Nel 2005, il CIDI Torino, con Proteo Fare Sapere Piemonte e Mce Torino, organizzò un convegno dedicato ai problemi della valutazione dal titolo "Non sottovalutiamo". In occasione del convegno venne pubblicato un fascicolo di 48 pagine dal titolo "A prova di INValSI". L'istituto nazionale muoveva allora i primi passi "sperimentali".
C'era tempo e modo, dunque, di imboccare la strada giusta. Molto tempo è passato da allora; si sono alternati Governi di diverso colore, sono state approvate le norme che regolano l'attività dell'Istituto, sono cambiate le prove, si sono versati fiumi di inchiostro (o si sono accese luminarie di bit digitali) pro o contro l'attività dell'INValSI: noi torniamo a quel fascicolo per rileggere le questioni che ponemmo allora e per chiederci quali e quante e come sono state risolte o disattese. Cominciando dalla ripubblicazione di alcuni stralci tratti da quel fascicolo.
Il fascicolo si apre con una premessa che riportiamo integralmente.
Questo fascicolo ...
Questo fascicolo -preparato in occasione del Convegno "Non sottovalutiamo" (Grugliasco, 8 e 9 settembre 2005) - raccoglie alcuni contributi di analisi critica della "Rilevazione degli apprendimenti" condotta dall'INValSI nel 2005.
Nella prima parte affronta alcune questioni di carattere generale, mentre nella seconda si occupa più direttamente delle prove relative a due "materie": italiano e scienze.
Si tratta di un lavoro di lettura critica che abbiamo ritenuto di dover avviare (proseguirà infatti nel tempo) per tre motivi:
- perché ci interessa capire come si sta muovendo il Sistema nazionale di valutazione: che tipo di rilevazione e di prove propone alle scuole, quale credibilità abbiano i dati che raccoglie, quali ricadute possa avere il suo operato;
- perché riteniamo che la scuola abbia bisogno di riflettere criticamente sul "sistema" e sui sistemi di valutazione (anche propri) e che abbia comunque bisogno di buone pratiche di valutazione (a tutti i livelli);
- perché siamo molto preoccupati e ci piacerebbe lavorare in una scuola... a prova di INValSI.
Una scuola "a prova di INValSI" non è una scuola che rifiuta pregiudizialmente le prove
dell'Istituto nazionale o che le teme.
Una scuola "a prova di INValSI" è una scuola che esiste e progetta, programma, realizza, verifica e valuta processi di insegnamento/apprendimento indipendentemente dalle "prove" elaborate dall'Istituto nazionale di valutazione, nel senso che non imita quelle prove e non lavora per imparare a superarle.
È una scuola che può usare i dati forniti dall'INValSI, se si tratta di dati pertinenti e significativi, che provengono da modalità di rilevazione attendibili e scientificamente fondate.
Ma è anche una scuola che ha elaborato una sua cultura della valutazione che le consente non solo di comparare e discutere i dati dell'istituto nazionale con i suoi propri, ma di analizzare contenuti e metodologie delle rilevazioni condotte per l'appunto daII'INVaISI.
Una scuola "a prova di INValSI" è infatti una scuola che possiede gli strumenti per valutare i valutatori. Quindi è anche in grado di entrare in dialettica con le prove proposte sulla base di osservazioni critiche e costruttive e) nei casi estremi, di rifiutarle consapevolmente.
A questo scopo il fascicolo contiene riflessioni e propone criteri e strumenti di analisi che speriamo possano essere utili al di là di questa circostanza e che contribuiscano a costruire una cultura diffusa della valutazione di scuola e di sistema.
Di una cosa siamo certi: la "valutazione è una cosa seria e, a qualunque livello la si attui (in classe, nella singola scuola, su territori più o meno ampi ...), può sostenere e orientare positivamente il lavoro di insegnanti e allievi, ma può anche far danni molto, molto gravi.
Quindi ... imparare a conoscerla criticamente è una componente essenziale della professionalità docente, nonché una componente dei diritti di cittadinanza attiva degli allievi e dell'intero sistema.
Per il CIDI Torino - Mario Ambel
Le preoccupazioni espresse in questa premessa si sono purtroppo ampiamente realizzate, mentre le prospettive sono state ampiamente disattese. Purtroppo, anziché la scuola "a prova di INValSI" che auspicavamo, abbiamo ora una scuola troppo spesso succube o inerte rispetto alla gestione ministeriale o mediatica delle prove e dei loro esiti, esaltata e distorta da una editoria colastica altrettanto supina.
