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04/03/2024

Il gran varietà dell'educazione

di Sauro Partini

Da parecchio tempo, l’insorgere di nuove questioni che toccano la vita sociale o l’inasprirsi di quelle già esistenti, trova puntualmente il suo sbocco nelle aule scolastiche, in termini di sensibilizzazione educativa ai temi via via in oggetto, affastellando nuove attività didattiche, piccoli progetti espressamente dedicati, interventi e contributi di analisti ed osservatori esterni, in forma collettiva o individuale. Avendola studiata a lungo, posso sostenere che la sfera della politica ha come traiettoria naturale quella di seguire i fatti, ma non penso si possa dire altrettanto per l’educazione, quasi fosse una sentinella da svegliare al manifestarsi di ogni criticità, mentre, a mio modo di vedere, è il contenuto stabile della civilizzazione. E‘ così che tra i banchi vengono riversate - riporto in ordine sparso: l’educazione alla legalità, l’educazione alla sicurezza, l’educazione ambientale, l’educazione alla salute, l’educazione alla sessualità, l’educazione alle relazioni (ultima in ordine di tempo) e forse altre che dimentico, accompagnate (direi forse “sintetizzate tutte”) dal malinconico fallimento dell’educazione civica.
Probabilmente, il sostantivo “educazione” viene abusato laddove può trattarsi semplicemente di conoscenze anche tecniche (esempio l’educazione finanziaria) da acquisire ma, a mio modo di vedere, il fenomeno rappresenta la spia di un problema molto più serio e grave: l’incapacità di averne una, di educazione, per sua caratteristica onnicomprensiva nella formazione di un individuo, a prescindere da ciò che si incontra e ci chiama in gioco nel corso della vita, verso cui va solo declinata. Estremizzando un po', appare complicato, forse irrealistico immaginare una persona che contemporaneamente sia rispettosa dell’ambiente e pretenda di entrare al museo in bermuda e infradito; che osservi scrupolosamente il codice della strada e poi chiami un amico con un fischio a un concerto di musica classica. Vero sarà che “mille anime battono nel mio petto”, scriveva Goethe nel Faust, così come sappiamo che la frivolezza è l’altra faccia della disperazione, ma appunto, questa dimensione, anche banalmente schizofrenica è da sempre propria di molti individui, però mai indagabile in maniera plurale, senza ricondurla ad un’unicità del soggetto. 

Si ha ragione di pensare che le più o meno multiformi espressioni (ahimè anche quelle con esiti infausti) di una persona, non siano generalmente qualcosa di acquisito strada facendo, magari rimaste slegate da una coscienza, ma aree della vita interiore che fin lì non avevano trovato il terreno per manifestarsi, ma erano presenti. Credo che, se vogliamo cavarcela con la questione educativa, occorra smetterla d’inseguire lo spezzatino dei suoi campi d’applicazione, o le giovani generazioni avranno davvero l’idea di un supermarket dove prendere al bisogno la scatola giusta dallo scaffale.
Che fare però? Come ricostruire l’integrità di un’educazione sbriciolata? Trovo molto difficile avanzare qualche idea che sia ripulita da possibili sporgenze retoriche. Dire che gli agenti educativi sono la famiglia e la scuola è come dire che di mamme ce n’è una sola, ma tant’è… Riguardo la prima, questa sconta gli effetti terminali di due fenomeni erosivi: “l’evaporazione del padre” (Recalcati), che in psicanalisi rappresenta la “legge” - vale a dire il limite che rende possibile l’esercizio della libertà - e l’essersi accollata, nei decenni di storia nostrana, tutto il peso dell’organizzazione sociale che le istituzioni avrebbero dovuto sostenere e invece hanno trascurato; la seconda, patisce la caduta verticale in termini di prestigio degli insegnanti, figure progressivamente impoverite e non solo sul piano economico. Senza contare poi, come queste due sponde dell’educazione abbiano su larga scala accelerato il loro divorzio, malgrado nella ratio legis del DPR 275 sull’autonomia scolastica fosse ben impresso l’obiettivo della scuola come impresa collegiale.

