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16/09/2019

Che cos'è cambiato nell'esame conclusivo del primo ciclo?

di Claudia Dogliani, Carmela Fortugno, Sergio Selvaggi

Sui cambiamenti degli esami di Stato siamo già intervenuti con una serie di notazioni e riflessioni critiche, pubblicate quando vennero emanate le nuove norme e raccolte nello "speciale" del 2018 Non solo di prove di esame .

Ora, dopo aver assistito all'attuazione delle nuove norme nella sessione d'esame 2018-19, con annessi e assai discutibili interventi formativi dell'amministrazione, dopo averne discusso nei nostri gruppi di ricerca, riapriamo il confronto su questi temi, poiché riteniamo che ciò che sta accadendo stia gravemente danneggiando la didattica e non solo dell'italiano. 

Lo facciamo con un intervento a più voci, che, riprendendo l'excursus dell'intero iter normativo, fa il punto sui reali o presunti "cambiamenti" in atto nel primo ciclo.

A breve pubblicheremo anche un'analisi più approfondita delle implicazioni indotte dai cambiamenti relativi alla prova scritta di italiano che, insieme alle procedure per il colloquio, riteniamo siano (per il primo ciclo come anche per l'esame di Stato finale) tra le "innovazioni" più deleterie.
 

 La riforma dell'esame conclusivo

La riforma dell’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione è l’ultimo atto di un iter normativo, avviato dalla legge 107 del 2015 (la “Buona scuola”), che, all’articolo 1, commi 180 e 181, indica fra le materie delegate al governo “l’adeguamento della norma in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato, anche in raccordo con la normativa vigente in materia di certificazione delle competenze”. Tale adeguamento è avvenuto attraverso l’emanazione di una serie di decreti, circolari e documenti di indirizzo. [1]

Gli interventi normativi

Decreto Legislativo n. 62 del 13 aprile 2017, che ha individuato il numero, la tipologia e le finalità delle prove; Decreti Ministeriali n. 741 e n. 742 del 3 ottobre 2017;
Nota Circolare n. 1865 del 10 ottobre 2017, "Indicazioni in merito a valutazione, certificazione delle competenze ed Esame di Stato nelle scuole del primo ciclo di istruzione";
Documento di orientamento per la redazione della prova d’Italiano nell’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione” del 16 gennaio 2018, che integra e amplia le norme precedenti.

La normativa è stata resa immediatamente esecutiva nell’a.s. 2017/2018 e portata a conoscenza delle scuole ad anno scolastico in corso, incidendo così sull’attività didattica che ha dovuto necessariamente adeguarsi a tipologie di prove in parte nuove, senza tener conto che l’esame finale del primo ciclo di istruzione si riferisce a un percorso di apprendimento triennale.

La normativa ha preso in considerazione solamente la verifica degli apprendimenti, non affrontando una seria riflessione sul processo che porta alla loro acquisizione. Ciò fa supporre che si voglia orientare l’acquisizione degli apprendimenti attraverso la loro valutazione, come già lasciava intendere la dichiarazione della ministra Fedeli rilasciata al momento della presentazione del documento di orientamento della Commissione Serianni: “Il documento finale è di alto valore e potrà rappresentare un’utile guida per le nostre e i nostri docenti anche nell’attività didattica quotidiana, oltre che in vista dell’Esame finale del primo ciclo” [1].

L'ammissione degli alunni

L’art. 2 del DM 741/2017 presenta alcune precisazioni e novità.

