Home - la rivista - cultura e ricerca didattica - Educazione civica a scuola...

temi e problemicultura e ricerca didattica

16/03/2019

Educazione civica a scuola...

di Rosa Maria Maggio

... ovvero la sconosciuta su cui tutti sproloquiano

Il tema della necessità di insegnare educazione civica a scuola è ricorrente nel dibattito sui criteri di formazione dei cittadini del futuro. Nella scuola della Repubblica il primo passo con cui l'amministrazione scolastica ha regolamentato tale insegnamento, risale al 1958, quando Ministro della Pubblica Istruzione era Aldo Moro. Di fatto l'educazione civica ha avuto un'attenzione scarsa nella scuola italiana attraverso i percorsi curricolari, perlopiù come ancella degli studi storica. Negli anni più vicini a noi il Ministro Gelmini, durante il Governo Berlusconi, ma in virtù anche della pressione di altri soggetti politici, stabilì che l'educazione civica sarebbe stata sostituita dall'insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione" [1].
Sicuramente l'attenzione al tema nasce da una valutazione sullo stato dell'osservanza delle regole da parte dei giovani, come se tutto ciò che ci inquieta del loro disagio dipendesse esclusivamente dalle mancate conoscenze delle regole. Non si può ignorare che nella formazione influiscono aspetti diversi oltre a quelli legati allo sviluppo biologico. Mi riferisco all'influenza della famiglia, della scuola e del contesto sociale.
Ora il Governo in carica ci riprova ed entra a gamba tesa nel dibattito sulla formazione dei giovani e la loro inosservanza delle regole, con una modifica dell'Esame di Stato [2] in corso d'anno, che introduce “Cittadinanza e Costituzione” fra le discipline delle prove orali a quiz anche in quei percorsi curricolari dove non sia presente l'insegnamento del Diritto Costituzionale e quindi sicuramente nelle prove d'esame dei licei.

Come insegnanti democratici e  di discipline Giuridiche abbiamo sempre avuto a cuore il loro insegnamento e il loro apprendimento da parte dei ragazzi, dato il loro carattere specialistico e formativo di un cittadino consapevole e responsabile.  [3]
Riteniamo però, che, come tutti gli apprendimenti che richiedano una certa capacità di astrazione, lo studio di queste discipline non possa essere anticipato in tenera età, cioè in quel periodo della vita che precede l'acquisizione di quelle capacità elaborative che non sono presenti in un bambino. Specificatamente, secondo le teorie psicologiche sull'età evolutiva, questa capacità non si completa  prima dei 15 anni e infatti l'anticipo di questo insegnamento al biennio degli istituti tecnici e professionali non ha sortito gli effetti sperati.

L'anticipazione di un insegnamento più disciplinarista ai primi anni di scolarizzazione (primaria e secondaria di primo grado)  rischia a nostro avviso di sviluppare un apprendimento mnemonico, da premiare o stigmatizzare con voti, che poco hanno a che fare con una formazione, adeguata all’età, alla costruzione di una persona che fondi le sue scelte su principi universali e condivisi.
Altra cosa, invece, è ritenere fondamentale l'insegnamento, trasversale a tutte le discipline, di quei principi su cui si fondano le società democratiche, e cioè il principio di uguaglianza, la solidarietà, la legalità, le libertà.
Attraverso ogni percorso disciplinare l'insegnante può stimolare i ragazzi e i bambini a riflettere su questi principi, innanzitutto nella vita di gruppo all'interno della classe e della scuola, attraverso la sperimentazione dei benefici che nascono dalla loro osservanza e le conseguenze dannose della loro inosservanza, sia in famiglia che in tutti i contesti sociali nei quali gli allievi esprimono la loro personalità. Con la consapevolezza che comunque la scuola non può essere lasciata sola in questo compito, poiché se essa, in base a talune ricerche, è forse responsabile di un 30% delle acquisizioni culturali e sociali dei ragazzi,  l'altro 70% è ripartito tra società, famiglia e genetica (quanto meno in Italia perché negli Stai Uniti la percentuale scende al 10%). 

Gustavo Zagrebelsky, nella sua relazione al Convegno Nazionale CIDI del 2005,  facendo riferimento al ruolo della scuola nel promuovere occasioni di ragionamento, discussione, confronto di identità diverse, di sperimentazione, di possibilità di errore, di atteggiamento altruistico, sostiene che la scuola dovrebbe promuovere un certo tipo di relativismo nell’ambito dell’approccio democratico, assumendo la posizione di chi non ha verità assolute da difendere. Questo atteggiamento non ha nulla a che vedere con un insegnamento valoriale e dogmatico che potrebbe invece derivare da un insegnamento precoce, a-tecnico, di valori di Stato da verificare e valutare. Zagrebelsky afferma ancora che i valori sono

“tirannici, cioè contengono una propensione totalitaria che annulla ogni ragione contraria. Anzi i valori stessi si combattono reciprocamente, fino a che uno solo prevale su tutti gli altri. Le limitazioni e i condizionamenti sono un almeno parziale tradimento del valore limitato e condizionato. Per questo si è parlato di ‘tirannia dei valori’, ancora per questo, chi integralmente si ispira all’etica del valore è spesso un intollerante, un dogmatico”.  [4]

Di questi tempi soffia un'aria diversa. Anche l'ANCI è entrato a gamba tesa in questa partita lanciando una iniziativa di raccolta di firme per l’approvazione di un disegno di legge di iniziativa popolare proposto dal Comune di Firenze ed ANCI, per introdurre l'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione in tutte le scuole di ogni ordine e grado. E quindi di farne una materia vera e propria, con apposito docente, registro e valutazione: una proposta, quindi, trasversale alle forze politiche, rispetto alla quale in molti  fra gli insegnanti siamo fortemente critici.
Come al solito, tutti si arrogano il diritto di sapere da quale origine derivi per alcuni ragazzi il problema di non farcela a rispettare la legalità o comunque dell’essere insofferenti alle regole. Mai che ci si rivolga alla scuola e anche alle famiglie per conoscere un punto di vista specifico e magari trovare altre soluzioni condivise.

