Tra i problemi irrisolti più gravi del nostro sistema di istruzione, figura la ancora scarsa incidenza degli insegnamenti scientifici e tecnologici. Si insegnano poco, a volte male; talvolta, così come accade nella vita di ogni giorno, anche nella scuola si arriva a giustificarne con una certa indulgenza la poca attenzione se non la scarsa competenza; anche perché, a loro volta, tali insegnamenti, per come vengono impartiti, spesso danno luogo ad apprendimenti effimeri e poco significativi. D’altra parte è un fatto che il sistema scolastico nelle sue gerarchie interne consideri gli insegnamenti scientifici e tecnologici come ancillari rispetto a quelli linguistici, letterari, storici, considerati fondanti sotto il profilo educativo (Croce insegna). Ne è prova la ripartizione del numero delle ore settimanali di insegnamento e di conseguenza il ruolo di coordinatori di classe affidato in generale ai docenti di discipline umanistiche.
Il problema è molto grave poiché si riverbera su una popolazione che per quanto scolarizzata - a tacere di maghi, fattucchieri e oroscopi - manifesta diffusamente non poca ignoranza nel campo delle scienze e delle tecnologie. Una situazione forse sopportabile ancora qualche decennio fa, ma ormai intollerabile, ora e ancor più per il futuro, data la crescita esponenziale di questi due territori del sapere e dell’attività umana, tale da rivoluzionare la vita della società e di ciascun individuo. Ne va della stessa vita democratica. Non è solo questione di partecipazione alle decisioni pubbliche a risultare inadeguata: non essendo diffuso un sufficiente discernimento critico al riguardo, nella popolazione si avvertono fenomeni contrastanti, ora di acritico affidamento alla parola della scienza e ancor più alle nuove strumentazioni tecnologiche, ora di totale sospetto e diffidenza.
Una così scarsa competenza e gli approcci sbagliati che ne derivano producono oggettivamente un perverso restringimento della sovranità popolare il cui esercizio si trasferisce di fatto nelle mani di pochi gruppi di esperti che non agiscono necessariamente per fini di interesse generale. In ogni caso una così grave carenza di conoscenza scientifica e tecnologica tende a dar luogo ad una società culturalmente poco dinamica, tendenzialmente conservatrice se non addirittura reazionaria, magari disorientata da assurde ideologie, anche se fa uso di ciò che scienza e tecnica mettono a disposizione della comunità umana. Una così grave carenza educativa, tale da collocare di fatto gli individui in una condizione di subalternità piuttosto che di padronanza responsabile, parte oggettivamente dalla scuola: ma questo grave limite, non solo culturale ma addirittura istituzionale, non è tuttavia ascrivibile soltanto a essa. Le cause risalgono all’intero sistema culturale occidentale e specificamente italiano, e riguardano la storia di ciò che si è inteso per cultura negli ultimi secoli, durante i quali, agli inizi dell’epoca moderna, sono stati creati, soprattutto da parte di ambienti ecclesiastici, forti ostacoli negazionisti verso la ripresa e l’avanzare della scienza, producendo azioni volte comunque al suo contenimento entro una sfera di autoreferenzialità tale da non modificare, se non in misura limitata, la sfera generale dell’ordine morale e sociale corrente. Tutto ciò in chiave conservatrice se non addirittura reazionaria.
Tuttavia lo sviluppo prepotente della scienza e con essa della tecnologia (in quel rapporto di reciproco sviluppo segnato dall’esempio: conoscenze sull’ottica-invenzione del cannocchiale-scoperta di nuovi mondi) ha portato nella storia occidentale, dal Sei-Settecento fino al secolo scorso, a riconsiderare in modo ricorrente il pensiero razionale, logico-scientifico, e a riscoprire l’importanza della scienza e della tecnologia. Come se ogni volta, rotto a un tratto il vaso di Pandora, allo sviluppo scientifico e tecnologico si associasse un’idea di progresso, specificamente di progresso politico-sociale, risolutrice dei nodi più caldi delle condizioni umane di vita. La fiducia nella scienza si è addirittura tradotta in fiducia di riscatto sociale grazie a filosofie politiche che si dichiaravano, appunto, scientifiche, facendo balenare come non solo possibili, ma scientificamente ineludibili traguardi sociali di cambiamento pressoché utopici. Se la filosofia già dai tempi di Platone aveva fallito nel tentativo di farsi politica, altrettanto in epoche più recenti è accaduto per la scienza e per la tecnica. Con un danno gravissimo sotto il profilo culturale generale poiché ne ha sanzionato la sostanziale estraneità rispetto al circuito culturale corrente al punto che per secoli si è intesa per cultura solo quella concentrata sulle 'belle lettere’.