Se in aggiunta si accoglie l’improbabilità di separare il processo educativo dalla cura delle relazioni, non si può non assumere ormai come un dato lo sprofondare inarrestabile nel piccolo/grande universo degli smartphone, in cui la vita sociale si riduce a pura esteriorità quando non addirittura al gioco drammatico del conflitto e la comunicazione perde sostanza e qualità; c’è più realtà sotto il banco, dove si maneggia il cellulare, che sopra, dove stazionano, e non sempre, un libro e una penna.
A scuola il disagio giovanile dilaga e con spiccate differenziazioni, ma forse, anche qui, il fenomeno è riconducibile ad un'unica causa di fondo, da individuare nell’imperdonabile e perdurante mancanza di politiche per questo strato della società. In tal senso, ricostruire un iter educativo equivale a ricostruire il Paese, ed il peso di alcuni vulnus che paiono assorbiti dai giovanissimi e che a detta di opinioni osservate ingombrano la strada, credo andrebbe fermamente rimosso. Penso, ad esempio, al pressoché integrale velo d’ignoranza sul passato da parte della classe 2000; eppure, tutte le discipline che si studiano hanno una storia; se è vero che la vita si vive guardando in avanti è altrettanto vero che la si comprende rivolgendosi indietro: “siamo quello che il passato ci consente di essere”, ebbe a scrivere il compianto Franco Cordero (massima autorità europea di diritto e procedura penale). Così come mi ha da tempo colpito l’impotenza della parola quale strumento relazionale. Segnati da un costume pubblico consolidato, gli adolescenti tendono a preferire la via di fuga della chiacchiera, per sua natura rapida, superficiale, che ha per oggetto obbligato sé stessa, adatta all’uso compulsivo dei social; non amano l’indugio, anche pensoso, sul significato delle parole (prof., ma ce l’ha già detto...!). Paradossale che nel tempo in cui la tecnologia ha prodotto così tante possibilità di contatto attraverso la modalità antigerarchica della comunicazione orizzontale, questa si mostri svuotata per intensità e contenuti, immiserita anch’essa dal suo sbriciolamento. Con ciò che solleva emozioni le cose vanno invece spesso in altro modo: la sensibilità si accende, a volte anche in misura sorprendente e gli sguardi si alzano, la partecipazione dei ragazzi cresce, ma su questo terreno, davvero complicato, ammetto di non sapermela cavare adeguatamente. Tanto si potrebbe dire, io mi fermo qua. Tuttavia, i pochi punti di frattura sopra richiamati hanno ormai fatto dell’insegnamento e della sostanza educativa che lo accompagna una pagina bianca tutta da scrivere, appesantita dalla crescente povertà di competenze linguistiche di molti studenti che inficia qualsiasi tipologia d’apprendimento (forse è questa la prima “educazione” da perseguire? L’educazione al linguaggio?).

C’è necessità di un nuovo inizio? Forse, ma da dove ripartire? Puntiamo su un processo educativo che unifichi una società dai confini mobili o che ne rifletta automaticamente senza interpretazioni patologie e divisioni? Potremmo magari paragonare l’educazione ad una Costituzione, vista come un vestito che si adatti bene a chi lo deve indossare, ma non un vestito di Arlecchino, fatto di tanti pezzi. E se in epoca d’intelligenza artificiale i principi della nostra Carta fondamentale fossero ancora una guida a questo fine, sarebbe inutile? Del resto, si distingue da altre per il suo carattere programmatico: guarda al futuro.

Scrive...

Sauro Partini Insegnante di discipline giuridiche ed economiche presso la secondaria di secondo grado. Dottore di ricerca in Sociologia della Politica, ed operatore sulla formazione professionale, in ambito cooperativo.

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