Le cause di questo stato di cose sono molteplici. Alcune sono riconducibili alle tematiche che in questo fascicolo mettevamo in evidenza e che sono state interpretate e gestite in modo non sempre lineare e soprattutto nella giusta direzione.
A prova di INValSI. Questo fascicolo
Alcune questioni di carattere generale
Benedetto Vertecchi, Due linee per la valutazione. E un presupposto per entrambe.
Mario Ambel, Dalla norma alla prassi: una serie di scelte pericolose.
Luigi Tremoloso, Prove tecniche di applicazione della legge Moratti.
Angela Cappa, Tre giorni passati a fare crocette, ovvero Le prove Invalsi viste dai bambini, con esempi di Diari di bordo di allievi di quarta
Dalle "materie" alle "prova": italiano e scienze
Mario Ambel, Quale (idea di) comprensione?
Flavio Pusset, Esempi di analisi delle prove/l.
Mario Ambel, Esempi di analisi delle prove/2.
Mario Ambel, Quale (idea di) "italiano"?
Fiorenzo Gori, Le prove Invalsi di scienze.
Gino Tremoloso, Da quale (idea di) scienza sono state "ispirate" queste prove.
Appare infatti quanto mai opportuno e utile ripercorrere i temi esposti allora nel fascicolo e chiedersi se e in che direzione sono stati affrontati in questi anni:
- la scelta della finalità complessiva affidata all'Istituto e quindi delle procedure messe in atto;
- la coerenza fra quelle finalità e le prove;
- il rapporto con le scuole;
- l'idea di disciplina da cui le prove scaturiscono e a loro volta inducono e alimentano;
- la ricaduta sulla progettazione curricolare e la gestione dei processi di insegnamento/ apprendimento.
Se guardiamo alla reazione che le scuole hanno avuto in questi anni, non possiamo certo dedurne impressioni positive e confortanti: si va dal rifiuto talvolta pregiudiziale, alla sudditanza, mentre resta sostanzialmente disatteso il terreno di una sinergia positiva e virtuosa fra rilevazioni nazionali e progettualità educativa.
Non solo, ma cominciano a delinearsi ricadute gravi e preoccupanti anche sulla natura e le pratiche disciplinari indotte, direttamente o indirettamente dalle prove.
Immutato e sostanzialmente deleterio resta l'uso comunicativo e spesso strumentale che dei risultati viene fatto dai media. E se si pensa che, in questi anni, molti errori sono stati compiuti per assecondare le richieste di una parte della pubblicistica nostrana, la delusione è ancor più forte.
Si legga che cosa scriveva Benedetto Vertecchi nell'intervento riportato nel fascicolo, dopo aver chiarito finalità e caratteristiche delle procedure censimentarie o campionarie che le rilevazioni nazionali possono adottare in funzione del prelievo di alcune finalità rispetto ad altre.
In Italia, dopo il 2001 il governo ha deciso di procedere sull'universo scolastico. Finora, si sono ottenuti
dati che presentano scarsa o nessuna utilità, per l'inattendibilità degli strumenti e delle procedure seguite. Si è, inoltre, fortemente deteriorato il rapporto di fiducia con le scuole, dal momento che esse sono chiamate a collaborare ad operazioni che possono avere conseguenze negative per il loro funzionamento ulteriore. Se consideriamo quanto accade in altri paesi, osserviamo che la via censimentaria è seguita nel Regno Unito, e quella campionaria in Francia. Nel Regno Unito si è assistito negli ultimi anni al moltiplicarsi delle rilevazioni, che si sono affiancate a periodiche visite ispettive delle scuole. Queste ultime finiscono per orientare la loro attività verso gli aspetti che sanno essere oggetto di rilevazioni, tramite prove oggettive o rapporti ispettivi, trascurando aspetti, pure importanti, dell'attività educativa che non si traducono in prestazioni codificabili o in procedure predefinibili.
In Francia si preferisce avere un rapporto collaborativo con le scuole: esse non debbono considerare con ansia la valutazione, ma essere consapevoli dei vantaggi che possono derivare dall'emersione delle proprie esigenze, in termini di migliore programmazione degli interventi, di più equa ripartizione delle risorse, di impostazione di programmi di ricerca e di sperimentazione volti alla soluzione di problemi specifici.
