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15/03/2019

Una staffetta contro il razzismo e la forza mite della scuola

di Emanuela Annaloro e Isabella Tondo

Tre domande

La staffetta educativa contro il razzismo lanciata lo scorso 1 febbraio da un gruppo di insegnanti e studenti di Palermo prende spunto da tre domande sorte in contesti diversi, ma unificabili sul piano delle intenzioni.
La prima domanda può essere esemplificata con l’incipit del famoso libro di Tahar Bel Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia (2010):

“Dimmi, babbo, cos’è il razzismo?"

"Tra le cose che ci sono al mondo, il razzismo è la meglio distribuita. E' un comportamento piuttosto diffuso, comune a tutte le società tanto da diventare, ahimè, banale. Esso consiste nel manifestare diffidenza e poi disprezzo per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse dalle nostre"

“Quando dici ‘comune’, vuoi dire ‘normale’?”

"No. Non è perché un comportamento è corrente che può essere considerato normale. In generale l'essere umano ha tendenza a non amare qualcuno che è differente da lui, uno straniero, per esempio: è un comportamento vecchio come l’uomo; ed è universale. E così dappertutto".

"Se capita a tutti, anch'io potrei essere razzista! “

La prima domanda, posta dalla figlia dello scrittore, è una domanda che attraversa tutti i giovani man mano che prendono coscienza del mondo. È una domanda che in vario modo i nostri studenti ci rivolgono, anche sotto l’onda d’urto di una pressione mediatica dirompente e invasiva. La risposta di Jelloun è esemplare sotto tre aspetti: dal punto di vista concettuale, perché lo scrittore definisce il fenomeno estendendolo anche al rigetto delle diversità culturali, dal punto di vista storico, poiché correttamente universalizza il fenomeno del razzismo, e infine dal punto di vista etico, poiché rende concreto oggi per noi il pericolo di incorrere in nuove forme di razzismo. Se l’Altro è vissuto con timore e senso di minaccia può capitare ancora oggi di essere razzisti.

Del resto a difenderci da questo rischio non basta, come invece pensavano alcuni illuministi, l’uso della ragione o la conoscenza esatta e scientifica dei fenomeni. Certamente questi strumenti sono essenziali per compiere scelte consapevoli, ma la cultura da sola non basta. Romano Luperini, in uno degli incontri con gli studenti, per esempio ha mostrato che la cultura occidentale è da sempre divisa, è sia razzista che antirazzista. La nostra cultura ha prodotto un umanesimo che include e un umanesimo che esclude: la tremenda razionalità di Auschwitz e le splendide sinfonie di Beethoven. Ma se la cultura non offre garanzie all’etica, se è sempre viva in noi l’insidia della diffidenza, della paura e del disprezzo dello straniero, se la storia, come scriveva amaramente Montale, non è maestra di niente che ci riguardi, cosa possiamo fare?

È questa la seconda domanda che scaturisce da un messaggio dai toni civili alti e militanti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione degli ottanta anni delle leggi razziali italiane: «Il veleno del razzismo continua a insinuarsi nelle fratture della società e in quelle tra i popoli. Crea barriere e allarga le divisioni. Compito di ogni civiltà è evitare che si rigeneri». Dunque, che fare?

Una possibilità è rivolgere la domanda iniziale innanzitutto a noi stessi, così come hanno fatto alcuni studenti di un liceo di Palermo ad inizio anno scolastico, escogitando la domanda-slogan ‘Che razza di studente sei?’, divenuta più tardi il titolo stesso della staffetta. La domanda, ironica e provocatoria insieme, è infatti originariamente il titolo di un manifesto di sensibilizzazione progettato dagli studenti sulla base di due considerazioni.
La prima, nota a tutti, è che il razzismo non ha fondamento scientifico; la seconda, spesso rimossa, è che, malgrado questo, anche nel nostro tempo il razzismo continua a essere presente, alimentato da contraddizioni materiali ed economiche, ma anche da percezioni ed emozioni spesso irrazionali, come la paura, l’insicurezza sociale, il timore dell’ignoto.

