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20/11/2013

La formazione è una cosa seria

di Angela Di Bono

Un'occasione persa
Alla fine di ottobre la Commissione Europea ha depositato le proprie “osservazioni” in previsione dell’udienza che si terrà prossimamente presso la Corte di Giustizia Europea in merito alla vertenza dei precari della scuola. Questo è solo l’ultimo atto degli Organi comunitari nei confronti della Scuola italiana, che investe evidentemente non solo il problema dei precariato, ma l’intera politica della formazione e del reclutamento in Italia: i ritardi, l’incoerenza e la discontinuità degli interventi legislativi, la scarsa verifica dei processi e dei risultati, ma soprattutto la mancanza di una idea di scuola, e quindi di formazione, che si adegui ai cambiamenti culturali e sociali e non alle esigenze di bilancio e/o di consenso.
Con il D.M. del 26 maggio 1998 si inauguravano, con notevole ritardo rispetto ad altri sistemi formativi europei, il corso di laurea in Scienze della formazione primaria (concurrent model) e il percorso biennale delle SSIS (consecutive model ): la sfida si sarebbe tradotta non solo in un modello di formazione, ma in una sorta di rivoluzione copernicana. Costruire una partnership formativa tra università e sistema scolastico vs l’assenza totale di comunicazione che fino ad allora era esistita; le istituzioni scolastiche (sotto forma di supervisori e di organi collegiali) vengono chiamate a una progettazione congiunta e a una gestione compartecipata di una formazione iniziale efficiente, documentata e valutata. Ma mentre venivano spese energie e risorse per questa ‘impresa’, all’avvio di ogni anno scolastico/accademico si annunciava… la fine imminente delle SSIS! In realtà, nonostante gli ostacoli, l’esperienza decennale ha prodotto risultati incontrovertibili: ha formato docenti “competenti” e ha costruito un paradigma di riferimento mediante le ricerche didattiche attivate, le pubblicazioni, i work shop, lo sviluppo dell’ associazionismo professionale e, last but not least, ha rappresentato una prima modalità di diversificazione della carriera dei docenti, il docente formatore, pur nella unicità della funzione.
Questo patrimonio di professionalità e di esperienze è confluito (in parte) nel Tirocinio Formativo Attivo avviato nell’a.s. 2012/2013. Perché in parte? Perché anche in questa occasione si sono riconfermati i ritardi, le approssimazioni, le ambiguità che avevano contraddistinto nel passato il sistema formazione in Italia.

Si riporta un sintetico quadro del travaglio normativo.

Nel secolo scorso il decreto delegato 417/1974 sullo stato giuridico del personale docente, direttivo e ispettivo, varato sotto il ministero di Franco Maria Malfatti, sancì la formazione universitaria di tutti gli insegnanti in collegamento con il reclutamento.

La riforma Moratti riprese la questione della formazione iniziale degli insegnanti all'art. 5 della Legge delega 28 marzo 2003, n. 53, in modo del tutto separato non solo da un nuovo stato giuridico dei docenti, che in trenta anni non era più stato riformato, ma dallo stesso reclutamento.

La Legge 244/2007 ("Finanziaria 2008"), varata dal governo Prodi, ha previsto un Regolamento ministeriale per la disciplina congiunta della formazione iniziale degli insegnanti (FII) e delle procedure per il loro reclutamento; non è però intervenuta sul sistema formativo in vigore (per gli insegnanti secondari le SSIS).

Con il ministero Gelmini, la questione è ripresa dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che non abroga le norme varate dal ministro Fioroni, ma stabilisce l' immediata soppressione delle SSIS, prima ancora di definire la nuova formazione degli insegnanti, che il Ministro affida a un gruppo di lavoro.

Il 30 luglio 2008, con Decreto Ministeriale viene istituito un Gruppo di lavoro coordinato dal Prof. Giorgio Israel con il compito di “definire i requisiti e le modalità della formazione iniziale e della attività procedurale per il reclutamento del personale docente delle istituzioni scolastiche e di definire gli ordinamenti didattici universitari per la formazione del predetto personale”.

Il D.M.n.249/2010 istituisce il Tirocinio Formativo Attivo.

Il D.D.G. n. 82 del 24 settembre 2010: Concorso docenti.

