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07/10/2021

Il PTOF da scrivere, la scuola da riscrivere

di M. Gloria Calì

Molte scuole, in questi giorni, si stanno dedicando alla riscrittura del PTOF (Piano Triennale per l’Offerta Formativa) per la triennalità 2022-2025.
Perché si chiama “offerta formativa”? Il termine “offerta” mi fa pensare a un vassoio d’argento, su cui poggiare bicchierini di rosolio, paste dolci ecc...., uno scenario privato, di gentilezze domestiche. Oppure, in un contesto più economicistico, al sistema domanda/offerta, beni/servizi…  
Nulla, quindi, che abbia a che fare con la scuola, che è un luogo di insegnamento/ apprendimento, quindi di conoscenza. 

Inoltre, perché il PTOF si chiama “piano”? Nel dizionario Treccani, il sostantivo, in ogni sua accezione, ha a che fare con qualità come piattezza e uniformità, mentre il paesaggio della scuola (e delle scuole) è composito, articolato e dinamico. Forse si potrebbe meglio dire “progetto”, che ha a che fare con un’idea e con i movimenti decisionali che rendono effettiva la scuola; l’aggiunta di “culturale” restituirebbe a essa la sua funzione nella negoziazione della conoscenza. “Progetto culturale”, quindi, o forse anche “struttura culturale”. Ecco, sì: “struttura culturale scolastica”, piuttosto che “Piano per l’Offerta Formativa”. La struttura è un sistema che viene progettato per assolvere a una funzione: in Treccani, alla voce “struttura” corrisponde una definizione che rende il senso della complessità:
[…] in senso ampio, la costituzione e la distribuzione degli elementi che, in rapporto di correlazione e d’interdipendenza funzionale, formano un complesso organico o una sua parte; è così chiamato anche il complesso stesso, o un suo componente, inteso come entità funzionalmente unitaria risultante dalle relazioni reciproche dei suoi elementi costitutivi.

La scuola è questo: un complesso organico fatto da elementi in correlazione funzionale, per la costruzione di competenze culturali di cittadinanza; quindi, non si offre, piuttosto semplicemente esiste perché esiste la società, e di essa è la struttura, cioè ciò che permette a tutto il resto di vivere, di avere spazi di crescita, partecipazione e connessione non solo culturali. 
Ogni istituzione scolastica è una struttura dello Stato che vive in un determinato contesto territoriale, rappresenta la garanzia dell’unità e dell’unitarietà nazionale e politica della Repubblica, giacché le leggi che la regolano sono le medesime da Cuneo a Pachino, nonostante le variegate coloriture locali dell’applicazione di queste leggi, in parte generate dal sistema che va sotto il nome-ombrello di “autonomia”, secondo il celeberrimo DPR 275/1999 [1]

Per la migliore definizione del sistema scuola nel sistema stato, rileggiamo Pietro Calamandrei:
La scuola, come la vedo io, è un organo ‘costituzionale’. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola ‘l’ordinamento dello Stato’, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue. [2]

Dall’entrata in vigore della Costituzione ad oggi, la scuola non ha in realtà cambiato posizionamento in questo organismo, né è stata sostituita interamente da altre strutture. È senz’altro vero che, da Calamandrei - che parla prima dell’avvio delle trasmissioni Rai- all’oggi, si sono moltiplicati i mezzi di acquisizione di informazioni, ed è anche vero che più volte si sono fatte operazioni legislative verso l’abbandono dei “compiti dello Stato in materia di istruzione quali esercizio di funzione pubblica, passando [...] alla lettura, oggi prevalente, dell’istruzione come servizio pubblico”, come leggiamo nel saggio di Calvano[3]; è altrettanto certo, tuttavia, che la scuola è ancora l’unica istituzione in grado di  garantire conoscenza validata e condivisa ed equità nell’acquisizione di essa. Se così non fosse, non si spiegherebbe il ritardo nell’approvazione della legge sullo ius soli e/o sullo ius culturae: se e quando questi diritti verranno riconosciuti, attraverso la scuola passerà la reale costruzione di una cittadinanza consapevole e libera di alunni e alunne portatori di mondi culturali molto diversi dal nostro (ammesso che si possa definire un "mondo culturale italiano" in astratto).

