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27/08/2018

La scuola investita dall'onda PON

di Anna Locchi

Troppo spesso compaiono nel nostro Paese polemiche nei confronti dell’Unione Europea, criticata da taluni come una sovrastruttura che impedisce, obbliga, limita. Meno spesso emergono i fattori positivi della sua funzione politica, garanzia di pace e di coesistenza, di scambi economici e culturali, dispensatrice “equa” di fondi per i settori dei contesti nazionali.
In particolare, miliardi di euro vengono destinati all’Italia sotto forma di Programmi Operativi Nazionali (PON) destinati a finanziare sia interventi di natura materiale (tramite il FESR) che progetti immateriali (grazie al FSE), rivolti sostanzialmente ad opere di natura complessa su molti comparti pubblici, dalle strade, alla sanità, alla scuola. Ma l’Italia sembra non essere in grado di utilizzare le quote europee e, quando lo fa, è sempre in forte ritardo. La drammatica vicenda di Genova ci consegna che solo il 5% dei fondi per l’Italia per le infrastrutture e trasporti viene speso dal nostro Paese! È di queste ore la notizia, per esempio, che dei fondi destinati all’edilizia scolastica l’Italia  riesca a spendere solo il 10%, ma non si tratta di un caso isolato.

Poiché anche il mondo della scuola ne beneficia, la mia attenzione si rivolge ai “PON per la scuola”, finanziamenti europei che hanno l’obiettivo di favorire l’equità e la coesione e di promuovere le eccellenze. Questo duplice obiettivo è onorevole, perché tende sia a ridurre in maniera sensibile i divari territoriali, sostenere i ragazzi con maggiori difficoltà e rafforzare la rete degli istituti, eliminando ritardi o criticità esistenti; sia a consentire a tutti gli studenti di accedere ai percorsi didattici, valorizzando i meriti personali e le loro potenzialità, indipendentemente dal contesto sociale o economico di provenienza.
Nello specifico del nostro Paese, il Programma Operativo Nazionale (PON) del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, intitolato “Per la Scuola - competenze e ambienti per l’apprendimento”, è finanziato dai Fondi Strutturali Europei e contiene le priorità strategiche del settore istruzione, con una durata settennale, dal 2014 al 2020.  LAvviso quadro annuncia “840 milioni di euro in 10 azioni per una scuola aperta, inclusiva e innovativa” [1]. La cifra è veramente ghiotta e gli intenti sono altrettanto importanti: chi non vorrebbe innalzare la qualità degli apprendimenti, abbattere o contrastare l’abbandono scolastico, trovare strategie per una vera inclusione, o per professionalizzare gli studenti medi con percorsi di alternanza scuola – lavoro?

Dodici sono stati gli avvisi (di cui gli ultimi due si sono aggiunti nel maggio scorso); di questi dodici, i primi due sono stati emanati a fine 2015, gli altri nel 2017, con una discreta lentezza procedurale, dato che la programmazione europea va come abbiamo detto dal 2014 al 2020!
In ogni caso, da parte delle scuole è stato naturale sprigionare un forte interesse per gli avvisi PON e, abituate a ragionare con la mentalità delle formichine, si sono date da fare per creare progetti interessanti, originali, contestuali, volti a perseguire gli obiettivi posti dall’UE riguardo all’innalzamento delle competenze di base, all’inclusione, alla valorizzazione delle eccellenze, attraverso attività, strategie, contenuti sotto l’egida dell’innovazione e della laboratorialità, spesso sostenute da proposte che, prevedendo rientri pomeridiani per i ragazzi, campus estivi, fanno diventare la scuola un luogo il più possibile aperto, dove trovare sollecitazioni di qualità per la formazione individuale e di gruppo dei nostri giovani.
Un altro elemento di novità sta nella forte indicazione – rintracciabile negli Avvisi e nei Manuali - ad utilizzare, per quanto possibile, a individuare e favorire, all’interno degli istituti, le risorse e le competenze professionali acquisite dai docenti tanto che molti docenti hanno pensato: finalmente qualcuno ci riconosce professionalità e competenze da spendere per una innovazione persino retribuita!