  • La partecipazione alle prove Invalsi diventa requisito d’ammissione all’esame, ma non incide sulla votazione finale. Questo aspetto dell’esame era stato in precedenza fortemente criticato in quanto gli esiti di queste prove influivano in modo eccessivo sul voto finale: la normativa vigente lo parificava a quello delle tre prove scritte e della prova orale e, soprattutto, al voto di ammissione. Lo svolgimento delle prove Invalsi è anticipato ad aprile, è computer based e prevede, in aggiunta alla prova di italiano e matematica, quella di inglese. È da rilevare come l’uso del computer cambi l’interazione con il testo e non permetta all’allievo di utilizzare tutti quegli strumenti che favoriscono la lettura e la comprensione e che costituiscono l'essenza di una buona didattica della comprensione (per es. sottolineatura, annotazioni, sintesi parziali, titolazioni…).
  • C’è una maggiore attenzione al percorso formativo dell’allievo in quanto il voto di ammissione, espresso dal Consiglio di Classe sulla base degli studi compiuti nel triennio, acquista maggior valore per l’esito finale.
  • Non è più necessaria la sufficienza in tutte le discipline perché l’allievo venga ammesso all’esame.
  • Viene abolito il tanto discusso voto di condotta e sostituito con un giudizio sintetico che non incide né sull’ammissione all’esame né sulla valutazione finale.

La Commissione d'esame

L’art. 4 del DM 741/2017 nel descrivere la composizione della Commissione d’esame, così recita: “Presso ciascuna istituzione scolastica è costituita una commissione d’esame, composta da tutti i docenti del Consiglio di Classe".
Se ne evince che i docenti di religione cattolica e di attività alternativa sono parte integrante della commissione, per cui partecipano a tutte le operazioni di svolgimento dell’esame, compresa la valutazione degli allievi. È da rilevare che nella scheda di valutazione i docenti di IRC e di materie alternative esprimono non voti ma giudizi e che nelle Indicazioni nazionali l’insegnamento della religione cattolica non è, giustamente, inserito tra le discipline di studio. La normativa del 2017 non specifica se i docenti in questione debbano essere presenti entrambi ai colloqui degli allievi che non si avvalgono del loro insegnamento, se debbano firmare le loro prove d’esame e se possano esprimere un voto nei loro confronti in sede di valutazione finale. L’introduzione di questa prescrizione e la mancanza di chiarezza in alcuni dettagli si configurano come un elemento discriminante nei confronti degli allievi che hanno scelto di non avvalersi di queste due discipline.
La norma - come più volte sottolineato da associazioni di insegnanti, di genitori e da organismi delle minoranze religiose - è incongruente con l’impianto laico e plurale della scuola pubblica espresso nella Costituzione Italiana.
L’articolo 4 prevede, inoltre, che per ogni istituzione scolastica le funzioni del Presidente della Commissione vengano svolte dal dirigente scolastico. Il fatto che in passato queste funzioni ricadessero su un dirigente scolastico esterno all’istituto dava maggiori garanzie di trasparenza e di oggettività all’esame.

Le prove d'esame

Il numero di prove è diminuito. L’art. 6 del DM 741/2017 prevede infatti tre prove scritte (Italiano, Matematica e Lingue straniere) e un colloquio. Come già specificato la prova Invalsi non è più parte dell’esame; inoltre la prova scritta relativa all’accertamento delle competenze nelle lingue straniere è unica, ma su entrambe le lingue.

La nuova prova scritta di italiano
La prova mira ad accertare “la padronanza della lingua, la capacità di espressione personale, il corretto ed appropriato uso della lingua e la coerente e organica esposizione del pensiero da parte delle alunne e degli alunni”. Il decreto ministeriale indica tre tipologie testuali, in parte nuove, che sono state poi esemplificate nel “Documento di orientamento per la prova scritta di italiano nell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo”.

