Da dove nasce l'idea che il surf potesse diventare una terapia per l'autismo?
Vivendo da sempre l'acqua ed il surf in una dimensione molto introspettiva e lavorando come psicologo con bambini e ragazzi autistici ho trovato da subito interessanti spunti per sfruttare una serie di aspetti che ritrovavo nel viver entrambi i campi. Nel mio sviluppo già avevo riscontrato gli aspetti benefici del surf sulla mia persona sia a livello fisico sia naturalmente a livello psicologico.
Come ha costruito il suo percorso terapeutico?
In realtà tutto nasce molto lontano, nel lontano 1999 grazie ad una prima esperienza con il mondo della disabilità in piscina scoprii quanto l'elemento acqua fosse indubbiamente più potente nel creare connessione con le proprie emozioni e quindi con l'altro, rispetto agli altri contesti di intervento o semplicemente di vita. D'altro canto l'acqua era giá elemento cardine nella mia vita e anche sulla mia persona lo avevo da sempre riconosciuto come dimensione terapeutica.
La surf-therapy nasce in realtà come evoluzione dall'intervento in piscina che negli anni ho strutturato e affinato per l'autismo e i disturbi dello sviluppo.
Il metodo denominato "a.t.d.r.a." (approccio terapeutico dinamico relazionale in acqua) negli anni da strumento specifico per l'intervento in acqua, è divenuto metodologia per trattare l'autismo in qualsiasi contesto, utilizzabile per la didattica scolastica ed in qualsiasi contesto terapeutico e di vita.
Dall'esperienza clinica nasce, oltre che il libro Leggere il silenzio. Lavorare con i bambini autistici, anche l'idea di strutturare ed istituzionalizzare la surf-therapy, naturalmente sempre nel rispetto degli assiomi base del metodo a.t.d.r.a., che accolgono necessità e sfruttano i punti di forza del funzionamento autistico, uniti al potere motivazionale e meditativo dell'onda.
La surf-therapy non è occasione di svago, ma un vero e proprio percorso terapeutico personalizzato che mira a riconoscere il potenziale del soggetto e ad amplificarlo in una struttura di apprendimento incidentale in un approccio olistico, relazionale/ dinamico. Nel gioco e nel divertimento si lavora su molteplici strati, dalla propriocezione, alla processazione dal cognitivo al motorio nella costruzione del gesto, all'autonomia di preparazione/ gestione dello strumento e di se nel prepararsi all'attività, alla connessione relazionale/comunicativa con l'altro e con l'elemento onda, alla lettura all'elaborazione e alla condivisione delle proprie emozioni, ma soprattutto sulla relazione genitore/figlio, complici ed alleati tra le onde.
Su quali casi è più utile tale percorso?
A dir il vero non esistono tipologie di utenza ai quali è più indicata tale terapia; ritengo che un fattore fondamentale per riconoscere il valore di un intervento debba essere il non porre limiti al target a cui possa esser destinato.
|
Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano nel percorso e quali i principali risultati che si ottengono?
Il percorso nella metodologia a.t.d.r.a. è costruito sulle peculiarità del funzionamento autistico, per cui dando valore alle potenzialità tipiche e rispettando le specifiche necessità, non incontra difficoltà con i soggetti, che anzi sin dalle primissime sessioni dimostrano grande motivazione ad esserci e a relazionarsi. L'unica reale difficoltà su cui possiamo imbatterci è il rischio di non far comprendere il valore terapeutico, a chi da esterno inconsapevole si limita a pensare al "surf", di un intervento in un setting apparentemente poco strutturato come una piscina o una spiaggia; l'atipicità degli interventi a.t.d.r.a. verte sul nostro voler alleggerire lo stato d'animo del genitore e del bambino/ragazzo per far leva sugli aspetti motivazionali dello stare in relazione. Il grande limite di un ambiente prettamente clinico/medicalizzato, è già nel suo continuo rimando alla patologia, alla diagnosi e cosa fondamentale nel suo separare genitori e figlio.
Elemento cardine del nostro operare invece è il coinvolgimento attivo del genitore.
I principali risultati raggiungibili, evidenti sin dai primi incontri, spaziano da una maggior regolazione e connessione con l'esterno e con le figure di riferimento, una migliore processazione delle informazioni in entrata, una maggior autonomia nell'esecuzione di procedure correlata ad una forte apertura relazionale e comunicativa verso l'altro.
Secondo lei, elementi e/o passaggi di questo metodo possono essere sviluppati per il trattamento di altri disturbi dei bambini?
Negli anni abbiamo seguito le più varie forme di disagio psico-fisico e tutt'oggi non poniamo limiti all'accogliere bambini con diagnosi diverse o eventualmente "non o non ancora diagnosticati"; in questi casi facciamo più leva su alcuni aspetti del metodo e meno su altri sui quali invece focalizziamo la nostra attenzione nei casi di autismo.
Come si può coinvolgere il mondo della scuola, ed eventualmente le strutture sanitarie locali, in questo approccio?
Per quanto riguarda la scuola solitamente collaboriamo con momenti formativi riservati a docenti, personale ata, dirigenti scolastici e genitori, con progetti all'interno delle classi sia di surf-therapy sia di intervento in piscina, dove si possano creare condizioni di condivisione, di riconoscimento e riscoperta di reciproche potenzialità che in un ambiente richiestivo come la scuola rischiano spesso di rimaner celate.
Creare rete e diffondere consapevolezza sono i principali mezzi di intervento che seppur indiretto, consideriamo fonda-mentale per la qualità di vita e la crescita di un soggetto con disagio
|