Elena Gianini Belotti (Roma, 2 dicembre 1929 – Roma, 24 dicembre 2022), fu chiamata nel 1960 a dirigere a Roma il primo Centro Nascita Montessori, che diresse fino al 1980.
Nel 1973 pubblicò per Feltrinelli il saggio Dalla parte delle bambine, il libro che le dette maggiore fama e notorietà. Seguirono altre pubblicazioni. Tra le principali Prima le donne e i bambini, Rizzoli 1980, Pimpì oselì, 1995, Prima della quiete, 2003. Il ruolo centrale rivestito nella letteratura femminista italiana è attestato da molti riconoscimenti. Nel 2007, Loredana Lipperini pubblicò per Feltrinelli Ancora dalla parte delle bambine, aggiornamento dei temi trattati 35 anni prima da Elena Gianini Belotti.
Per questo contributo, dedicato ad una delle Autrici che mi hanno maggiormente influenzato, sono partita dal suo saggio più noto. Esso è caratterizzato da un’intenzione di ampio respiro politico-culturale, non limitata all’ambito delle Scienze umane. Ciò è evidente sin dalla Premessa, dove si fa riferimento, in primo luogo, al libro del filosofo John Stuart Mill “La soggezione delle donne” (1869). Qui è già presente - rileva la Belotti - un appello alla nascente psicologia per una conoscenza della donna che non costituisca solo il riflesso della visione che l’uomo ha di lei. L’Autrice mostra di apprezzare la critica, implicante un’aperta denuncia della disuguaglianza fra i sessi, aggiungendo che, se si riuscisse a modificare quest’impostazione, si potrebbero indurre le donne a parlare di sé e rintracciare le fasi in cui hanno subito l’impatto culturale sessista e talora sessuofobo. Ma, anche se si conseguisse questo risultato, osserva la Belotti, rimarrebbe una zona scoperta di cui non ci sarebbe consapevolezza, ovvero la primissima infanzia. Eppure, secondo la Maestra, è lì che si annida l’operazione più fortemente autoritaria, volta a produrre l’identificazione del bambino e della bambina con il sesso cui sono stati assegnati. È la cultura infatti ad avere il peso maggiore sulla costruzione del comportamento adeguato a quei valori/ruoli da conservare e trasmettere socialmente. Il saggio “Dalla parte delle bambine”, contenente numerosi esempi di osservazione sul campo, dopo cinquant’anni mantiene intatte la sua freschezza e la forza persuasiva delle sue asserzioni fondamentali. La ricerca compiuta dalla Belotti su alcuni bambine e bambini, osservati nei loro comportamenti ludici e nelle dinamiche affettive, arriva ad avvalorare la sua ipotesi di partenza e le sue convinzioni di fondo circa il condizionamento imposto sia ai bambini di entrambi i sessi sin dalla più tenera età. Mi soffermerò su due di questi casi, analizzati dall’Autrice nel capitolo 2, “La prima infanzia”. Qui le descrizioni dei comportamenti infantili e le analisi ad esse relative tendono a smantellare alcuni stereotipi, ad esempio quello della naturale irruenza dei bambini, contrapposta alla naturale dolcezza e remissività delle bambine.
Il primo soggetto esaminato è Alessia. Alessia è una bambina di tredici mesi, descritta come vivace, curiosa intraprendente ed autonoma. Il segno distintivo del suo carattere, come viene notato, è la fiducia. Qui sono presenti alcuni passaggi significativi che fanno trasparire le convinzioni femministe dell’Autrice: “Quale mai massiccia operazione repressiva sarà necessaria perché da un simile individui straripante di vitalità, traboccante di entusiasmo e di amore per l vita, esca fuori una donnetta disposta a stare chiusa tra le pareti delle sua opprimente casetta, intenta ad applicare le sue energie strabocchevoli a misere ossessive faccende domestiche?[1]”
La tesi di fondo è avvalorata dalla parallela descrizione del comportamento di Marco, un coetaneo di Alessia. Lui non cammina ancora da solo, è piuttosto tranquillo e sempre alla ricerca di rassicurazione. Accompagna la sua ricerca di attenzione con sguardi teneri e seduttivi e “sembra più interessato alle persone che alle cose” come nota la Belotti. Questi e altri atteggiamenti, però, vengono spesso stigmatizzati dalla madre, che unisce ai rimproveri (“Che maschio sei?”) appassionate manifestazioni d’affetto del tipo “Sei il maschietto della mamma!”.
L’osservazione del caso di Marco porta la nostra Maestra a riflettere sul tema del riconoscimento del proprio sesso che, com’è noto, avviene molto precocemente. Ma cosa segue all’autoriconoscimento? Quali effetti comporta? La letteratura scientifica a cui Elena Gianini Belotti fa ricorso generalmente concorda sul fatto che si determini, in un numero consistente di bambine, un conflitto, a seguito del quale sono in grado di verbalizzare il loro desiderio di essere maschi. La causa è ricercata proprio nelle diverse pressioni educative a cui i bambini dei due sessi sono stati sottoposti. Tale conflitto può essere segnalato da manifestazioni di aggressività, che però nei maschi appaiono “eterodirette”, nelle bambine “autodirette”. Riguardo al tema dell’identificazione con l’adulto, Elena Gianini Belotti conclude con la seguente affermazione: “[…] sia quando limita l’adulto “generale” che quando si identifica con l’adulto “speciale” il bambino e la bambina trovano modelli di adulti perfettamente adattati ai valori stereotipi della nostra cultura”.