Anche nel mio istituto, l’I.C. Perugia 4, di buona lena, cercando di mettere a sistema le esperienze di ricerca per l’innovazione e il miglioramento della didattica, ci siamo cimentati con la sfida e abbiamo elaborato ben otto progetti di ampliamento dell’offerta formativa, mettendo in gioco le competenze e i contributi di tanti team di docenti.
Scriverli, a conti fatti, è stata la fatica minore, perché subito dopo l’approvazione dei primi quattro, siamo stati investiti dalla pratica delle “piattaforme” GPU, SIF, DPO, MEPA, tutorial e manuali annessi, per non parlare del codice unico della scuola, del CIG, del CUP, gare di appalto, avvisi di gara, RDO, ODA… Un mondo di sigle con le quali le figure docenti e i dirigenti, responsabili dei progetti, hanno dovuto fare i conti insieme alle segreterie, trovandosi tutti improvvisamente in una tempesta di azioni da compiere, da studiare, da conoscere. Non so se questo aspetto si possa definire parte della formazione continua di un professionista della scuola, certo è che l’impresa si è rivelata veramente complessa!
Credo che non sia peregrino, quindi, narrare un’esperienza direttamente vissuta mettendo a fuoco i salti ad ostacoli che si devono superare per realizzare un progetto PON.
 Il primo banco di prova è la piattaforma GPU/Indire: complessa ma fattibile da seguire nella immissione. Molto dettagliata, richiede una mole di dati, compresa l’attenzione a inserire tra i partecipanti almeno un 30% di alunni svantaggiati. Fiduciosi, quindi, che le eventuali approvazioni seguissero itinerari similari siamo stati contenti di veder approvati i primi progetti. Ci mettiamo a studiare con serietà i manuali, e già da quelle letture cominciamo a comprendere che, in nome della trasparenza e dell’oggettività, le cose sarebbero state complicate. Vediamo con ordine.

Il numero limitato di studenti. Le adesioni degli studenti sono volontarie, proprio perché si tratta di attività e laboratori extra-orario scolastico. Le piattaforme prevedono che un modulo progettuale sia rivolto a 20 alunni, meglio qualcuno in più, visto mai che uno sia assente, perché in tal caso viene tolto il denaro corrispondente alla mancata presenza, a fronte di un importo di 5600 euro in tutto, materiali compresi. È evidente che la quantità di 20 alunni su circa 100/160 alunni di classi parallele, è un numero irrisorio, che consente di sviluppare attività innovative per un gruppo minoritario difficilmente in grado di trasferire successivamente ai tanti loro compagni i saperi acquisiti.

La piattaforma online GPU è molto dettagliata come si diceva, ma si apre secondo un preciso format “a cascata”, per cui non sai cosa ti aspetta dopo ogni passaggio di livello del programma. E in effetti, ecco che compare l’indicazione di come iscrivere i ragazzi alle classi: c’è un modulo di otto pagine (uguale dall’infanzia alla secondaria di II grado, come se le esigenze siano le stesse), che i genitori devono a loro volta ricevere, scaricare compilare e rinviare in pdf, in un unico file, comprensivo dei documenti di identità di entrambi. Non so se sia accaduto solo nella nostra scuola, ma vi è stata la fila di famiglie che portavano documenti a singhiozzo, che restituivano per fogli separati il testo unico, che non sapevano a loro volta scaricare e compilare in pdf … insomma il valutatore e la figura di supporto si sono dovuti far carico di aiutare le famiglie - quelle svantaggiate in modo particolare - per ottenere quel famoso testo unico in pdf che andava caricato in piattaforma.
Uno pensa … Beh, è stato complicato ma siamo giunti a comporre la classe. Nossignore! Occorrono i voti nelle discipline di italiano, matematica, scienze e inglese, dichiarare le assenze degli ultimi giorni di scuola, le classi di appartenenza e il plesso frequentato… Questo in barba dei sistemi informatici di Scuola in Chiaro, di SIDI ecc., che tra loro dovrebbero “parlarsi” e soprattutto di un dirigente, seconda fascia della PA, quindi pubblico ufficiale, che avrebbe potuto con una dichiarazione confermare la frequenza di quegli alunni in lista, alle scuole dell’istituto!
Ma il fatto più ilare sta nell’inserimento in piattaforma delle osservazioni sul singolo allievo: 30 item che corrispondono agli aspetti di relazione e di tipo socio affettivo, analizzati con valutazione da 1 a 10 a carico del tutor d’aula (una figura aggiuntiva al formatore) che, spesso non conoscendo i ragazzi, il primo giorno osserva, decide e dichiara. Per fortuna che tutti i colleghi della scuola hanno collaborato a definire valutazioni più realistiche, altrimenti… si va intenzionalmente… a casaccio!