Ogni singola istituzione scolastica, quindi, dovrebbe realizzare questa funzione strutturale rispetto alla cittadinanza democratica attraverso ciò che le è proprio: la conoscenza. Il progetto culturale di ogni scuola, quindi, dovrebbe essere steso a partire da una conoscenza completa e dettagliata del contesto in cui l’istituzione scolastica opera, cercando di capire, però, quali sono le necessità di democrazia, non solo o soltanto le richieste dell’utenza. Anche definire alunni e alunne come “utenza” nasce dalla concezione della scuola come “erogatore” dall’alto di servizi istruttivo- educativi, un “non-luogo” frequentato da persone non hanno alcun ruolo partecipativo. Si dovrebbe proseguire, quindi, con l’esplicitazione di strumenti e percorsi attraverso i quali la singola unità istituzionale (la singola scuola) si muove per realizzare gli obiettivi costituzionalmente definiti, per definire o consolidare quella struttura democratica civile di cui si diceva sopra. Poiché la funzione essenziale della scuola è l’istruzione, che si attua attraverso la condivisione e la costruzione di competenze culturali di cittadinanza, si dovrebbe individuare come elemento portante del PTOF il curricolo delle discipline, cioè i campi del sapere. Tutto il resto (progetti, laboratori, iniziative…) sono azioni che, ci si augura, dovrebbero arricchire in modo significativo il progetto culturale, di cui il curricolo è, per così dire, la struttura portante, senza il quale la scuola cessa di essere una funzione dello Stato e diventa un luogo assimilabile a un generico ente di formazione (o addestramento) per minori. 
Scrivere il curricolo, dentro il PTOF, quindi, è operazione delicata, da attuare in spazi e tempi di riflessione e condivisione, perché attorno a esso si costruisce il fare scuola e quindi lo sviluppo di alunni e alunne, su scala nazionale. Il curricolo prevede la scansione graduale di contenuti e attività a partire dai documenti ministeriali specifici per ciascun ordine di scuole, per far conseguire ad alunni e alunne, a conclusione di ciascun tratto di percorso, un determinato bagaglio personale di competenze culturali per la cittadinanza, in raffronto con il profilo di uscita delineato dalle cornici ministeriali stesse. Questo profilo nasce dall’aver frequentato e appreso molte discipline, ciascuna delle quali con il suo linguaggio e la sua strumentalità, ma si costruisce anche dall’avere individuato e coltivato le aree di connessione tra le discipline; lo scopo generale è generare apprendimenti autonomi per la partecipazione attiva alla vita della comunità civile, in ogni suo aspetto. 
Scrivere il curricolo, in sintesi, dovrebbe significare definire le discipline che “si agiscono” in modo riflessivo in una determinata scuola, attraverso un sistema di gradualità, per concorrere a scoprire e delineare una personalità di apprendente che fa parte di un contesto di vita associata. Bisognerebbe, quindi, partire dalla fine, cioè da questa idea composita di studente/studentessa che crediamo debba uscire da un percorso scolare e che a partire da questo prosegua alla propria definizione libera nel mondo. 

Concentrandosi in particolare sul profilo di uscita della scuola del primo ciclo, ci rendiamo conto subito che, volendo attuare questa scrittura (o riscrittura) del curricolo a partire dalla conclusione, in realtà dobbiamo fare i conti con una moltiplicazione dei profili:  quello delle Indicazioni nazionali del 2012 (p.12) e quello definito dall’allegato B alle "Linee guida  Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica"  (p.6), in attuazione della L. 92/2019
Anche se in questo allegato si legge che il profilo esposto è “ad integrazione” di quello definito dalle "Indicazioni" del 2012, si rivela evidente la profonda diversità tra le spinte ispiratrici dei due documenti. Nel profilo del 2012 emerge un concetto di “competenza culturale”, cioè di possesso dei saperi e della loro mobilitazione nei contesti di apprendimento e di relazione; ogni aspetto di questo quadro è fatto di conoscenza e di scelta, di analisi e di opinione (“osserva/interpreta”; “analizzare/verificare”), cioè di tutti quegli atteggiamenti che garantiscono un inserimento autonomo, intenzionale e proattivo in qualsiasi contesto culturale e sociale. Questo profilo, che le scuole dovrebbero realizzare attraverso la gradualità della scansione curricolare, dà corpo a quell’idea di scuola come organo vitale della vita democratica dello Stato secondo Costituzione; ci sembra quindi, per così dire, "quello giusto". 
L’integrazione a questo profilo contenuto nelle "Linee guida" sull’educazione civica comprende, invece, un insieme piuttosto incoerente e affastellato di tematiche, di soggetti coinvolti (“enti locali… città metropolitana”...), di decontestualizzate prescrizioni morali (solidarietà, uguaglianza e rispetto della diversità…) e comportamenti individuati nel concreto quotidiano (la classificazione dei rifiuti) e nella liquidità del web (distinguere tra identità reale e identità digitale). Si pone quindi l’ennesima incongruenza che la L. 92/2019 porta nelle scuole: è prescritto (art. 2, c.3), infatti, che bisogna integrare nel curricolo d'istituto l'insegnamento di educazione civica, e nelle "Linee guida" è specificato che bisogna inserire nel medesimo curricolo "obiettivi specifici". Questa "doppiezza" ha portato molte scuole a giustapporre un curricolo di educazione civica a quelli delle discipline, come se fossere due percorsi separati, mentre le Indicazioni Nazionali del 2012 e i Nuovi scenari del 2018 esprimono già l'idea che l'essere cittadino sia frutto di un percorso culturale, non prescrittivo ma costruttivo.  