Fa riflettere e preoccupa che l'approccio nei confronti del disagio, della difficoltà giovanile, venga affrontato, da un lato, medicalizzando la scuola nel senso che chi è diverso deve avere un approccio diverso e quindi lievitano i BES, i DSA, ecc., con una crescita esponenziale delle certificazioni cliniche [5]. E dall’altro, preoccupa l'introduzione in forma disciplinare dell'insegnamento della Costituzione in tutte le scuole, come se chi non conosca il principio di uguaglianza o il numero dei parlamentari, attraverso  una valutazione insufficiente abbia lo stimolo per imparare i vari articoli della Costituzione, magari a memoria, con l’automatica conseguenza che non si abbia più una società senza mafiosi, corrotti, evasori fiscali, ecc.

Mauro Ceruti nella premessa alle Indicazioni nazionali  per il curricolo nel lontano 2007, elaborate dalla Commissione di cui fu  Presidente dice:

“Nell'esperienza scolastica non basta ricorrere ad una serie di “raccordi” tra materie, tra discipline: occorre un cambiamento di prospettiva radicale. Nella nostra società, la scuola svolge il ruolo decisivo nella costruzione delle mappe cognitive degli individui.” [6]

Sembra invece che nella società complessa, il politico di turno cerchi di trovare soluzioni semplici, che sono quelle dell'uomo della strada, come se  le competenze specifiche non servissero più a nulla e chiunque potesse intervenire su qualunque tema...
“Questo lo dice lei!?”  È il contradditorio della nuova politica verso chi su certe questioni può a buon diritto contraddire, non foss'altro perché se ne è occupato, o ha dedicato la vita a studiarle . Nella scuola è quasi peggio: tutti siamo andati a scuola, quindi abbiamo titolo per parlare di educazione e istruzione, siamo stati figli e oggi magari siamo genitori e poi... chi non ha in famiglia almeno un parente insegnante al quale può chiedere un consiglio!
Dice Tullio De Mauro:

“Dobbiamo tener conto del fatto che in materia di scuola e di lingua molti intellettuali e politici, dato che sono andati a scuola e a scuola ci va la sorellina o la nipotina, e dato che parlano, si sentono autorizzati a sparare panzane a ruota libera.” [7]

Anche nella breve rivisitazione delle Indicazioni nazionali del precedente Governo, “Indicazioni nazionali e nuovi scenari”, emanato dal MIUR  il 1 marzo 2018, riprendendo il richiamo delle Indicazioni nazionali all'educazione alla Cittadinanza in cui si sottolinea che gli allievi, attraverso  percorsi esperenziali, imparino a riconoscere e rispettare i valori sanciti dalla Costituzione, in verità si richiama la necessità di introdurre la conoscenza della Carta Costituzionale ed in particolare della prima parte e della parte riguardante l’organizzazione dello Stato. [8]
Con una operazione  forse non del tutto inconscia, si passa dalla necessità che gli studenti imparino a riconoscere e rispettare i valori costituzionali, alla prescrizione di una conoscenza delle norme fondamentali e ordinamentali della Costituzione. 
Ovviamente siamo pienamente d'accordo per introdurre invece lo studio disciplinaristico del Diritto Costituzionale, Civile e delle Scienze delle Finanze nei trienni superiori dove questi saperi non siano presenti (e cioè nei Licei). Ma penso che su questo fronte innovativo ci sarà da attendere.

Note

1. Legge 30 ottobre 2008, n. 169,"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università".
2. Cfr. MIUR, "Esami di Stato".
3. Cfr. R.M. Maggio, "L'associazione Treellle e l'educazione alla cittadinanza nella scuola superiore italiana", insegnare, aprile 2016.
4. Un resoconto dell’intervento è leggibile a questo indirizzo .
5 D. Novara, Non è colpa dei bambini, Rizzoli, 2017.
6. MIUR, “Annali della Pubblica Istruzione”, n.  4-5/, 2007.
7.T.  De Mauro,  L'educazione linguistica democratica, Laterza, Bari, 2018.
8. MIUR, "Indicazioni nazionali e nuovi scenari", pp.5-6, Roma, 2018.


La posizione sostenuta in questo articolo, ovvero la necessità, che, nella scuola dell’obbligo, l’educazione alla cittadinanza sia parte integrante del curricolo e coinvolga tutte le discipline, senza forzature e anticipazioni è stata storicamente sostenuta dal Cidi e da “insegnare”.

La nostra rivista dedicò a queste tematiche un dossier, che è disponibile per gli abbonati.

 

Scrive...

Rosamaria Maggio Docente di diritto nelle scuole superiori, già vicepresidente nazionale del Cidi

sugli stessi argomenti

» tutti