Le figure per la gestione dei vari moduli tre: oltre al valutatore, con ruolo di coordinamento del progetto insieme al dirigente, c’è la figura di supporto alla gestione organizzativa, infine il formatore, il tutor e una “figura aggiuntiva” che definiremo counselor e che “svolge una funzione peculiare, in particolare viene coinvolta per esigenze specifiche degli allievi” per altro a compensi difficilmente compatibili con le professionalità richieste. Per ciascuno di questi, naturalmente è poi occorso fare avviso di bando, con la presentazione di: curriculum vitae aggiornato; domanda di partecipazione; predisposizione di una commissione di valutazione e punteggi da assegnare sulla base di un dettagliato formulario; determina a contrarre, lettera di contratto. Cose formalmente corrette, ma attenzione: non ci dobbiamo mai scordare di prendere protocollo, CUP, e se aziende, il CIG. Guai a non seguire pedissequamente la prassi, a nulla serve la rilevazione da parte del dirigente, anche per l’acquisto di una semplice targa pubblicitaria del valore di cinquanta euro!
Ciascuna figura deve assolvere a compiti specifici a fronte di un corrispettivo a chiusura delle attività. Direte: molto bene. Sì, se una scuola decide di mettere in campo pochi moduli e pochi progetti. Altrimenti è caos negli uffici amministrativi, oberati già fino al limite, con personale che è impegnato contemporaneamente nei propri compiti quotidiani, tenendo conto delle legislazioni vigenti in nome della trasparenza e privacy. Dall’avviso di bando, alla lettera di incarico è una filiera incredibile di azioni e carte che cade per forza sopra le teste del dirigente, del DSGA e delle due figure di coordinamento!

Poi, ecco che finalmente la piattaforma si apre per il formatore, il tutor e il counselor e scopriamo che ogni giorno si deve indicare se il programma della lezione già caricato e suddiviso praticamente ora per ora, deve essere confermato; si devono caricare i moduli di frequenza giornalieri, avendo fatto firmare gli alunni presenti, perché non ci si fida del registro presenze compilato dal tutor. Va indicato ora per ora (aggiuntive alle 30 ore di attività del modulo), quante ore e per quale singolo allievo c’è stata opera di counseling da parte della figura aggiuntiva, come se tutti e 20 gli studenti avessero problemi individuali, con buona pace delle dinamiche relazionali di gruppo  per cui tale figura è veramente importante.

Al termine delle attività, per le quali 30 ore appaiono scarse e inefficaci -se bastasse un tempo così breve per ottenere un cambiamento formativo, forse la scuola sarebbe davvero facilmente rivoluzionabile!-, di nuovo vanno inserite le  osservazioni sui cambiamenti evidenti di comportamento degli allievi attraverso le attività loro e l’impulso dei conduttori del modulo.
Si arriva quindi alla chiusura delle attività. Sotto la schermata CERT e REND si entra nel vivo della documentazione, che richiede nuovamente dati già inseriti messi in sintesi, documenti di spesa, di incarico, ecc., per poi entrare nella piattaforma finanziaria SIF riguardante il rendiconto contabile, dove si reinseriscono fatture, liquidazioni di compensi, documenti legislativi di carattere fiscale… Giunti a questo punto, non si può che dire: Finalmente questa attività è finita!

I problemi aumentano se si è pensato di fare acquisti di materiali (generalmente sempre mai sufficienti alle esigenze). Oltre alle procedure già citate, occorre essere sopraffini “commercialisti” o laureati in scienze economiche, altrimenti tra procedure per affidamento diretto ai sensi delle varie leggi in vigore, procedure nel mercato elettronico, procedure comparative, negoziali, di cottimo fiduciario, e chi più ne ha più ne metta, si entra in una giungla procedurale che, a cascata, apre sottofinestre continue fino a giungere a determinare che magari si è sbagliato procedura volendo solo acquistare materiali di facile consumo per qualche decina di euro.
Infine, arriva la verifica di primo e secondo livello, perché la tecnologia, in questo caso, permette di incrociare i dati inseriti nelle piattaforme e verificare la correttezza del procedimento. Se tutto è corretto, il team che si è occupato dell’immane lavoro può veramente riposarsi.

E allora…. Perché si chiede al mondo della scuola una tale farraginosa macchinazione, quando sarebbe bastata una normale attività sotto la responsabilità del dirigente attestante il rispetto dei criteri affermati in fase progettuale, la regolarità delle iscrizioni e delle adesioni delle famiglie, o l’assegnazione a bilancio di un corrispettivo conforme alle normali prassi amministrative, che le segreterie sono in grado di espletare? Perché si rende un momento importante di sperimentazione di innovazione metodologica e anche contenutistica, un farraginoso marchingegno tecnologico che svilisce e demotiva chi con entusiasmo si è cimentato nella sfida?