Immaginando allora che una scuola pubblica del primo ciclo di istruzione, alla vigilia della prossima triennalità del PTOF (o progetto culturale scolastico) voglia approfittare di questa scadenza per rifondare il proprio contributo alla realizzazione del dettato costituzionale, tenendo al centro di esso il proprio curricolo come garanzia degli apprendimenti di alunne e alunni, quali criteri prioritari si possono tenere presenti?
A partire dal profilo di uscita, cioè da una certa idea di studentessa e studente che si vuole perseguire, è opportuna una revisione dei curricoli disciplinari, dando ai saperi “un’organizzazione formativa, passando dalla loro struttura accademica (esemplificata dai manuali scolastici) a quella educativa” [4].

In questa prospettiva, va senz’altro data priorità a un curricolo per la significatività degli apprendimenti, gli unici in grado di garantire risultati positivamente rilevabili (il successo formativo) ed equità nel perseguirli. Le discipline, anzitutto, devono essere strutturate in modo flessibile, per consentire alle/ai docenti di seguire sempre alcuni criteri fondamentali: la gradualità nell’acquisizione delle competenze, la correlazione tra procedure e contenuti allo scopo di attivare e sviluppare quelle competenze, il funzionamento integrato del sistema di valutazione degli apprendimenti come parte costitutiva e non aggiuntiva. In questo contesto entrerebbero senza disturbare i quadri di riferimento delle prove standardizzate nazionali, poiché essi costituiscono l’approfondimento e la definizione articolata di alcuni obiettivi e traguardi già definiti dalle "Indicazioni" per Italiano, Matematica Inglese. Si disattiverebbe così il potenziale distruttivo del loro essere percepite come un corpo estraneo nel flusso del tempo scolastico, cogliendo l’occasione di riassettare la didattica delle competenze da esse indagate. 
Perché questo sistema dinamico di “saperi per il sapere” risulti rispondente non solo a se stesso ma abbia un valore civico in quanto progetto di un’istituzione pubblica che risponde a una funzione costituzionale, come s’è detto sopra, è necessario che ad esso venga conferita una curvatura civile, cioè che esso diventi strumento di educazione alla cittadinanza. In quest’ottica, il curricolo delle discipline non si può distinguere dal curricolo di educazione civica, anzi questa, nella versione proposta dalla L. 92/2019, svanirebbe senza dolore, poiché tutte le discipline, come chi insegna sa bene, concorrono a costruire apprendimenti per la cittadinanza.

Infatti, l’educazione alla cittadinanza, come scrive Mario Ambel:

 non è riconducibile a una o più discipline o a specifici spazi orari, ma appartiene, come finalità strategica e costitutiva, all’intero progetto formativo di ciascun ordine di scuola, ovvero della scuola stessa: una scuola per la cittadinanza. In tal senso, il progetto curricolare tende a dispiegarsi progressivamente entro questa finalità. [5]

Esso diventa dunque un essenziale strumento di “visione”, verso quel profilo di cittadino/a di cui abbiamo analizzato l’articolazione, e che può attivarsi e realizzare pienamente i suoi scopi se la scuola riscrive se stessa come spazio di ricerca, non solo come fornitore di un parziale servizio sociale. 
Il progetto culturale triennale, il PTOF, allora, dovrebbe contenere chiare indicazioni sulle competenze e sul funzionamento degli Organi collegiali, con particolare riferimento ai Dipartimenti disciplinari, cosicchè essi possano diventare presìdi di progettazione e documentazione didattica significativa sia in orizzontale, per i curricoli delle singole classi, sia in verticale, per il curricolo attraverso i cicli pluriennali. 

