischi di interpretazione conservatrice, nei provvedimenti sull’Autonomia del 1997 si nascondevano dei pericoli, che poi si sono manifestati, come la meritocrazia, l’individualismo, il disagio, l'eccesso di valutazione Ai giorni nostri, poi, la didattica dell’educazione linguistica (lettura, scrittura, ascolto, parlato e grammatica) assiste a pericolosi ritorni di fiamma per una grammatica normativa, letture codificate, riassunto, ecc., alla ricerca di certezze consolatorie, ma che poi si rivelano frustranti.
Per tutto questo, dobbiamo fornire i giovani di spirito critico così da evitare loro il rischio di sudditanza davanti alla pervasività delle nuove tecnologie, la connettività permanente con Internet, l’abbrutimento della comunicazione sociale (fino a forme di aggressività), l’affermazione conseguente di disvalori come il rifiuto dell’inclusione, i processi di omologazione sempre più spinti in tutti gli strati sociali (intergenerazionali e interclassisti). Per un agire davvero innovativo si deve guardare a modelli come Rodari, Pasolini, Gramsci, ci aveva suggerito lo stesso De Mauro, capaci ancora oggi di indicarci sentieri più nuovi e più umani.
Pertanto, la scuola deve perseguire due grandi obiettivi strategici: differenziare i processi per non selezionare in base ai risultati; adottare un’ottica plurilingue, polifunzionale e intermediale. Solo così si potrà superare il dilemma fra “diversità” e “diseguaglianze”, per una cittadinanza piena in una società multietnica.
Silvia Minardi
Silvia Minardi ha ricordato che l’educazione linguistica democratica è il frutto di un lungo cammino: dagli incontri di Scandicci di sperimentazione, discussione formazione, di cui De Mauro fu l’anima, al piano di formazione "Poseidon" di Indire, con i materiali per i docenti preparati dagli esperti delle associazioni che condividevano il diritto di tutti all’apprendimento, fino ai documenti europei, dove proprio il termine “educazione linguistica” è stato conservato in lingua italiana. E qui sta l’incontro fra il Lend (di cui la Minardi è segretaria nazionale) e De Mauro, in quel bisogno di plurilinguismo e di intercultura, presente nel Quadro Comune di Riferimento delle Lingue e che ha dato origine alla Guida per l’elaborazione di un curricolo plurilingue (ora tradotto in italiano).
Che cosa c’è nei documenti europei delle "Dieci Tesi" del Giscel?
Si potrebbe parlare di una undiceesima Tesi (come scriveva Adriano Colombo) se si completa la preparazione linguistica con la maturazione consapevole al sistema informatico; il che vuol dire formare cittadini con senso critico e abituati all’alterità.
Nel recente convegno a Goeteborg sui dati OCSE-PISA è emerso un peggioramento delle competenze linguistiche degli adolescenti. Del resto, solo tra il 5 e il 15% degli adulti possiede competenze minime di lettura. Anche per questo il multilinguismo (che riguarda le persone) e il plurilinguismo (che si riferisce agli spazi) appaiono come una sfida per la Commissione Europea. Non dimentichiamo che le lingue interagiscono fra loro e che le competenze plurilingue devono essere sostenute da tutto il curricolo scolastico e non solo dalle materie linguistiche.
Giancarlo Cavinato e
Graziella Conte
Il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) -rappresentato da Giancarlo Cavinato e Graziella Conte -, è stata la prima associazione (1951) ad occuparsi dell’educazione in forme innovative, per una scuola organizzata in modo democratico, secondo i dettami di Freinet: la discussione come assunzione di punti di vista diversi dai propri, la scrittura collettiva, la corrispondenza con altre classi, la stampa del giornale di classe; e ancora, le regole di vita condivise, il metodo naturale per competenze. Proprio l’opposto di ciò che la scuola sembra proporre attualmente attraverso una valutazione che non tiene conto del processo collettivo ma solo del risultato individuale.
“Educare alla parola”, oggi come ieri, vuol dire avere in mente una lingua viva, che presenta caratteri antropologicamente diversi, a seconda che sia orale o scritta (e quindi con strumenti di mediazione diversi), che prevede l’apprendimento come testualità, a sua volta da considerarsi un “sistema”, attraverso il quale categorizzare e organizzare la realtà.
La lingua “matura” è la lingua dell’adattamento e dello scarto, ma non è l’unica, altrimenti diventa la dominante. Nella società attuale, in particolare, bisogna guardare ai contesti relazionali con identità linguistiche differenti, perché se queste non vengono riconosciute si trasformano in diseguaglianze. È necessario porre attenzione alla relazione che viene a crearsi nei contesti plurilingue fra la propria lingua madre e quella degli altri; vi sono, infatti, impedimenti non solo cognitivi, ma anche empatici, perché il confronto non avviene semplicemente fra le lingue, quanto fra le diverse esperienze culturali.
Il seminario è stato concluso da Alberto Sobrero, il quale, sintetizzando lo spirito della giornata, ha auspicato un’educazione linguistica che trovi la direzione di marcia proprio nella sua dimensione storica; quella direzione in qualche modo indicata in apertura dell’incontro da Raffaele Simone: passare dalla Lingua Naturale a quella Matura. E in tutto ciò si esalta il ruolo delle associazioni, che sempre di più dovranno incontrarsi e collaborare insieme con le istituzioni, in primis l’università.