Mi vengono in mente due motivazioni possibili. La prima è riferibile a chi si è occupato di programmare la piattaforma a livello informatico. È evidente che il contatto con il mondo reale della scuola è inesistente, c’è quasi un perverso gioco a creare problemi piuttosto che a rendere snella ed efficace la procedura e rendere quindi la vita di chi vi si impegna, più serena. Gli stessi progetti Erasmus Plus sono davvero meno complicati!
La seconda motivazione è di tipo politico: 840 milioni di euro sono un’enormità per la scuola. Somme di questa entità o superiori sono state assegnate anche ad altri Paesi europei e ci si chiede come mai, sebbene  l’iniziativa si snodi dal 2014 al 2020, il Ministero ne abbia cominciato la diffusione solo nel 2016? Quali visioni educative sono sottese a questa dilazione? Vien da ritenere che, come spesso capita, la programmazione non sia nelle corde dei governi italiani! Come già espresso in premessa, non ci possiamo meravigliare se i finanziamenti europei vengono utilizzati con percentuali risibili, quando – a fronte di una determinazione datata 2014 – abbiamo atteso ben due/tre anni prima di poter cominciare l’iter dei bandi. Entro il 2020 tutto deve essere completato e chiuso, ma con questa giusta “spada di Damocle” sulle scuole si sono abbattuti nel giro di pochi mesi dieci avvisi di bando che, se accolti, diventano un problema più che una risorsa!

Della scuola tutti i politici e i governanti parlano e straparlano, talvolta è quasi auspicabile che non ne parlino, così riusciremmo a sopravvivere nonostante gli otto miliardi decurtati e mai restituiti né in cura degli edifici, né in premialità per le scuole. Queste veramente si accingevano a fare ricerca e sperimentazione seria, applicando strategie metodologiche efficaci ai bisogni delle nuove generazioni in tutte le classi, e non solo per pochi eletti.
Anche le tecnologie sono diventate un fenomeno vessatorio e costrittivo anziché uno strumento di facilitazione. E la formazione individualistica degli insegnanti degli ultimi anni non ha certo favorito l’idea di comunità educante che cresce collettivamente. Mi viene da ritenere che se le cose funzionassero bene, con sostenibilità e valorizzando le buone pratiche sul serio; avremmo la possibilità di creare veramente la una scuola italiana davvero buona, che si preoccupi di promuovere nei nostri giovani una formazione capace di renderli competitivi non solo in termini qualitativi (fatto evidente, dato l’alto numero di italiani impegnati all’estero per lavori di grande importanza) ma anche in termini quantitativi, perché riusciremmo a favorire le competenze disciplinari e trasversali a numeri molto più elevati di allievi.
Avremmo giovani che amano la scuola, lo studio, capaci di spirito critico e docenti che serenamente si dedicano loro, senza doversi perdere nel labirinto delle pratiche burocratiche per ottenere quello che dovrebbe essere garantito a tutti, nessuno escluso.

Peggio ancora, siamo proprio sicuri che non si sia pensato o ci sia un’intenzionale manovra di appesantire le scuole, che si vedono costrette, perciò ad affidare ad agenzie esterne interi pacchetti di attività e conseguenti denari, peraltro aggirando uno dei criteri assunti dai bandi, cioè di voler valorizzare le risorse interne alla scuola?

Sono di natura ottimista e fiduciosa, quindi non nego che si siano messi in moto meccanismi di riflessione, pensiero, di ideazione innovativa che potrebbero essere fenomeni di crescita professionale, di ricerca e di formazione continua. Ma il prezzo da pagare, per la scuola che decide di far da sola questi percorsi, è veramente troppo alto.
Le segreterie già oberate dalla “normale” attività in eterna tensione per le leggi, le circolari che troppo spesso cambiano, sono costantemente incalzate da chi, come me, non avendo dimestichezza con le procedure, chiede immediata reazione alle esigenze di far funzionare al meglio le attività progettate.
I docenti, che pur con desiderio si accingono a queste sfide, si trovano costretti ad affrontare problemi amministrativi e burocratici nonché tecnologici, senza averne competenza.
L’unica soddisfazione rimangono gli occhi vivaci ed entusiasti dei bambini e dei ragazzi che partecipano ai laboratori e che senza batter ciglio si sono presentati puntuali a scuola, in ore pomeridiane e dopo il termine delle lezioni a giugno.

 

Note

1. Vedi il documento ministeriale "Che cosa sono i Fondi Strutturali Europei" e il documento programmatico (di circa 200 pagine) "Per la Scuola competenze e ambienti per l'apprendimento".

 

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