Il documento dovrebbe anche ospitare il riassetto delle figure interne di sistema, che rivestano incarichi di coordinamento, consultazione e progettazione a tutti i livelli necessari per il buon funzionamento del curricolo.
I
l PTOF dovrebbe, infine, chiarire gli ambiti e le pertinenze nei rapporti con l’esterno. A questo riguardo, ogni scuola ha alcuni interlocutori “suoi pari”, cioè gli altri “pezzi dello Stato”: ente locale, sistema sanitario, sistema giudiziario le cui funzioni sono connesse con alcuni aspetti amministrativi e logistici della scuola. Questo ambito di relazioni è delicato e complesso, e andrebbe gestito con reciproca consapevolezza dei ruoli e delle possibilità di interazione sempre nel superiore interesse di alunne/i. La scuola, inoltre, ha interlocutori con cui condivide alcuni ambiti della propria fisionomia istituzionale e culturale: gli enti del terzo settore, per esempio. Questo sistema di relazioni è altrettanto delicato e complesso, e la scuola rischia di cedere alla tentazione della delega, spinta dal miraggio dell’eccellenza prestazionale di alunne/i o, all’opposto, dal bisogno di supporto quando le situazioni di contesto sono particolarmente critiche. 
Anche in questo caso, il criterio che dovrebbe guidare il “disegno” del PTOF nella parte che riguarda i rapporti della scuola con gli altri enti dovrebbe essere quello della garanzia del proprio ruolo costituzionale a salvaguardia delle opportunità di formazione per alunne/i. 
Dalla ricostruzione del curricolo alla riconnessione di tutti i pezzi della scuola ad esso: questa potrebbe essere l’occasione da cogliere nella prossima triennalità del PTOF, così com’è chiamato, e chi, se non noi insegnanti, dovremmo assumerci l’onere e l’onore di tentare l’impresa?

Nella buona sostanza, per definire il senso profondo di questo processo, ci sembrano tutt'ora attuali e illuminanti le parole di Tullio De Mauro e Lucio Lombardo Radice, scritte nel 1979 nella introduzione alla loro edizione dei Nuovi Programmi della Scuola Media inferiore:

Acquisire consapevolezza delle fratture e delle varietà socio-culturali della realtà in cui la scuola opera, conquistarsi la capacità di dominare le tecniche didattiche necessarie a programmare e realizzare ordinatamente gli obiettivi didattici, maturare la conoscenza dell’unità della cultura: questi, a noi pare, i tre obiettivi del lavoro di ripensamento e rinnovamento delle basi stesse della professionalità degli insegnanti. [...] Insegnare secondo Costituzione, lavorare perché la scuola sia parte viva della Repubblica democratica, ieri era solo, al massimo, una possibilità: da oggi è un dovere. [6]

Note

1. Una disamina critica di questo provvedimento legislativo si trova ben espressa in R. Calvano, Scuola e Costituzione, tra autonomia e mercato, Ediesse, 2019, cap. II
2.  
P. Calamandrei, "Discorso in difesa della scuola", pronunciato in occasione del III congresso dell’Associazione in difesa della scuola nazionale (ADSN), Febbraio 1950. Un ampio estratto si legge in UAAR.
3. R. Calvano, op. cit., pag. 75.
4. 
G. Bagni, C. Fiorentini, “Il curricolo per competenze è l’antitesi del curricolo disciplinare?”, in "insegnare", 11.09.2018.
5. M. Ambel, "Prefazione" a  Una scuola per la cittadinanza, PM Editore, 2020, vol. 1 e vol. 2, p. 11.
6. Cfr. 
Pagina conclusiva della “Introduzione” di Tullio De Mauro e Lucio Lombardo Radice all’edizione  de I nuovi programmi della scuola media inferiore, Editori Riuniti, 1979, cit. da M. Ambel, a cura di, Una scuola per la cittadinanza, 2020, vol. 2, pag. 220.

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A lato del titolo: "Art. 3", Sentiero della Costituzione, Barbiana.

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