(Ri)leggere l’opera di Maria Montessori è oggi per un insegnante una meravigliosa azione di cura della propria dimensione umana e professionale. La penna della Maestra forse più citata, ricordata, richiamata, a legittimare questa o quella scelta didattica, metodologica o politica, scivola tra le pagine e individua, leggera e chiara, parole sempre convincenti, illuminate da ragionamenti piani, onesti ed estremamente attuali.
E’ un profondo senso di dignità professionale, in cui ogni insegnante dovrebbe immergersi per condurre al meglio il proprio cammino dentro la Scuola, il primo regalo offerto dalla compagnia delle pagine vergate da questa donna straordinaria. Oggi che l’immagine dell’insegnante oscilla tra il ruolo di vittima di alunni violenti che non hanno una buona condotta, adesso si torna ad usare questo losco termine, e quello di carnefice, causa di frustrazioni (e di conseguenza bersaglio di ricorsi), è attualissimo il riconoscimento della dignità professionale della Maestra. Il lavoro della nuova Maestra è quello di una guida[1], dice Maria Montessori, e ancora coi miei metodi la maestra insegna poco, osserva molto, e, soprattutto, ha la funzione di dirigere le attività psichiche dei bambini e il loro sviluppo fisiologico. Perciò io ho cambiato il nome di maestra in quello di direttrice. Una scelta che faceva sorridere allora e che forse ora scatenerebbe anche maggiore ilarità, ma che Maria Montessori giustifica con semplicità affermando che la sua direzione è ben più profonda e importante di quella che comunemente s’intende: poiché questa maestra dirige la vita e le anime. La maestra deve limitare il suo intervento, lasciando che il bambino, attraverso i materiali di sviluppo, percorra la sua strada, con il proprio tempo; solo quando, talvolta, perda la direzione, potrà intervenire la direttrice, per indirizzarlo nuovamente sulla strada dell’apprendimento, per sorreggerlo se necessario. La vita e l’anima hanno in sé il seme della crescita e coltivano la libertà, il bambino è il maestro! Ecco ciò che la maestra può dirigere: un percorso, al servizio del bambino.
Non basta. Da donna di scienza qual era, cresciuta intellettualmente a cavallo tra il progressivo affermarsi della fiducia nel progresso e le misurazioni e le classificazioni di ogni elemento misurabile nell’individuo, Maria Montessori attribuisce alla maestra un altro, altissimo compito. Per chiarire con precisione quale sia lo spirito dello scienziato, ben diverso dal meccanismo dello scienziato, a un certo punto afferma: E lo scienziato è al culmine della sua ascesa, allorché lo spirito ha trionfato sul meccanismo; da lui la scienza avrà non solo nuove rivelazioni della natura, ma sintesi filosofiche di pensiero.
Ora io credo che dobbiamo preparare nei maestri più lo spirito che il meccanismo dello scienziato[…]. Se dunque l’insegnante può usare strumenti di discipline diverse e se è connaturata al suo mestiere l’osservazione, un ulteriore passo è necessario: quello dell’acquisizione dello spirito dello scienziato, per giungere a una sintesi filosofica di pensiero, a una ricerca, a una riflessione, all’elaborazione di una teoria.
Un insegnante che dirige la vita e le anime, che lavora alacremente alla ricerca profonda di una sintesi filosofica per la costruzione di un percorso di apprendimento è una figura ben rispettabile e strutturata, è la figura dell’insegnante che vorremmo immaginare se proprio dobbiamo richiamare alla mente un’immagine, una categoria, espressione di dignità professionale e competenza.
Ben chiarita la cornice teorica nella quale si inscrive il pensiero sulla pedagogia scientifica, non è da meno trascurata, nell’opera di Maria Montessori, la dimensione operativa, organizzativa e pragmatica del lavoro docente. Pur riferito principalmente ai piccolissimi, il pensiero pedagogico della Maestra è fondante anche per il lavoro con altre fasce d’età. Oggi viene chiamato ambiente di apprendimento ciò a cui Maria Montessori dedica pagine e pagine di riflessione, indicazioni di lavoro, descrizioni di strumenti e della loro progettazione, considerazioni, esempi tratti da appunti e ricordi.
Nel rileggere le durissime critiche al banco è davvero difficile non ripensare alle recenti disposizioni relative al distanziamento dei banchi in era pandemica, all’acquisto dei banchi con le rotelle, al limitato investimento in nuovi arredi scolastici previsto dalle misure del PNRR per le “Next generation classrooms” a vantaggio delle dotazioni digitali, senza nessuna strutturazione di una ricerca didattica seria e generalizzata sugli assetti cooperativi e laboratoriali. Sembra quasi che oggi permanga la vecchia (già per Maria Montessori) scuola e che delle felici esperienze delle Case dei bambini, osservate e studiate in tutto il mondo, nella scuola dell’obbligo sia giunto troppo poco, ad un secolo di distanza. Non sembri forzato il legame tra quella formazione prescolare e il nostro primo ciclo perché La Casa dei Bambini non è una preparazione alle elementari, ma è un principio dell’istruzione che continua senza interrompersi.
Del resto le Indicazioni nazionali richiamano la necessità di una scuola unitaria di base che prenda in carico i bambini dall’età di tre anni e li guidi fino al termine del primo ciclo di istruzione e che sia capace di riportare i molti apprendimenti che il mondo offre oggi entro un unico percorso strutturante[2] e si fondano proprio sulla centralità del bambino, l’aspetto forse più noto della pedagogia e del “metodo” di Maria Montessori.
