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una recensionedopo scuola

28/06/2013

"MicroMega", n.1/2013

di Rosanna Angelelli

 

Parliamo  ancora di scuola, questa volta sulla scia di un “iceberg” di MicroMega n. 1/2013  dal titolo “A scuola di laicità”.

Tre i picchi scalati sull’argomento,  il primo da parte di Axel Honnet,  filosofo tedesco esperto in ricerche sociali. A suo parere la storia del sistema educativo pubblico è stata e sempre sarà plastica e diversa, data «la catena ininterrotta di conflitti riguardanti la suddivisione, la forma e il contenuto dell’insegnamento scolastico». Ma pur nelle differenziazioni di percorso, il diritto universale all’istruzione dovrebbe guidare ogni scelta e dare all’educazione il senso di una vera e propria formazione oltre che culturale individuale, civile collettiva.

Prezioso fu il contributo di Kant nel lungo cammino di unificazione dell’arte del governo con quella educativa: un bambino, ancora immaturo e guidato dall’istinto, prima di poter essere cittadino di uno Stato libero deve passare attraverso un processo educativo avente come obbiettivo la sua libertà, che è contemporaneamente personale e relazionale. Alla teoria kantiana dell’educazione alla civiltà e all’uguaglianza dei diritti, Honnet fa seguire la riflessione di Schleiermacher, di Émile Durkheimer fino alla pedagogia d’oltreoceano di John Dewey. Fin qui il passato.

Ma qual è l’attuale teorizzazione educativa  in Germania? Essa corrisponde davvero a questo doppio intento così impegnativo? La risposta è quanto meno preoccupata:  Honnet rileva un significativo disinteresse da parte della riflessione filosofico-politica tedesca sia per le problematiche pedagogiche dell’educazione, sia per quelle metodologiche e di contenuto. Responsabili di questo fenomeno sarebbero, oltre quei fattori economici e di utilità meritocratica che sembrano guidare ormai  l’educazione/istruzione odierna, anche una evidente scelta di “neutralità” da parte dello Stato: esso si sottrarrebbe per scetticismo alla responsabilità di far acquisire ai suoi futuri cittadini le virtù democratiche demandandola al «contesto pre-politico di comunità tradizionali», quali la famiglia e le istituzioni religiose.

In base a questa tendenza neo conservatrice e “privatistica” «neppure i principi della formazione della volontà democratica possono influire in alcun modo sull’istruzione pubblica», mentre gli insegnanti diventerebbero non più i rappresentanti dello Stato democratico di diritto, bensì delegati dei genitori», cui «andrebbe lasciata la libertà di scegliere la scuola dei figli in base ai valori sostantivi da essa trasmessi». Ma ci sarebbe anche un’altra conseguenza, quella di una scuola pubblica eticamente neutrale, grazie al multiculturalismo che la abita, condizione questa ultima solo apparentemente “aperta”,  perché l’idea di educazione democratica vi si attaglierebbe senza una chiara forza normativa.

Nel secondo “iceberg”, il filosofo Vincent Peillon, attuale ministro dell’Educazione francese, sembra rovesciare il pessimismo di Honnet a favore di una piena valorizzazione delle possibilità formative in senso civile da parte della scuola pubblica. Forte dei trascorsi rivoluzionari francesi (una storia indubbiamente molto diversa da quella tedesca e italiana!) Peillon propugna l’ “ethos repubblicano” attraverso l’istituzione di una nuova materia scolastica, che renda chiaro che «la laicità in Francia non è solo neutralità: è molto di più. Non è solo tolleranza: è un corpus di valori che bisogna insegnare ai cittadini: libertà, uguaglianza, fraternità, rispetto degli altri, dovere verso gli altri, dignità della persona, uguaglianza di genere, giustizia…».

