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opinioni a confronto

10/04/2018

La scuola di una volta

di Eleonora Aquilini

Sono un’insegnante e per questo motivo non ho mai smesso di andare a scuola. Conosco la scuola di ieri e quella di oggi e non rimpiango il passato. Ho frequentato da alunna della scuola elementare, negli anni sessanta,  la scuola rimpianta dagli intellettuali nostrani negli ultimi cinquant’anni.   Dagli anni settanta in poi ne ho vissuto gli strascichi:  il rigore si è formalmente annacquato, la sostanza delle cose era identica ma  si bocciava di meno.  
Negli anni del liceo, infatti,  i contenuti erano gli stessi di sempre, nessuna modernizzazione reale, però il clima era più allegro perché avevamo come insegnanti i simpatizzanti del sessantotto oppure i giovani sessantottini  che  sentivano che qualcosa di diverso dovevano inventarsi. Insegnavano nello stesso modo, si rivolgevano prevalentemente solo a chi era in grado di capire la loro lingua,  ma coloravano l’ambiente con atteggiamenti democratici e dissacratori;  la sostanza della scuola era la stessa  l’approccio formalmente diverso, le bocciature minori. Era facile per quegli insegnanti  essere democratici  perché il lavoro grosso di scelta dei migliori, quelli da portare all’università, era già stato fatto  alle elementari e alle medie, e quindi si trattava solo di essere aperti. 
L’università ( ho fatto una facoltà scientifica) poi è stata dura come la scuola elementare, lì i sessantottini dovevano sostanziare la purezza del mito della scienza, nonostante fossero stati assunti con leggi ad hoc, che di rigoroso avevano ben poco. Rigidità assoluta e valutazioni spietate hanno caratterizzato quegli anni. Nella facoltà che ho fatto tutto era fermo, non c’era spazio. E’ vero che se non avessi fatto le elementari che ho fatto, non ce l’avrei fatta.

Ma torniamo alla scuola elementare, perché quella è stata per me l’emblema della scuola che si rimpiange: delle venti bambine della prima classe, solo 15 sono arrivate in quinta e di queste solo tre si sono laureate e sono quelle che hanno fatto il liceo. Non tutte dopo le medie hanno fatto la scuola superiore. Le compagne che sono riuscite a superare elementari e medie  brillantemente sono quelle con famiglie con un buon livello d’istruzione, che avevano un lessico ricco e vario, che conoscevano il significato delle parole.
La cosa più terribile che ricordo è che le bambine non brave, quelle che venivano dileggiate dalla maestra per la loro ignoranza,  venivano percepite dalle brave come esseri strani che sembrava non volessero capire per loro scelta. Fra le brave e le ciuche l’insegnante metteva un muro che veniva vissuto come naturale.  Del resto, cosa potevamo dirci? Non c’erano le parole ed erano diversi i passatempi. Fra le brave e le ciuche il solo collegamento era l’ipocrisia della religione, nel senso che le brave non sapevano cosa dire alle ciuche, ma sapevano essere buone e caritatevoli, come si fa con gli esseri inferiori.  Il tutto, ripeto, era vissuto come naturale da noi bambine.  La maestra, voleva che le cose stessero così, la società di allora  voleva questo e la scuola lo esprimeva.

C’è voluto molto per capire questi meccanismi, molta scuola da insegnante, molto “insegnare a chi non vuole imparare” come scriveva Giuseppe Bagni nel suo volume con Rosalba Conserva nel 2015. C’è voluto molto studio, molti sbagli, molto amore per la scuola. Ci sono voluti anni e anni per capire che quella scuola selettiva di cui si parlava negli slogan della sinistra era quella che avevamo vissuto e che continuavamo a vivere. C’è voluto del tempo per capire che per insegnare a tutti le discipline dovevano essere modificate alla luce degli insegnamenti della psicologia e della pedagogia,  che i contenuti dovevano essere rivisti, attraversati, aperti, scelti, in funzione di ciò che realmente gli allievi potevano comprendere.
La scuola è diventata veramente di massa, la scuola elementare, grazie a Dio non seleziona più, e nella secondaria di primo e secondo grado entrano individui che è difficile, molto difficile gestire. L’obbligo scolastico  a quindici anni è una realtà. L’imbuto ora è nel biennio della secondaria di secondo grado dove l’arma di selezione che si attua è sempre lo stesso: la lingua, il lessico, la famiglia.  Don Milani, De Mauro non li ha letti nessuno?  
Il cambiamento che c’è stato nella scuola negli anni ottanta, novanta, duemila è stato spesso formale, ha costruito nomi diversi per esprimere concetti noti ( come competenza per acquisizione di un sapere critico) , ha posizionato architetture pedagogiche su strutture curricolari antiche, ha  giocato con la psicoterapia, improvvisandola nelle aule.  
Questo cambiamento maldestro e caricaturale ha sopraffatto  realtà di studio e di ricerca didattica che hanno cercato l’innovazione in una ricerca curricolare che parte dai contenuti, non solo dal come. Scuole che ci  hanno provato ci sono; ci sono gruppi d’insegnanti che vanno verso il cambiamento reale, esistono associazioni che promuovono didattiche diverse e pensate per gli alunni di oggi.  Ci vuole tempo. Bisogna sostenere queste scuole e questi insegnanti. Andare avanti, senza paura, senza rimpianto.

 

Scrive...

Eleonora Aquilini Laureata in Chimica, docente di Scuola secondaria di II grado, tiene su "insegnare" la rubrica "Il filo e la trama"

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