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editoriali

31/12/2015

L'anno che verrĂ  ...

di Mario Ambel

Editoriale di transizione fra l'anno vecchio finito e quello nuovo che verrà...

Un'accusa già sentita
Ai primi di novembre, Mauro Piras, da queste pagine, ha rivolto una sollecitazione critica agli “amici del cidi”: sostanzialmente ha accusato chi si oppone (da sinistra) alla legge 107 di farlo in nome di “una concezione da avanguardia rivoluzionaria, che conosce il bene in anticipo sulle masse, e si irrita se la politica segue invece gli umori della maggioranza, dell’opinione pubblica”. Questa rivista certamente si annovera e intende continuare ad annoverarsi nella schiera di coloro che si oppongono (da sinistra, intendo culturale, non politica, per coloro che non hanno rinunciato a credere che esiste ancora e sia diversa dalla destra) a questa legge e quindi è inevitabilmente chiamata in causa.
Si tratta di un’accusa che di primo acchito suona anacronistica e datata, e anche un po’ irritante, per quanto usuale nella dialettica, talvolta anche feroce e spesso poco nobile, fra... rivoluzionari e riformisti nella storia della sinistra. A renderla a tratti paradossale, basterebbe ricordare che di lì a pochi giorni, uno dei maggiori esponenti della nuova linea che orienta e governa la scuola pubblica, il Sottosegretario al MIUR Davide Faraone, in alcune dichiarazioni pubbliche,  paragonava gli oppositori della legge 107  agli ultimi giapponesi nella Seconda guerra mondiale.  E tutti ricordiamo le considerazioni del ministro Giannini di cui abbiamo già parlato che paragonava i precari oppositori a degli squadristi. Insomma tra avanguardie marxiste, retroguardie giapponesi e squadristi di stampo fascista il ventaglio delle accuse a chi si oppone alla 107 non manca di fantasia storica! In fondo l’accusa di Piras è la più nobile. Non a caso viene da un “amico” che ben conosce le nostre ragioni, non poche delle quali abbiamo fino a poco fa e forse ancora condiviso.
E allora, a conclusione di questo triste e travagliato 2015, val forse la pena rifare qualche ragionamento, nella speranza che non sia del tutto esaurita la volontà di occuparsi davvero delle cose che contano e dei problemi reali in cui si dibatte la scuola. Ma prima di tornare alle cose quotidiane e urgenti, è necessario cercar di capire dove stanno davvero le differenze fra chi si oppone a questa legge e chi ha deciso di digerirla lo stesso pur non condividendola. E' importante, anche se richiederà un po' di tempo, perchè se il fronte degli applicatori obtorto collo decidesse di dichiarare con più forza e coerenza la propria contrarietà, forse la smetteremmo di fingere un consenso che non c'è e al contempo eviteremmo di marginalizzare (ovviamente come “ideologiche”) le obiezioni di chi non è d'accordo.

Le idee della “maggioranza”
C’è una parte del ragionamento di Mauro Piras che va presa in considerazione, perché se noi oppositori non ci sentiamo certo dei “rivoluzionari” o delle “avanguardie” per il semplice fatto di difendere una scuola ispirata all’art. 3 della Costituzione repubblicana (quella del 1948) e di opporci a una deriva individualistica, meritocratica e mercantile nel governo della scuola pubblica (anzi bisognerebbe dire governance, per farsi intendere dagli estensori e dagli estimatori della legge), è  vero che i fautori si sentono dei riformatori illuminati, certamente postsocialdemocratici e forse anche postbleriani, fieri alcuni di condividere istanze neoliberiste o fiduciosi altri di far argine ai loro eccessi e di limitarne i danni. Appunto per tener conto della maggioranza, reale o presunta, del paese.
In attesa che la prossima svolta a destra, sempre in nome e per conto della “maggioranza”, sparigli le carte e metta tutti di fronte alla drammaticità degli errori e delle debolezze culturali e politiche di questi anni. Perché, a proposito di maggioranza, sarebbe persin troppo facile, caro Mauro, di questi tempi, chiederti se, nel caso in cui la maggioranza di questo paese si affidasse tra breve a scelte politiche xenofobe, riterresti auspicabile e opportuno asservire a quelle scelte e a quelle posizioni la politica scolastica in fatto di inclusione, di eguaglianza sociale, di capacità di analisi critica e storica…

Scrive  Mauro Piras: “A me qui non interessa il merito della legge. La si può respingere, anche in blocco, mostrando che in ogni punto è completamente fuori strada. E anche mostrando, se si vuole, che è animata da uno spirito individualista e competitivo. Ma non si può sostenere che le richieste provenienti dalla società siano solo questo, rifiutandosi di prenderle sul serio. La democrazia impone di prendere sul serio l’opinione di tutti, altrimenti il principio di eguaglianza viene violato, dalla presunta superiorità degli esperti, delle persone competenti, delle “persone veramente democratiche”, delle “persone veramente di sinistra” ecc. Se la maggioranza è fuori strada, perché non segue il bene additatole dalla minoranza illuminata, questa si chiude in una monotona e triste condanna dei tempi presenti, che rischia di mancare spesso il bersaglio nell’analisi sociale ma, soprattutto, di diventare del tutto impolitica”.

L’accusa riguarda un atteggiamento, quasi un vizio, tipico degli estremisti (e certo anche degli utopisti e dei rivoluzionari) di ogni tempo, di sentirsi migliori della maggioranza e di avocare a sé il compito di guidare le masse verso un orizzonte che le masse abbacinate da false ideologie non intravedono. Vecchia faccenda, come si è detto. Ma non priva di implicazioni di una qualche importanza. Anche perché è proprio in nome della volontà di rifuggire da questo estremismo che molti accettano compromessi che ad altri appaiono indigeribili.

