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07/03/2021

Il paesaggio attraverso le discipline

di M. Gloria Calì
Tra le priorità per la costruzione della cittadinanza a scuola parole come “paesaggio”, “ambiente”, “territorio”... entrano da tempo nelle dichiarazioni di intenti, e quindi nella pratica agíta degli insegnanti. Da quando queste parole sono entrate nei documenti ufficiali degli enti nazionali e internazionali, ad esse si è aggiunto anche “patrimonio”, fino ad arrivare, nel 2020, al predominio istituzionale di “sostenibilità”, termine ombrello che tiene in sé non solo un certo ventaglio di argomenti da insegnare e da imparare, ma anche un orizzonte valoriale da coltivare. L’ultima declinazione legislativa è la legge 92/2020 sull’educazione civica, in cui una delle macroaree contenutistiche è definita come “sviluppo sostenibile”. Diremo solo per inciso che il termine è già presente e compiutamente articolato fin dalla "Dichiarazione di Lucerna sull’educazione geografica per lo sviluppo sostenibile" (2007) , in cui si sancisce la “necessità di considerare come la natura, la società e gli individui siano tra loro interconnessi”. 
Tutta questa materia è inserita di regola nell’ambito disciplinare della geografia, perché indubbiamente la dimensione spaziale delle aree di contenuto (elementi naturali, interventi insediativi; uso del suolo e delle risorse, demografia, ecc.) le rende profondamente connesse con quella disciplina. Il territorio disciplinare limitrofo è quello delle scienze, ma, in realtà, se si rovescia la prospettiva e si approfondiscono le implicazioni didattiche e il potenziale formativo di questi tratti di curricolo, si evidenziano altre dimensioni, che trasformano la materia in un modo di leggere la complessità del reale. Vengono così agganciate molte altre aree disciplinari, e l’efficacia culturale risulta vincolata all’assunzione di una trasversalità non solo contenutistica, ma anche metodologica, e a una impostazione progettuale verso la didattica attiva. 
 

Già del 2010, Benedetta Castiglioni nell’introduzione alla traduzione italiana del report “Education on landscape for children” del Consiglio d’Europa scriveva:  "Il paesaggio non può più venire relegato all’interno dell’insegnamento della geografia, [...] ma si può parlare oggi di educazione al paesaggio come di una delle possibili facce dell’educazione allo sviluppo sostenibile e si possono individuare obiettivi, metodologie e strumenti per sviluppare percorsi didattici su questo tema in una prospettiva trasversale alle discipline." 

Questa trasversalità intrinseca e irrinunciabile deriva dalla definizione che è stata data istituzionalmente e che costituisce l’art.1 della "Convenzione europea sul paesaggio" del 2000: “Paesaggio designa una determinata parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva da fattori naturali e/o antropici e dalle loro interrelazioni”. In questa definizione si trovano non solo gli elementi da studiare, cioè gli elementi naturali e antropici, ma anche le comunità, le persone, e il loro punto di vista sui paesaggi a cui appartengono. Fattori naturali e antropici e popolazioni, infatti, non sono distinguibili e categorizzabili, in quanto il risultato sarebbe una lettura rigida e selettiva, che ridurrebbe il paesaggio a un disegno; i fattori suddetti vanno posti come elementi di una relazione dinamica, quindi più complessa. Partire da questa accezione di paesaggio determina un modo di insegnarlo che ne deve preservare questi caratteri anche negli apprendimenti, che, quindi, risultano significativi solo se si concretizzano nella costruzione di approcci autonomi di lettura e interpretazione, con la necessaria gradualità nei vari ordini di scuola.


Scrive ancora Castiglioni: "… alle descrizioni dei 'tipi di paesaggio' di cui per lo più si occupano i testi scolastici di geografia, oggi, in un’epoca di globalizzazione in cui i paesaggi sono sempre più velocemente trasformati, pare sempre più necessario accostare percorsi di conoscenza attiva, partendo dai paesaggi locali, dal contesto di vita entro cui ci si colloca; se il paesaggio è il volto della terra, lo specchio delle società, il teatro in cui l’uomo è contemporaneamente attore (costruttore di paesaggio) e spettatore (osservatore, ammiratore, giudice dello stesso paesaggio), la sua scoperta, la sua lettura e la sua interpretazione possono costituire una esperienza formativa assai ricca, in grado di coinvolgere sia la sfera razionale che quella emotiva in un percorso graduale di rafforzamento del senso di appartenenza territoriale e di approfondimento delle questioni ambientali, nell’ottica dell’educazione alla sostenibilità e della costruzione di una cittadinanza attiva e responsabile".
Si definisce così non solo una materia scolastica, piuttosto un sistema culturale, un modo di “stare al mondo”.

In quest’ottica, la riduzione consueta di questo sistema all’ambito disciplinare della geografia attribuisce un compito sproporzionato all’esiguo numero di ore che le sono riservate nei piani di studio sia della scuola di base sia dei diversi indirizzi delle scuole di secondo grado. Questa limitazione strutturale si aggrava perché la didattica della geografia è improntata, incredibilmente, ancora alla restituzione orale dei paragrafi dei libri di testo, mentre i luoghi sono solo dei nomi, che fanno da sfondo neutro a battaglie, alle conquiste o alle scoperte dei resoconti storici. Lo scopo del sistema culturale, così, viene del tutto disatteso generando in alunni e alunne, che ben presto diventano adulti e adulte, un offuscamento dello sguardo e della comprensione dei contesti territoriali.  

Eppure, le Indicazioni nazionali del primo ciclo si fanno leggere facilmente, e nel paragrafo introduttivo alla disciplina “geografia” si trovano termini netti come “dimensione temporale”, “approccio interculturale”, e il paesaggio è definito come “contenitore delle memorie materiali e immateriali, anche nella loro proiezione futura”. 