La studiosa lavorò a lungo con i bambini definiti “deficienti” che di norma venivano educati, allora senza risultati, con i metodi destinati ai bambini definiti normali; grazie al suo lavoro dimostrò che metodi specifici per i primi portavano vantaggio anche ai secondi, studiando con attenzione il lavoro di Itard e di Seguin e fornendoci una chiave di interpretazione del concetto di inclusione affatto scontata.
Il bambino, dunque, è al centro e l’obiettivo ultimo dell’educazione è promuoverne la libertà. Non abbiamo ancora compreso nel suo vero senso l’alto concetto d’indipendenza, poiché le condizioni sociali in cui viviamo sono ancora servili. In un periodo di civiltà in cui esistono i servi, le condizioni sociali non possono alimentare l’idea di indipendenza, proprio come nei giorni della schiavitù l’idea della libertà era oscura.
Il motivo per cui i bambini devono essere sorretti e indirizzati con fermezza in un percorso di autonomia è che l’obiettivo di questo metodo educativo è la conquista della libertà. L’insegnante spesso dovrà frenare le parole, soppesare i “contenuti” della lezione, ridurla al minimo, fare emergere i movimenti spontanei del bambino, un contatto vero con la natura, con la vita, la capacità di agire in maniera autonoma, di non dipendere dagli altri. Dovrà osservare, scegliere i materiali di sviluppo più opportuni, farsi tramite tra il bambino e questi strumenti, indirizzarlo verso la scoperta libera e autonoma del mondo circostante. La libertà del bambino deve avere come limite l’interesse collettivo….tutto il resto deve essergli non solo permesso, ma deve venire osservato dal maestro: ecco il punto essenziale.
[…] non voglio essere servito perché non sono un impotente, ma dobbiamo aiutarci gli uni gli altri, perché siamo esseri socievoli. Quanti bambini e bambine di oggi e di ieri (e forse anche di domani), potrebbero riconoscersi in questa meravigliosa rivendicazione di una scuola che educhi alla libertà? In quante realtà oggi (consigli di classe, collegi docenti, colloqui con le famiglie) gli insegnanti avrebbero bisogno di tenere a mente la ricchezza e la profondità di questo pensiero, qui richiamato solo nelle sue linee essenziali, per individuare una via significativa di percorso educativo e di apprendimento?
E’ difficile non legare la profonda aspirazione alla libertà delle Case dei bambini ad alcune coraggiose scelte di vita di Maria Montessori. Una donna nata nel 1870 in Italia non era una donna libera nel senso che oggi le donne possono dare a questo aggettivo. Non poteva votare, doveva superare grosse resistenze per studiare, lavorare e abbracciare una vita indipendente e autonoma, affrontando difficoltà enormi tra isolamento e rinunce dilanianti. La biografia di Maria Montessori, la storia vissuta che si cela dietro il volto dalla fronte alta e dallo sguardo vivo ma rassicurante che abbiamo maneggiato sui biglietti delle 1.000 lire, è la storia di una donna intrinsecamente libera che ha abbracciato le lotte femministe rispetto al suffragio universale, che ha scelto di studiare e rimanere indipendente e nubile, che ha permesso con il suo lavoro di coltivare il senso della libertà nei bambini di realtà povere e disagiate, favorendo in questo modo anche la libertà delle madri. Il Discorso inaugurale tenuto in occasione dell’apertura di una “Casa dei bambini del 1907 illustra e propone soluzioni ancor oggi attuali, offrendo alle donne, madri di bambini con poche possibilità davanti a sé, la socializzazione della “funzione materna”. Da una parte ciò equivaleva alla possibilità di avere un luogo di eccellenza in cui i bambini compivano un percorso di apprendimento di qualità, in cui esercitavano il linguaggio, si approcciavano alla scrittura, alla lettura e affinavano tutte le loro qualità, con i tempi di cui ognuno aveva bisogno, in sintesi coltivavano la libertà; ma significava anche, per queste madri, essere certe di una cura completa e accurata per i loro figli, con visite mediche regolari, alimentazione sana, educazione igienica. Dall’altra la Casa dei Bambini rappresentava per le madri la possibilità di uscire di casa e lavorare, mantenendo un legame con i figli rafforzato dai colloqui con le insegnanti, partecipando al loro percorso di crescita, crescendo a loro volta.
Questa è una proposta che ancora oggi, ahimè, non è pienamente realizzata (pensiamo al numero di posti disponibili negli asili nido), e, quel che è peggio, non è in agenda realizzare. Vale dunque la pena di rileggerla e studiarla, per riscoprirla e credere davvero che la strada per una scuola (e una vita) migliore esista. Intendiamoci: non crediamo semplicemente in un “metodo Montessori”, perché, ancora con parole della Maestra dovremmo tenere presente che: Il punto di partenza per una vera comprensione del nostro lavoro non è quello di considerare un metodo di educazione ma il contrario: il metodo è la conseguenza di aver assistito allo sviluppo di fenomeni psicologici, che erano rimasti inosservati e quindi sconosciuti per millenni.
Il problema quindi non è pedagogico, ma psicologico; e l’educazione che aiuta la vita è un problema che concerne l’umanità.
La Scuola che aiuta la vita è un problema che concerne l’umanità.
[1] Le citazioni sono tratte da "La scoperta del bambino”, Maria Montessori, Garzanti, nuova ed. 1970.
[2] Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, 2012.