In passaggi successivi del suo straordinario saggio l’Autrice contesta vivacemente una delle principali posizioni del grande psicoanalista americano Erik H. Erikson [2].
In particolare viene attaccato il concetto di “spazio interno”. Tale concetto, definito biologico, viene discusso dall’Autore per spiegare perché, durante le osservazioni sui bambini da lui compiute si potevano notare differenti tipologie, tra i giochi preferiti da bambini e bambine, anche se intrapresi con giocattoli scelti casualmente. In particolare, bambini e le bambine invitati a costruire scene di un film immaginario realizzavano scene molto differenti tra loro. Se le bambine costruivano scene di ambienti familiari “chiusi a circolo”, i bambini realizzavano scene di esterni con grattacieli, torri, strade e piazze. Tale differenza viene spiegata da Erikson in senso genitale e su base inconscia, ovvero in relazione alla differenza tra gli organi interni femminili e la natura esterna degli organi esterni erettili nei maschi. Da ciò deriverebbe la propensione dei bambini a costruire scene esterne ed aperte piuttosto che chiuse, come facevano invece le bambine nei casi prima esposti.
Elena Gianini Belotti reagisce a questa conclusione con una forte indignazione. Contestando la posizione dello psicoanalista di scuola freudiana , pur riconoscendo l’insorgere di una certa passività nelle bambine (evidente per lei soprattutto in età preadolescenziale), l’Autrice contrappone alla spiegazione biologica quella culturale, nel mettere in evidenza, come spiegazione delle diverse modalità di gioco, la pressione esercitata dalla famiglia ad incarnare ruoli sociali differenti per i bambini dei due sessi e, contemporaneamente, la maggiore libertà accordata ai bambini maschi nell’esercizio dei giochi di movimento e di esplorazione.
Non mancherebbero altri spunti interessanti, per mostrare la capacità di Elena Gianini Belotti nell’inquadrare le caratteristiche “modellanti” delle sollecitazioni psicologiche, riservate ai bambini di sesso diverso. Tutte le considerazioni che è possibile fare sulle teorie della nostra Maestra portano a sottolineare la necessità, giustificata socialmente, di differenziare il comportamento infantile, plasmandolo a seconda dei ruoli precostituiti e fissati dalla cultura patriarcale. Ci si può domandare fino a qual punto questa necessità induce chi esercita funzioni educative, a partire dalla famiglia, ad agire per limitare e reprimere le grandi potenzialità conoscitive e creative presenti nelle bambine. Tale coercizione, spesso inconsapevole, con funzione adattiva e conservatrice in chiave culturale, oltre a mantenere pressoché immutata l’asimmetria tra i sessi negli assetti del potere socio - economico, si traduce in un’imposizione anche per i bambini, indotti ad acquisire stabilmente tratti maschili “dominanti” anche contro la propria vocazione. Il primo caso descritto dalla Belotti, quello di Marco, potrebbe illustrare a mio avviso quali spinte vengano esercitate dalla famiglia sin dalla prima infanzia, al fine di reprimere spesso le naturali manifestazioni di sensibilità e i bisogni affettivi che sono generalmente considerati tratti peculiari della natura femminile.
Quanti e quali cambiamenti sono intervenuti nei cinquant’anni successivi alla prima pubblicazione del saggio della Belotti, in relazione al vigente approccio educativo? Potremmo chiederci ad esempio se e quanto sia cambiata la tipologia dei giochi rivolti all’infanzia. Purtroppo non si evidenziano significativi progressi, almeno non abbastanza. Il mercato dei giocattoli, oggi caratterizzato dall’ampia diffusione di oggetti e dispositivi alquanto sofisticati ed accattivanti, rispecchia ancora gli stereotipi, favorendo in modo subdolo la differenziazione e la fissazione dei ruoli sessuali e sociali di tipo tradizionale. Anche i media in tutte le loro articolazioni fungono da cassa di risonanza nel pubblicizzare, spesso in forma subliminale, gli oggetti di desiderio indotto per le nostre bambine e i nostri bambini.
A conclusione delle mie considerazioni, vorrei fare un breve accenno all’ultimo capitolo del saggio, dedicato alle istituzioni scolastiche [3]. Qui Elena Gianini Belotti esordisce professando un atto di fede smisurato per il bambino, con espressioni di stampo montessoriano: “Da quando viene al mondo, è un insaziabile, temerario, curiosissimo esploratore che usa sensi e intelletto come uno scienziato, teso con tutte le sue energie alla conoscenza”.
A questa premessa segue l’interrogativo: quanto tali energie infantili vengono coltivate davvero dalla scuola? Riprendendo il “filo rosso” caratterizzante tutto il libro l’Autrice rivolge infine un accorato, antiretorico appello all’Insegnante, specialmente a chi opera nella a Scuola per l’Infanzia, facendo risaltare l’importanza della responsabilità educativa e il ruolo della formazione, ancora troppo poco riconosciuto e valorizzato, all’interno delle istituzioni educative.
[1] Elena Giannini Belotti, "Dalla parte delle bambine", Feltrinelli, 1973, capitolo secondo, pag. 52.
[2] Erik H. Erikson, "Infanzia e società", Armando, 1966, capitolo secondo, pp. 195-229.
[3] Elena Gianini Belotti, op. cit. capitolo quarto, pp. 123-193.