Si legge, inoltre, anche qui, di approccio attivo e di esplorazione come alcune delle posture più importanti nell’apprendimento della disciplina.
Nelle Indicazioni per i licei (2010) l’attenzione per la geografia è invece molto sbiadita, con un veloce accenno solo ad alcune tracce contenutistiche e a “temi-problemi”.
Più significativa, invece, la configurazione epistemologica della disciplina nelle Linee guida per i tecnici e professionali (2010), in cui si parla proprio di “chiavi di interpretazione” e si fa riferimento alle “fonti”: la geografia, quindi, “richiede un approccio laboratoriale”, si legge, e assume il valore di un “momento didatticamente propulsivo”.
Attraverso il D.M. 11/9/2014, infine, con l’introduzione della geografia generale ed economica in alcuni indirizzi di tecnici e professionali, si arriva a prescrivere, come traguardo di competenze, un significativo “comprendere” “in dimensione diacronica e sincronica”, e, soprattutto, si esplicita il traguardo del riconoscere la complessità. Sarebbe importante sapere come e quanto queste competenze siano attivate e coltivate.

Per tenere quindi il paesaggio dentro il curricolo, nei vari ordini di scuola, occorre che non ci si ponga l’obiettivo di insegnare il paesaggio, né di suscitare automaticamente comportamenti ritenuti “corretti”, ma di fornire, con la necessaria gradualità, l’attrezzatura e le procedure necessarie per una lettura e un’interpretazione propria del paesaggio stesso, in cui si collochi la dimensione del binomio responsabilità individuale/scelte collettive. Si deve quindi progettare il “laboratorio sul paesaggio”, cioè percorsi in cui argomenti, linguaggi e strumenti si incontrino attraverso le dinamiche cognitive di chi impara, costruendo letture, riletture e interpretazioni del paesaggio a diversa scala territoriale e a diverso livello di complessità [1]
L’insegnante, quindi, non può e non deve inseguire la quantità di conoscenze da coltivare (i continenti, le fasce climatiche, le produzioni industriali...) ma, sulla base degli assetti culturali propri del suo ordine di scuola, scegliere un punto di vista da cui osservare tutti gli altri; il punto di vista può essere un paesaggio con caratteristiche specifiche (per es. il deserto) o una struttura interpretativa (per es. il confine) o un tema (per es. la mobilità urbana). A partire da questa cornice problematica, gli elementi e i fenomeni costitutivi si esaminano con il contributo di fonti diverse di informazioni geografiche, per non perdere di vista l’obiettivo fondamentale dell’iniziativa didattica: la costruzione di una chiave di lettura autonoma. Non importa quanto profonda sia la lettura e che grado di complessità si decide di indagare: ciò che rende questa dinamica culturalmente rilevante è la strutturazione di ciò che le Indicazioni nazionali del 2012 definiscono “senso dello spazio”.

Le informazioni sul paesaggio che, in assetto laboratoriale, si organizzano in conoscenze si possono presentare attraverso diversi linguaggi: da quello più geografico, cioè cartografico, a quello quantitativo, attraverso i dati numerici, a quello storico, cioè le rappresentazioni artistiche, senza trascurare le descrizioni letterarie, che riconducono a quella dimensione di percezione soggettiva che abbiamo già richiamato come fattore imprescindibile nella conoscenza. Questa molteplicità di linguaggi è il tratto realmente significativo di trasversalità con cui la lettura del paesaggio si definisce, e richiede una padronanza da parte del docente che si può costruire con la cura costante per la propria formazione culturale e professionale. 
Il laboratorio sul paesaggio, come tutti gli approcci attivi, diventa incidente e orientante nella crescita culturale di alunni e alunne se sostenuto da una postura valutativa adeguata; in questo sistema didattico, valutare significa condividere con alunne e alunni non tanto la misurazione della quantità di informazioni immagazzinate, riorganizzate e restituite al momento stabilito, ma condividere il percorso verso l’assunzione di un punto di vista nuovo, verso la padronanza di una propria strumentalità nella lettura dei paesaggi, significa anche definire un nuovo modo di orientarsi, e, infine, assistere allo strutturarsi coerente di un desiderio di realtà diverse.

Interno, giorno; terza media, ora di storia; argomento: il colonialismo tra fine XIX e inizi del XX. Niente testi, né piegati né spiegati.
Prof.: “Guardiamo la carta a pag…: perché le diverse parti dell’Africa sono colorate in questo modo?”
Sofia (1).: “Qua la legenda dice che ci sono vari stati dell’Europa, in Africa…”
Prof.: “Cioè?”
Sofia (2): “Che, ad esempio, la Francia possedeva alcune parti, la Gran Bretagna altre…”
Prof.: “Ok. Adesso guardatela ancora, leggetela e fatemi tutte le domande che vi vengono.”
Stefano: “Prof, ma visto che la Francia ha tutto il territorio giallo, tutta la parte nord-ovest… il centro… il Madagascar…  perché non si prendeva anche tutto il resto?”
Giovanni: “Prof, com’è che l’Italia ha così poco?”
Mattia: “Come hanno fatto alcuni stati a restare indipendenti?”
Sofia (3): “Non si potevano mettere d’accordo e prendersi tutti parti uguali?”

Giuseppe: “Prof, io mi chiedo invece: dov’è l’Africa…”

 

Note


1. C. Giorda, M. Puttilli (a cura di), Educare al territorio - educare il 
territorio. La geografia per la formazione, Carocci, 2011; anche G. Calì, “Didattica del paesaggio in orizzontale e in verticale”, Rivista dell’Istruzione 5, 2015, pp. 45 ss.

 

Credits 

Immagini dall'archivio ©"insegnare" , 2020.

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