L'ennesima sanatoria
Come spesso è accaduto nella storia del reclutamento in Italia, si è dovuta operare una sanatoria, ovvero la riduzione del monte ore previsto per il tirocinio diretto e indiretto. Inoltre, mentre i corsi teorici e i laboratori sono cominciati immediatamente dopo le prove di selezione, i tirocinanti sono stati inseriti nelle scuole nei mesi di aprile/maggio, senza alcuna informazione, alcun protocollo di osservazione della loro attività da parte dei tutor coordinatori che, in gran parte, non erano stati ancora nominati. Una volta iniziata l’attività di tirocinio indiretto, gli aspiranti docenti sostenevano gli esami disciplinari e, in alcuni casi, completavano le lezioni dei corsi di didattica disciplinare. Il tirocinio, fase importantissima della formazione, si trasformava così in una corsa a ostacoli che non consentiva tempi adeguati per la necessaria riflessione, per la sistemazione delle conoscenze in un quadro di riferimento organico.

L’impegno dei docenti universitari, dei tutor, accoglienti e coordinatori, e dei tirocinanti è stato molto consistente, ma non poteva del tutto contrastare gli effetti negativi: al modello formativo top down-bottom up validato nell’esperienza SSIS, si era sostituita una complessa sovrapposizione di teorie, modelli pedagogici e didattici. Per lo più sacrificate sono state la progettazione per competenze trasversali, assenti reali momenti laboratoriali per imparare a comunicare con i vari soggetti (genitori, colleghi, Dirigente, ecc), per imparare a valutare.

La valutazione attitudinale
Una precisazione provocatoria: in alcuni Paesi, come Francia e Inghilterra, l’ammissione ai corsi è sottoposta a una seria valutazione attitudinale. Ora si può contestare l’attendibilità di tale criterio, ma la questione va affrontata. Siamo proprio sicuri che una batteria di quesiti di logica (come è stata proposta nell’ultimo concorso per docenti) o le conoscenze inverosimilmente nozionistiche (si vedano le prove di preselezione di accesso al TFA) ci garantiscano un’attendibile selezione di candidati per la funzione docente?
Tra le tante anomalie italiane c’è quella, drammatica, del precariato nella scuola: in molti paesi europei si registra la carenza del personale docente, in generale o per alcuni indirizzi, e per risolvere il problema si promuovono campagne pubblicitarie, o si adottano misure e incentivi per qualificare la funzione docente. Come mai in Italia questa professione, nonostante sia oggi poco legittimata socialmente, retribuita in modo inadeguato e con possibilità di carriera più che limitata, ha attratto e attrae ancora tanti laureati (per lo più donne e nelle regioni meridionali)?
Un’ipotesi di risposta: fino a quindici anni fa nel nostro Paese erano sufficienti una laurea o un diploma per accedere a un impiego sicuro, che consentiva tempo libero (adattissimo alle donne, in assenza di un sistema adeguato di Welfare) e non prevedeva nessuna modalità di verifica professionale, seppur nella dimensione autovalutativa. Può essere altresì vero che molti insegnanti non vivono la loro professione come work in progress, nella modalità individuale e collegiale, perché è mancata loro una formazione iniziale sotto forma di training autoriflessivo, dinamico e condiviso. Ma certamente questo ruolo statico e isolato della professione (sempre più diffuso?) è in contraddizione stridente con la realtà del lavoro, che invece è in costante evoluzione.

Verso dove si riparte?
Nel piano per la Scuola del Ministro Carrozza, “L’istruzione riparte”, mancano riferimenti alla formazione iniziale e sul suo futuro; nelle ultime dichiarazioni ministeriali si forniscono risposte poco esaustive circa la guerra tra ‘precari’ vecchi e nuovi, PAS vs abilitati TFA . Quanto dobbiamo ancora aspettare?
Vogliamo continuare con questa logica di indecorosa approssimazione e di costante emergenza o programmare modalità di reclutamento che garantiscano alla scuola docenti che non solo abbiano le competenze, ma siano insegnanti “riflessivi”, ricercatori capaci di “dialogare con l’incertezza”, flessibili al cambiamento e promotori essi stessi di sviluppo?
Quaranta anni fa Neil Postman scriveva: “I metodi di buon insegnamento sono tanti quanti i modi in cui gl’insegnanti possono comunicare l’amore per lo studio, il rispetto dei fatti, il fascino di un’idea (…) Non ho mai conosciuto un cattivo insegnante migliorare con un buon metodo”.1
Per Postman l’insegnamento è un’arte, si può non essere d’accordo con questa visione, ma sicuramente la formazione, iniziale e in servizio, non può più rappresentare un problema secondario del sistema scuola, va affrontato con scelte politiche serie e adeguate: non è un apprendistato, e per di più opzionale, bensì un processo continuo che deve trasformare la personalità del docente che “sa” in quella del docente che “comprende”.

1 Postman N., Ecologia dei media, Armando, Roma, 1981.

 

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Sullo stesso argomento leggi Il concorso, igiovani e i precari, di Mauro Piras

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Angela Di Bono Membro della segreteria del CIDI di Pescara e tutor coordinatore TFA Università “G. D’Annunzio” Chieti

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