Dunque, ora vilipesa, ora esaltata, in entrambi i casi la scienza è stata di fatto negata nella sua funzione propria, che non è quella di interpretazione del mondo e di risolutrice assoluta di ogni problema, quanto piuttosto di costante ricerca e avanzamento con metodo sperimentale nella conoscenza dei fenomeni. Dunque intrinsecamente capace di sviluppo, e come tale anche di nuove impegnative domande; a loro volta generatrici di pensiero e di eticità, e quindi possibilmente, anche di progresso. L’Umanesimo alle sue origini, sulle orme delle opere degli antichi, collocò e riconobbe l’attività scientifica come parte integrante della scienza dell’uomo per nulla separata dalle altre espressioni culturali. Ma lo stesso movimento umanistico non riuscì a sottrarsi, almeno in Italia, a una visione ultraterrena fino ad allinearsi formalmente in fatto di scoperte scientifiche alle posizioni negazioniste della Chiesa. La cultura umanistica si è così riconosciuta, nel tempo, sempre più circoscritta entro il perimetro delle lettere, in primis le antiche, della filosofia, della storia, dell’arte, oltre che, beninteso, della religione, materie su cui hanno trovato fondamento nel tempo e si sono consolidati quei principi culturali e morali che hanno ispirato, pur con gravi carenze e contraddizioni, gli apparati educativi, in genere gestiti da religiosi. L’approccio epistemologico a quelle discipline ne ha reso e ne rende lo studio culturalmente ed eticamente significativo articolandosi attraverso una pratica plurisecolare alle varie fasce sociali e di età. La scienza (insieme alla tecnologia) è sostanzialmente rimasta isolata da tale processo. Ma il suo irrompere progressivo nei decenni più recenti nella vita di ognuno evidenzia sempre di più il disagio derivante dalla diffusa profonda incapacità a gestire con idee e comportamenti adeguati il rapporto, individuale e sociale, con essa. Di contro, sempre più la tradizione umanistica letteraria si mostra inadeguata a dare oggi, essa sola, risposte educative convincenti fino al punto qualche volta, per assurdo, di generare e quasi validare, contraddicendo la sua stessa natura, atteggiamenti di chiusura verso ‘l’altra cultura’.
È proprio sul terreno educativo che si evidenzia particolarmente questa difficoltà. Attraverso l’insegnamento a scuola delle discipline scientifiche non si tratta di diventare scienziati, così come con le discipline classico letterarie non è necessario diventare poeti o scrittori, ma di attingere progressivamente da quegli insegnamenti non conoscenze banali o effimere o suscitatrici di meraviglia, ma un vero e proprio sistema di significati, valori, comportamenti etici, un pensiero complesso, per concorrere allo sviluppo di capacità autonome di ragionamento, sostanza del progresso civile. Solo negli anni 70/90 del secolo scorso sono stati introdotti gli insegnamenti scientifici nella scuola dell’obbligo, ma senza che ci fosse stata una seria e approfondita riflessione sulle modalità di approccio educativo a tali discipline. In assenza di ciò l’insegnamento scientifico invece di esaltare le sue caratteristiche proprie, che comportano apertura a tutte le possibilità di interpretazione, ha semmai acquisito i difetti di quello umanistico: l’approccio mnemonico a improbabili elencazioni di argomenti più che ad approfondimenti epistemologici significativi; un insegnamento libresco con approccio sistematico-deduttivo piuttosto che fenomenologico-induttivo; percorsi di apprendimento non adeguati alle strutture cognitive e motivazionali degli studenti; una scarsa attivazione di processi di osservazione, problematizzazione, riflessione, formulazione di ipotesi, interpretazione, per arrivare anche ad elementi di concettualizzazione e teorizzazione piuttosto che a verità precostituite. Tutto ciò ha caratterizzato e caratterizza in gran parte gli insegnamenti scientifici nella scuola.
Naturalmente non mancano in tal senso esperienze pluriennali assai significative, ancorché ristrette a gruppi di insegnanti impegnati in questo tipo di ricerca professionale (si veda in particolare l’esperienza dei gruppi di LSS in Toscana). Ciò che emerge da queste esperienze è la varietà delle competenze professionali messe in campo, cioè la complessità del ruolo dell’insegnante come mediatore in funzione educativa dal punto di vista epistemologico, psicologico, metodologico rispetto alle discipline. Un atteggiamento che vale sicuramente per tutte le discipline ma certamente vale in particolar modo per quelle scientifiche sì da permettere di attivare forme di comprensione profonda e concorrere così allo sviluppo di capacità autonome di ragionamento. Questo richiede da parte docente, con le dovute attenzioni, una maggiore vicinanza educativa con gli studenti, al fine di esercitare quella funzione di mediatore con le discipline, senza pretendere di “delegare” a esse sole una improbabile e inefficace funzione educativa. Non sono le discipline il centro del sistema educativo bensì gli allievi. Ciò richiede un deciso salto di qualità nell’organizzazione della vita scolastica, con l’opportunità di disporre di luoghi preposti allo scambio di esperienze didattiche e metodologiche per favorire una costante riqualificazione, e consentire una attiva partecipazione professionale alla riuscita del processo educativo e non limitarsi a una burocratica presa d’atto dei risultati più o meno raggiunti dagli allievi. Risultati, allo stato attuale, generalmente alquanto scarsi.
Immagine a lato del titolo: Fotografia di scena tratta da "Leben des Galilei" di Bertolt Brecht (1938 - 1956), nell'edizione del Berliner Ensemble, 1957; da la cooltura, 14.08.2018.