  • “Testo narrativo o descrittivo coerente con la situazione, l’argomento, lo scopo e il destinatario indicati nella traccia”. Relativamente alla prova scritta di italiano, gli esempi riportati dal Ministero fanno riferimento solamente alla tipologia testuale del racconto, mentre non sono contemplate scritture di tipo soggettivo (diario e lettera personale), che gli allievi hanno modo di sviluppare nel corso del triennio. Il diario permette di fare emergere sentimenti, emozioni e riflessioni dando all’allievo la possibilità di riflettere sulle proprie esperienze o di assumere punti di vista diversi dal proprio, creando empatia con “l’altro”. La lettera è una tipologia testuale che gli allievi devono conoscere in quanto utile nella comunicazione quotidiana.
    Inoltre la proposta di un’alternativa incentrata unicamente sulla produzione di un testo descrittivo è riduttiva perché, pur costituendo un genere testuale su cui si lavora a lungo in classe, esso è finalizzato a essere utilizzato all’interno di testi di tipo differente (narrativo, espositivo e argomentativo, …), non come testo a sé.
  • “Testo argomentativo, che consenta l’esposizione di riflessioni personali”. Questa tipologia di prova era già presente nella normativa precedente, ma viene ora specificato che devono essere fornite all’allievo indicazioni di svolgimento.
  • “Comprensione e sintesi di un testo letterario, divulgativo, scientifico anche attraverso richieste di riformulazione”. Questa tipologia di traccia è un elemento di novità.
    ​La prova, strutturata in più parti, prende in considerazione la valutazione non solo di competenze di scrittura, ma anche di comprensione testuale. In questa tipologia di prova infatti alla scrittura si uniscono la lettura e la comprensione, l’individuazione di gerarchie nelle informazioni, l’analisi della lingua e del lessico. La presenza di una prova di comprensione incide sulla valutazione finale e rende quindi le tre prove non equivalenti né comparabili (in due si valuta unicamente la scrittura, nella terza anche la comprensione).
    A proposito della sintesi di un testo, nel Documento di orientamento l’attività di riscrittura [2] “é propedeutica all’affinamento delle tante scritture che lo studente dovrà affrontare nel corso degli studi, e in prospettiva, nella vita professionale”. Se è quindi un’attività preparatoria alla scrittura, la competenza di sintesi non dovrebbe essere oggetto di valutazione in sede di esame finale.
    Questa tipologia di prova per altro sostituisce quella che nella vecchia normativa era “la relazione su un argomento di studio, attinente a qualsiasi disciplina”. La relazione, su cui si lavora molto nella scuola di base, è una tipologia testuale propria dei manuali scolastici e consente lo sviluppo di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione dello studente; costituisce inoltre un prerequisito per l’accesso alla scuola superiore. Sarebbe bene dunque ribadirne il valore formativo e proprio per questo auspichiamo che sia reintrodotta fra le prove d’esame.

Una delle prove “può essere anche strutturata in più parti riferibili alle diverse tipologie”. Anche questo rappresenta un elemento di novità [3]. Si tratta di una proposta che appare particolarmente complessa da affrontare, mettendo in gioco competenze diverse creando discrepanze rispetto alla valutazione delle altre prove.

Notiamo infine che la scelta intrapresa dal MIUR di far seguire all’emanazione della norma un "Documento orientativo", che - seppure non vincolante - di fatto potrebbe condizionare l’attività didattica e la preparazione delle prove, si configura come un’ingerenza nella pratica didattica quotidiana.
Inoltre le case editrici subito dopo la pubblicazione del documento hanno preso alla lettera gli esempi forniti dal Ministero, diffondendo sul mercato editoriale pubblicazioni che vi si conformavano, suggerendo ai docenti tracce di scrittura e griglie di valutazione. Sono state a tale fine anche inserite apposite sezioni nelle antologie, indirizzando in questo modo le scelte degli insegnanti.

La prova scritta relativa alle competenze logico-matematiche
Il DM 741/2017 prevede che la prova scritta relativa alle competenze logico-matematiche accerti “la capacità di rielaborazione e di organizzazione delle conoscenze, delle abilità e delle competenze acquisite dalle alunne e dagli alunni nelle seguenti aree: numeri; spazio e figure; relazioni e funzioni; dati e previsioni”. È stata introdotta la possibilità per la Commissione d’esame di fare riferimento a metodi di analisi, organizzazione e rappresentazione dei dati, caratteristici del pensiero computazionale.