(Da B. Vertecchi, "Due linee per la valutazione. E un presupposto per entrambe", in M. Ambel, "A cura di INValSI", Cidi Torino - Ciid, 2005; l'articolo di B. vertecchi, uscito al tempo su Vs-valore scuole, è reperibile in B. Vertecchi, Storia dell'istruzione e dell'educazione - Strumenti per insegnanti, Franco Angeli, 2006.)
Sono cambiate molte cose, da quelle prove sperimentali del 2005, ma non tutti i pericoli sono stati scongiurati, nonostante i miglioramenti compiuti. Anzi: rileggendo ora le preoccupazioni allora espresse non possiamo e non dobbiamo evitare un bilancio coraggioso su questi tredici anni. Dobbiamo chiederci se e in che misura i rischi cono stati scongiurati e le potenzialità positive dei rilevamenti nazionali perseguite con coerenza ed efficacia.
Il terreno così si fa quanto mai scivoloso: unendo esigenza di valutazione di sistema, confusione fra i sistemi di valutazione, scelta riduttiva dell'oggetto da verificare, gestione approssimativa delle metodologie di rilevazione e ansia dell'oggettività sanzionatoria si rischia di sostituire alla scala gerarchica e piramidale dei vincoli e dei comandi, tipica dei sistemi verticistici, una sorta di gerarchia del controllo dell'efficacia apparente, tipica di un sistema deresponsabilizzato sui principi e sulle regole, liberalizzato sui processi, ma governato attraverso la ristrettezza delle risorse e il controllo del risultato presunto.
In mancanza di finalità e di principi condivisi, di regole certe e di disposizioni attendibili, ma anche di una cultura diffusa del rapporto fra progettazione, realizzazione e verifica del proprio progetto (ovvero di quel progetto su cui si fonda la propria legittima rivendicazione e responsabilità di autonomia), ciascuno finisce per desiderare la "Grande Prova" per valutare chi sta sotto e cautelarsi da chi sta sopra: l'Europa gli stati nazionali, la Repubblica i territori, il territorio le scuole e i dirigenti; i dirigenti i consigli di classe e gli insegnanti; gli insegnanti gli allievi ... Sono le condizioni in cui la valutazione dà il peggio di sé e produce guasti talvolta profondi e poi difficilmente recuperabili.
(da M. Ambel, "Dalla norma alla prassi: una serie di scelte pericolose", in in M. Ambel, "A cura di INValSI", Cidi Torino - Ciid, 2005.)
Gli eventi, nei sistemi complessi, hanno sempre una congerie di concause, che spesso ne rendono difficile la lettura e quindi anche l'individuazione dei rimedi. A distanza di tredici anni, però, una cosa ci sembra di poter dire, anzi di ribadire. All'origine delle carenze e delle contraddizioni del rapporto fra l'INValSI e la scuola c'è una scelta politica di fondo: aver privilegiato l'ottica della valutazione e della rendicontazione sociale su quella della ricerca e dell'efficacia dei processi. Si è scelto di valutare i miglioramenti senza mettere in atto le strategie per ottenerli, di render conto dentro e fuori il sistema scolastico di esiti dell'apprendimento ottenuti con strumenti solo in parte funzionali a rilevarli davvero e soprattutto atraverso un uso strumentale e forzato dei dati a disposizione.
D'altronde, siccome sa per esperienza che le mie domande più frivole hanno sempre qualche scopo ch'egli non scorge dapprima, non ha presa l'abitudine di rispondere inconsideratamente; invece, diffida, presta attenzione, le esamina con gran cura prima di rispondervi. Non mi dà mai una risposta di cui non sia contento egli stessa; ed è difficile a contentarsi. Infine non presumiamo né lui né io di sapere la verità delle case, ma solamente di nan cadere nell'errare. Saremmo assai più confusi di contentarci di una ragione che non è buona, che di non trovarne affatto. Non so, è una frase che piace tanta a tutti e due e che ripetiamo così spessa, che non costa più nulla né ali 'uno né ali 'altra. Ma, sia che questa sordidezza gli sfugga, sia ch 'egli l'eviti col nostro comodo non so, la mia replica è la medesima: Vediamo, esaminiamo.
J.J. Rousseau, Émile ou De l'éducation (1762)
Citazione posta a epigrafe del nostro "A prova di INValSI" del 2005 e ci par giusto ribadire oggi: la priorità del desiderio di indagare rispetto all'ansia (e alla presunzione) del rispondere dovrebbero continuare a essere una regola aurea dei sistemi educativi, con o senza istituti nazionali di rilevamento della loro efficacia. Anzi, soprattutto quando sia necessario salvaguardare il senso dell'apprendere dai controsensi del valutare.