A me sembra, però, che qui non sia in gioco la nostra eventuale presunzione di capire di più della maggioranza oppure un fantomatico privilegio dei tecnici o dei competenti sulla politica, sempre ambiguo anche quando in mancanza di idee strategicamente credibili e forti, la politica si limita ad assecondare una più o meno fantomatica maggioranza, quanto la capacità e la dignità della scuola pubblica (tutta e non solo nelle sue punte più o meno avanzate) di essere tale (se tale vuol continuare ad essere), secondo il mandato Costituzionale. Il che le impone, soprattutto dopo la legge dell’autonomia, di trovare in sé e non nelle posizioni ideali del committente politico di turno o della fantomatica maggioranza le risorse intellettive, la coerenza culturale e l'etica professionale per costruire un progetto educativo degno di questo nome e dei difficili tempi che stiamo vivendo. Ma i tempi della storia non sono mai stati facili. E tocca proprio alla cultura e all’educazione saperne elaborare gli antidoti agli aspetti più deleteri e nefasti.

A meno che, quando si è concessa autonomia alle istituzioni scolastiche, si pensasse di sottrarle al controllo del Ministero per consegnarle a quello della “maggioranza” di turno o dei loro transitori rappresentanti. Il problema non è assecondare o meno le idee della maggioranza, reale o presunta che sia, su questo o quell’aspetto del funzionamento della suola. Il problema è elaborare e praticare un’idea di scuola che funzioni, sia capace di garantire e generalizzare il diritto all’istruzione, di educare cittadini e sappia anche farsi apprezzare da una maggioranza consapevole e attenta. La politica italiana è incapace da tempo, non solo di orientare e guidare, ma neppure di solo consentire questo processo e la scuola rischia di lasciarsene travolgere, tra fatiche quotidiane, adempimenti su aspetti collaterali, passività, ricatti e sensi di colpa.

I diritti dei genitori (e dell’opinione pubblica)

Ciò che ci preme (a noi oppositori della legge 107) non è tanto quanti siano i genitori o gli elettori che ritengono indispensabile valutare i docenti, ma la sensazione che non solo la politica che ne è ormai strutturalmente incapace, ma la scuola tutta, noi compresi ovviamente, stia rinunciando alla capacità e alla dignità di offrire a se stessa, ai suoi studenti e al paese un’alternativa sia ai dettami più transitori della quotidianità mediatica e dei suoi fomentatori, sia a soluzioni demagogiche spesso pasticciate e inconcludenti. O, se si vuole, sia alla paranoia valutativa e premiale che la destra reclama per convinzione sia alla meritocrazia degli stenterelli presuntuosi adepti frettolosi di un neoliberismo fragile, sia alla ingenua illusione della rendicontazione sociale che se non è sostemuta da condizioni strutturali e professionali adeguate si traduce in cartami velleitari. O in apoteosi dell'ipocrisia istituzionale.

Ma non è certo un caso che anche Piras ci parli della valutazione dei docenti perché, è vero, la questione della valutazione non è secondaria in tutto ciò che sta avvenendo, anzi da anni la valutazione, anzi “le valutazioni” tutte o più in generale l’uso incompetente, maldestro e strumentale della valutazione, è alla base (ideologica e operativa) di tutte le sciagure che stanno capitando alla scuola. La valutazione degli allievi, delle scuole, dei presidi e dei docenti è stata fin da subito la madre di tutte le scelte demagogiche che orientano la politica scolastica degli ultimi anni, dalla mancata applicazione dell'autonomia fino alla 107.

A questo proposito il ragionamento di Piras si fa apparentemente stringente: voi rifiutate, ci dice, di prendere atto di alcune richieste che provengono dal corpo sociale, dalla maggioranza, prima fra tutte la legittima richiesta di valutare gli insegnanti e di avere per i figli gli insegnanti migliori.
Ed è qui che si rivela la vera cifra della distanza fra noi e i fautori della legge 107. Non tanto nel fatto che noi rifiutiamo la valutazione dei docenti (abbiamo già affrontato e riprenderemo il discorso) o non soltanto nel fatto che non crediamo al diritto individualistico di avere per i figli gli insegnanti migliori quanto nel dovere comune di contribuire al miglioramento di tutti gli insegnanti (varietà umane permettendo...), quanto nel fatto che rifiutiamo di fare del consenso su questi temi presso la maggioranza o della valutazione dei docenti la chiave di volta della ragion d’essere e del mandato, ancor prima che della riforma, della scuola.
Si tratta, di una tipica opzione difensiva, di chi non sa o non ha saputo legittimare la scuola e il suo mandato, in termini di autonomia e responsabilità (per dirla con due concetti cari all’UE) e accetta di farlo in nome dei meccanismi premio/punizione, delle pulsioni meritocratiche o del più tenue e democratico controllo sociale. E in tal senso, è tanto più grave che questo cedimento provenga non dai “politici”, di questi tempi certo avvezzi a ragionare in base ai sondaggi di opinione e a solleticarla con scelte populiste, ma da chi nella scuola lavora e vive credendoci davvero.
Ma perché tutto ciò avviene? È di questo che dobbiamo discutere e su cui intenderci, se vogliamo trovare ancora un terreno comune per far bene (al)la scuola. Magari ripartendo dal mettersi d'accordo su quali debbano essere i reali diritti dei genitori e dell'opinione pubblica e che cosa è legittimo, anzi doveroso, che si aspettino dalla scuola (pubblica) e dai docenti.

... seguirà (nel 2016) ....

 

Scrive...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".