La prova scritta sulle competenze in lingua straniera
Le prove finali di inglese e di una seconda lingua si svolgono in due sezioni distinte (i livelli richiesti sono diversi: A2 e A1), nella stessa mattinata, e il voto finale è unico.
Per gli allievi è molto faticoso effettuare nella stessa mattinata prove in due differenti lingue straniere. Ciò ingenera confusione, soprattutto negli allievi con BES e con DSA. Si è notato che nei risultati viene penalizzata la disciplina la cui prova viene effettuata per seconda in quanto i ragazzi hanno maggiori difficoltà di concentrazione.

Il colloquio
Il colloquio deve accertare la “capacità di argomentazione, di risoluzione dei problemi, di pensiero critico e riflessivo, di collegamento organico e significativo tra le varie discipline di studio” ed “è finalizzato a valutare il livello di acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze descritto nel profilo finale dello studente” secondo le Indicazioni nazionali per il curricolo  del 2012.
La prova quindi non va ricondotta a un repertorio di domande o risposte privo di un organico collegamento o a una somma di colloqui distinti per disciplina, come affermava il DM del 26 agosto 1981 relativo ai “Criteri orientativi per gli esami di licenza media”. [4]

In ogni caso la norma risulta ambigua e ogni scuola nel 2018 e nel 2019 ha deliberato le modalità di conduzione degli esami anche in merito al colloquio arrivando a conclusioni molto diverse. Ci sono stati istituti in cui si è scelto di condurre la classica interrogazione; altri in cui, partendo da un argomento centrale scelto dal candidato, sono state affrontare le varie discipline; altri in cui gli allievi hanno estratto, qualche settimana prima o il giorno stesso dell’esame, un argomento da sviluppare nel colloquio. Come debba svolgersi il colloquio resta dunque un problema aperto e un elemento non chiarito dalla normativa, che lascia spazio a interpretazioni diverse da scuola a scuola e rende poco attendibile la prova stessa, creando differenze di valutazione tra gli studenti dei diversi istituti.
Un’ulteriore ambiguità è data dal fatto che la norma faccia riferimento all’accertamento di competenze trasversali piuttosto che disciplinari.

Una novità introdotta dalla riforma riguarda ancora i livelli di padronanza delle competenze connesse all’insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione", la cui valutazione trova espressione nel complessivo voto delle discipline dell’area storico-geografico [5] e che il candidato deve dimostrare di avere acquisito in sede di colloquio. Si tratta di una situazione complessivamente assai poco chiara, che coinvolge e confonde valutazione (in voti) delle discipline, certificazioni (in livelli descrittivi) delle competenze, ed esiti dell'esame (relativi all'andamento del colloquio). Il tutto, ora, in questo ambito, è reso ancora più incerto dall'approvazione della legge che ripristina l'"educazione civica" e della recente sospensione della sua applicazione!

Gli allievi con disabilità e con bisogni educativi speciali
All’articolo 14 del DM 741/2017 è indicato che le sottocommissioni predispongano prove differenziate per gli allievi con DSA e con disabilità, coerenti con quanto previsto nei rispettivi PDP e PEI. Il decreto non cita gli allievi con Bisogni Educativi Speciali. Quindi agli allievi con Disturbi Specifici dell’Apprendimento e con disabilità viene riconosciuto il diritto di usare all’esame gli strumenti compensativi e dispensativi e, nel caso fosse necessario, anche di fruire di tempi aggiuntivi.  Gli allievi con Bisogni Educativi Speciali non possono invece disporne (neanche nelle prove Invalsi), nonostante ne abbiano fruito quotidianamente per tre anni, a meno che la commissione deliberi in sede preliminare che tutti gli allievi della classe abbiano diritto a strumenti compensativi e misure dispensative.