Ecco perché per contrastare il razzismo talvolta non sono sufficienti argomenti e spiegazioni razionali. Una corretta e informata lezione di cittadinanza e costituzione può risultare del tutto vana ai fini della nostra concreta appartenenza alla polis. Occorre valorizzare un diverso uso dell’affettività, cioè la capacità di alimentare emozioni interpersonali diverse da quelle della paura o della diffidenza reciproca. Per far ciò, bisognerebbe dare voce a impulsi che spingano all’incontro e non al rifiuto dell’altro. Di qui la scelta degli studenti di chiamare in causa chi guarda o legge il loro manifesto con uno slogan allocutivo, giocoso e imperniato sul senso ambiguo del termine ‘razza’. Gli studenti inoltre hanno voluto mettere in gioco se stessi. Alla domanda Che razza di studente sei?’- una domanda esistenziale a cui è possibile rispondere soltanto in autonomia e libertà - hanno voluto rispondere in prima persona, con una sorta di selfie ad uso pubblico, dato che il valore dell'antirazzismo può essere mantenuto come valore sociale e collettivo solo se ciascuno di noi lo assume e lo fa proprio nei comportamenti, nel linguaggio e nello stesso uso dei volti.

Trentacinque scuole

Che cosa è il razzismo? Come possiamo contrastarlo? Che posizione scegliamo di fronte all’altro? Sono queste le tre domande brucianti e aperte su cui le scuole in staffetta hanno deciso di interrogarsi. Dall' 1 febbraio, infatti, trentacinque scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e private, in provincia e in città, insieme ad associazioni impegnate nel campo educativo e in quello sociale di tutela dei diritti umani, si passano ininterrottamente il testimone della riflessione sui temi dell’esclusione, dell’odio razziale e della marginalizzazione sociale, offrendo spazio alle domande degli studenti, al dibattito e all’incontro con esperti e testimoni.

Dietro questo movimento spontaneo e continuo non c’è nessun progetto formale, né una rete precostituita, bensì un bisogno di ritrovarsi sui valori di fondo della scuola e la cura umana. La staffetta contro il razzismo viaggia in due direzioni: trasmette il testimone in modo orizzontale, fra ragazzi e insegnanti di scuole, quartieri, provenienze e culture diverse, e trasmette il testimone in modo verticale, dalle mani dei nostri padri costituenti a quelle delle nuove generazioni. I valori che ci hanno trasmesso, e che vogliamo a nostra volta trasmettere, sono la risorsa più autentica per pensare a nuove forme di convivenza domani.

E adesso? Tempo di legami

Mentre scriviamo continuano ad arrivare adesioni di nuove scuole; è in corso di composizione una brochure che raccoglie i nomi dei relatori, dei testimoni, i titoli e le attività di tutti gli incontri della staffetta, che stanno raggiungendo la cinquantina, poiché alcune scuole hanno organizzato più giornate di attività; è attiva una mailing list di insegnanti e dirigenti a cui è possibile unirsi (scrivendo a staffettaantirazzismo@libero.it); si prospettano attività comuni a livello nazionale; la staffetta ha ricevuto il patrocinio del Comune di Palermo, del Cidi di Palermo, del Centro Astalli e di Sole Luna doc Festival; vengono elaborate proposte concrete di contrasto al razzismo.  Ma soprattutto adesso si manifesta con ogni evidenza il valore irrinunciabile della scuola, il più grande centro di integrazione e accoglienza del Paese. La scuola è un avamposto di democrazia, un’allegoria del mondo migliore che dobbiamo fabbricare, il luogo di tutti dove tutti possono costruire legami. Lo avevamo quasi dimenticato, avevamo quasi dimenticato quanto è grande la nostra forza mite.

 


Immagini

La classe che ha realizzato il manifesto “Che razza di studente sei?” è la IV D del Liceo Artistico Ragusa Kiyohara - Parlatore, seguita per la parte grafica dalla Prof.ssa Amorello.
I singoli riquadri del manifesto rappresentano la diversità culturale dei popoli e la diversità che accompagna il cambiamento storico: un quadrato è una antica mappa geografica di un mondo ancora poco conosciuto, un altro quadrato è un decoro geometrico africano colorato con tinte pop per esprimere la varietà e la ricchezza della diversità culturale, un altro quadrato raffigura un decoro su uno strumento musicale che vide James Cook nel suo viaggio in Nuova Zelanda. Sui quadrati, con colori vivaci, sono state soprascritte le risposte alla domanda-titolo: nessuna razza, una sola specie. Ogni manifesto è stato personalizzato con il volto di uno studente, di un insegnate o di una classe.

Parole chiave: uguaglianza

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