Nella veloce e pepata conversazione con Gloria Origgi, anche Peillon  chiama Kant a sostegno delle sue idee: la costruzione del concetto di laicità avviene proprio attraverso quella libertà di coscienza, che non è anti-religiosa né proibisce la propria fede a  chiunque. E quando Origgi gli obietta che l’ancoraggio della laicità a una visione forte di “ragione” potrebbe scontrarsi con il relativismo culturale delle odierne società aperte, il ministro le risponde che la razionalità fondante della democrazia è «figlia del dialogo e deve essere capace di criticare se stessa.», mentre sul versante della laicità vale quanto teorizzato, per esempio, da Merleau-Ponty  e da Malebranche: il bisogno di spiritualità, di trascendenza è interno a essa e una società laica non deve uccidere il desiderio di infinito, ma «“iniettarlo” nel suo potenziale andare avanti.»

E veniamo al terzo “iceberg”, “Una scuola per la democrazia”, dove lo storico italiano Angelo D’Orsi affronta la questione dei rapporti tra Stato democratico, scuola pubblica, scuola privata alla luce della odierna pasticciata situazione italiana. Anche per lui l’unità sostanziale tra educazione e Costituzione e la possibilità di insegnare la politica all’interno della più generale pedagogia della polis, hanno radici lontane,  nelle  teorizzazioni, per esempio, del Protagora di Platone o di Paideia di Werner Jaeger. Ma quando D’Orsi ritorna al presente della questione, sono gli Scritti dalla libertà (1910-1926) di Antonio Gramsci  a illuminarlo e a fargli ribadire che l’autentica formazione scolastica avrà difficoltà ad affermarsi se alla solida cultura di base non si sarà affiancato quel sapere critico che mai come oggi dovrebbe rendere disinteressata l’istruzione rispetto alle richieste di un mercato troppo spesso astuto e corrotto.

Per realizzare questo obbiettivo di libertà, a D’Orsi non appaiono valide né la proposta di Goffredo Fofi, che vorrebbe ridurre  l’obbligo scolastico e affidare l’educazione  a un «privato sociale» più libero, né quella di Giuseppe Vacca, per il quale una «società educatrice», dovrebbe raccogliere tutte le “agenzie” (Stato, ordini religiosi, enti pubblici, forze economiche private) concorrenti alla formazione ideale relazionale, etica di un futuro cittadino.

In riferimento alla storia d’Italia, D’Orsi osserva severamente che «le agenzie private cercano nella scuola il lucro; le agenzie religiose mirano all’indottrinamento, non disdegnando… l’aspetto economico». Andrebbe invece restituito allo Stato il ruolo di promotore di educazione e regolatore delle differenze sociali senza propugnare «un’eguaglianza iniqua essendo disuguali le condizioni di partenza, bensì una differenziazione dell’intervento pubblico, a favore di chi meno ha» e senza dar luogo nell’ambito educativo alla faciloneria, ma concentrandosi sulle capacità del giovane per aiutarlo a costruirsi una “personalità autonoma”.

La cultura  prima ancora che conoscenza di nozioni deve  diventare per lo studente atteggiamento interrogativo del sé nella sua relazione con il mondo, anche perché i giovani, non sono “vasi vuoti da riempire”. Emergenza educativa e emergenza democratica irrompono con forza nel nostro presente: quella parola maturità che è stata cancellata dalla definizione dell’esame di Stato finale andrebbe nuovamente ristabilita e valorizzata nella sua importanza di civiltà, mentre si dovrebbe far conoscere la Costituzione non soltanto nei suoi principi fondanti ma anche e soprattutto attraverso i servizi e i beni collettivi da essa resi possibili e che sono realmente decisivi per il nostro “benessere”: sanità, trasporti, comunicazioni, ambiente, patrimonio artistico, organizzazione del lavoro ecc. E tutto questo sapere concreto e utile in sé, deve essere incentivato tornando a valorizzare quegli studi storici, quel sapere umanistico, quei "racconti" depressi dalla riforma Gelmini, forse perché svolgono uno scomodo ruolo formativo alla cittadinanza attiva.

Honnet A., Peillon V., D’Orsi A., 2013, “iceberg2 A scuola di laicità”, in MicroMega, n.1/2013, Gruppo Editoriale L’Espresso SpA, Roma.