Il voto finale

L’art. 13 del DM 741 dà indicazioni chiare e univoche sul calcolo del voto finale, che è volto a valorizzare il percorso triennale dell’alunno.  Concorrono infatti a determinarlo “la media tra il voto di ammissione e la media dei voti delle prove scritte del colloquio”. La valutazione continua ad essere espressa in decimi. Perciò, pur avendo il nuovo esame di Stato prestato una maggiore attenzione al percorso di studi dell’allievo, esso ha sicuramente dei limiti oggettivi derivanti in particolar modo dal non aver abolito la valutazione decimale al fine di promuovere una valutazione degli apprendimenti e degli esiti conclusivi attendibile ed efficace.

La valutazione finale si correda anche  della “Certificazione delle competenze” che lo studente dovrebbe avere acquisito al termine del primo ciclo di istruzione. Il DM 742 indica infatti i criteri e le procedure della “Certificazione delle competenze” per livelli e trae ispirazione e criteri non dalle discipline di insegnamento, ma dalle otto competenze chiave così come indicato dalle "Raccomandazioni" europee in fatto di educazione degli adulti. Essa va ad affiancare i risultati dell’esame espressi in voti e giudizi, come indicato dal DM 741. Questa modalità di valutazione, proposta in due differenti decreti, evidenzia una contraddizione tra la valutazione degli apprendimenti disciplinari espressi in decimi e la certificazione delle competenze espressa in livelli di prestazione, infatti, voti decimali e certificazione delle competenze non rimandano solo a due diverse modalità di ratificare gli esiti o a differenti prove e criteri per definirli, ma  a concezioni della scuola antitetiche, che si chiede agli insegnanti di far coesistere e rendere compatibili.

Il piano di formazione e informazione nazionale

Nella nota circolare n. 1865 del 10 ottobre 2017 è prevista da parte del MIUR, in collaborazione con gli Uffici Scolastici Regionali e con l’INVALSI, la predisposizione di un piano nazionale di informazione che prevede interventi di formazione a livello territoriale con l’individuazione di scuole polo di riferimento. Si tratta di una formazione “a cascata” su modelli di prove che non sono stati validati in precedenza.

Nelle attività di formazione si è spesso fatta confusione tra ricerca, formazione, sperimentazione e prescrittività delle indicazioni fornite. In molti casi, anziché chiarire le contraddzioni delle norme e dare indicazioni su come gestirle, per le attività formative se ne sono aggiunte altre, moltiplicando incongruenze e disomogeneità, che si sono rivelate particolarmente acute sul senso, la conduzione, i contenuti, le procedure e la valutazione del colloquio.

Riteniamo che la nuova tipologia di esame non sia stata quindi supportata da una riforma strutturale e coerente del sistema di istruzione nazionale e rischi così di aggravare i problemi già esistenti nelle scuole, legati anche a una non compiuta e malintesa autonomia scolastica. Auspichiamo pertanto che, a fronte dell’eccessiva prescrittività ministeriale, nelle scuole gli insegnanti tornino a studiare, a sperimentare, a fare ricerca. 

 

Note

1. Dalla conferenza stampa del 16 gennaio 2019.
2. “Riscrittura parafrastica per allargamento, in particolare di un testo poetico; riscrittura riassuntiva, per riduzione; riscrittura plurima per sintesi sempre più stringenti; riscrittura per selezione delle informazioni” (Cfr. "Documento di orientamento per la redazione della prova di italiano nell’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo").
3. L’esempio riportato nel "Documento di orientamento" prevede una batteria di domande a risposta chiusa (vero/falso) e unisce una prova sul modello Invalsi alla richiesta di scrivere un riassunto, di immaginare un titolo, di descrivere un animale mai visto prima, di scrivere un breve racconto e di esprimere le emozioni vissute durante l’incontro.
4. Sugli esami che seguirono ai "Programmi" del 1979, si veda Daniela Casaccia, "Un confronto con il DM 26 agosto 1981", "insegnare", 05.02.2018
5. "Nota circolare n. 1865 del 10.10.2017".

Parole chiave: esami

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