Per usare un’immagine di tipo metaforico, potremmo dire che la scuola italiana è pervasa da almeno due decenni da quattro virus degenerativi e invalidanti che l’affliggono e debilitano forse anche più di quanto essa stessa riesca a rendersi conto. Certamente non possono rendersene conto al MIUR, dove dovrebbero albergare gli esperti in prevenzione e cura e dove invece troneggiano gli untorelli.
I virus sono questi:
- l’incapacità di governo di sistema e l’oscillazione permanente fra centralismo e sussidiarietà, che hanno di fatto vanificato le istanze positive da cui aveva preso le mosse il conferimento di autonomia e di identità costituzionale alle singole istituzioni scolastiche e alle reti nelle quali esse si riconoscevano per realizzare fini comuni;
- l’ossessione valutativa e le pulsioni individualistiche, che hanno prodotto una scuola sempre più orientata al risultato e alla competizione, anziché al processo e alla collaborazione, ormai vanificandone ogni azione in una perenne rincorsa ai diktat della misurazione anziché alla qualità di ciò che ci si prefigge e si fa;
- il ricatto occupazionale e la servitù al sistema economico, che hanno generato rapporti asfittici di dipendenza della scuola rispetto a una più o meno credibile realtà esterna, nei cui confronti si rinuncia spesso a ogni prospettiva analitica e critica, in nome della riproducibilità, dell’applicabilità e dell’efficacia;
- l’infatuazione vetero modernista e l’inversione fra mezzi e fini, che hanno generato una dipendenza dalle logiche e dalle regole delle tecnologie della comunicazione e di alcune metodologie in versione taumaturgica, anziché chiedersi come e quanto esse possano essere utili o meno a innescare e consolidare ambienti e processi di apprendimento significativo e di lettura critica della realtà.
Se esistono virus, se ne dovrebbero cercare gli antidoti.
Prima di individuarli, però, sarebbe necessario capire se le conseguenze nefaste che la scuola sta vivendo siano maggiormente da ascrivere alla perniciosità intrinseca delle idee e delle istanze che hanno generato quelle scelte, oppure a una sorta di colossale eterogenesi dei fini, per cui, seppure mosse da buone intenzioni, quelle istanze, a causa delle modalità e dei contesti in cui sono state realizzate, hanno prodotto effetti e conseguenze contrarie e distorsive rispetto alle buone intenzioni dei proponenti.
Bisognerà ragionarci, perché quando questa impalcatura ideologica avrà totalmente esaurito la sua credibilità e forza propulsiva e dovremo fare i conti con i problemi reali che ci attendono, quelli connessi alla globalizzazione e all’implosione non del mercato e del consumo ma delle sofferenze e dei disagi, allora avremo bisogno di parecchia forza e lucidità.
Io personalmente sono portato a pensare che in alcuni casi, per esempio nell’applicazione dell’autonomia scolastica o forse persino dell’innovazione tecnologica, le condizioni hanno prevalso sulle intenzioni, vanificandone le aspettative e le ipotesi migliori. Ma negli altri casi, in particolare la vis valutandi e l’accettazione della realtà così com’è in nome dell’immodificabilità dell’esistente, il vizio all’origine è palese e devastante.
Una scuola e una cultura asservite all’immutabilità delle ragioni costitutive del presente sono di fatto inutili. E costringono se stesse alla sterile alternativa fra un vincolo di ubbidienza cieca e una pulsione al rifiuto totale. Per trovare vaccini e antidoti, bisogna iniettare valori e perseguire pratiche di tutt’altra impostazione, ma, prima, bisogna confutare e dismettere i principi di fondo di quelle opzioni e non solo le loro carenti applicazioni, nell'illusione che ne esistano di meno devastanti o di virtuose.
Ormai in troppe situazioni (piani triennali dell’offerta formativa, chiamata diretta, valutazione di docenti e allievi, prove Invalsi, certificazione delle competenze, compiti di realtà, Alternanza Scuola Lavoro, uso delle tecnologie, rapporti interni agli ambienti di apprendimento, ecc.) ci si rassegna all’idea che l’unica strada possibile sia la riduzione del danno, il metterle in pratica nel miglior modo possibile, cercando di evitare le implicazioni più nocive… Forse è venuto il tempo di una inversione più radicale e salutare di tendenza. Forse, per vaccinarsi davvero, è necessario mutare le condizioni e le convinzioni profonde in cui i virus attecchiscono e fanno danni.