esperienzecultura e ricerca didattica

01/10/2024

Del cambiamento

di Paola Conti

Dal vocabolario Treccani, "evoluzione" è: “Ogni processo di trasformazione, graduale e continuo, per cui una data realtà passa da uno stato all’altro – quest’ultimo inteso generalmente come più perfezionato – attraverso cambiamenti successivi”. Questo significato del termine "evoluzione" racchiude e spiega l’itinerario di ricerca didattica intrapreso in questi decenni dai gruppi di didattica del C.I.D.I. Firenze per le diverse discipline. Nella definizione si fa riferimento ad un “processo di trasformazione graduale e continuo”, inevitabile e necessario (aggiungo io). Inevitabile perché tutto cambia intorno e dentro alla scuola: cambiano i bambini, i loro bisogni, i loro interessi, il loro modo di imparare; cambia il nostro sguardo di insegnanti che si fa via via più approfondito, meno confuso; cambiano le priorità (dalla scuola dei contenuti a quella delle competenze). Necessario perché l’alternativa è tra subire i cambiamenti e cercare affannosamente di inseguirli o provare ad intercettarli e rispondere alle sfide che i cambiamenti ci pongono davanti utilizzando l’esperienza accumulata per avanzare proposte nuove e migliori. I cambiamenti ci sono; sta a noi decidere se vogliamo essere passivi o attivi nei loro confronti.

Ma come cambiano le proposte didattiche? Attraverso un percorso di ricerca e approfondimento, di maturazione metodologica frutto di una riflessione collegiale all’interno di un orizzonte temporale lungo. Insieme alla parola "evoluzione" potremmo usare il termine "distillazione", che forse rende anche meglio ciò che può accadere: non si tratta di rivoluzionare tutto, di abbandonare ciò che è stato fatto finora per aderire ad una nuova “religione”. Questo è quello che troppo spesso ci viene proposto dal Ministero. Quante riforme epocali, quante "madri di tutte le riforme" abbiamo visto passare senza che poi la scuola cambiasse di una virgola? Il processo di distillazione è un processo lento, lungo, si misura in gocce, in stille (appunto). Ma quelle gocce sono di una sostanza profondamente diversa dalla materia di partenza e al tempo stesso ne mantengono alcune caratteristiche fondamentali. In quest’ottica anche le “critiche” ai percorsi non sono mai negative, distruttive. Non demoliscono (e di conseguenza, non demoralizzano chi le riceve). Anzi: rappresentano il segno del loro valore, una forma di rispetto nei confronti del lavoro che c’è stato per metterli a punto, la volontà di non usarli come icone ma di accompagnarli e farli crescere utilizzando il metodo con i quali sono stati costruiti. Chi si avvicina a questi percorsi attratto dai risultati (che pure ci sono), sperando di trovare soluzioni alle proprie difficoltà di insegnamento, se ne allontana deluso dopo il primo (blando) tentativo di messa in opera. E fa bene. Perché questi non sono percorsi /ricetta come quelli che si trovano sulle riviste, sulle guide, su Pinterest (il nuovo libro sacro delle maestre). Questi sono itinerari di ricerca e formazione continua della propria professionalità. Partono da un’insoddisfazione nei confronti del proprio modo di lavorare e non approdano mai. Ma durante il viaggio si sperimentano nuovi modi di stare a scuola, si osservano e si costruiscono con i bambini nuove modalità di apprendimento. E la soddisfazione che ne deriva ripaga dalla frustrazione dell’incompiuto. 

Un esempio: dove vivono gli animali?

Uno dei primi percorsi didattici del curricolo di educazione scientifica per la Scuola dell’Infanzia che è stato messo a punto dal gruppo di ricerca del CIDI di Firenze è stato quello sull’osservazione di piccoli animali. Nel n.7 dell’Ottobre 1999 della rivista "Scuola Infanzia", ideata e diretta da Giancarlo Cerini, veniva pubblicato un articolo dal titolo “Un coniglio a scuola. Un’esperienza di osservazione scientifica nella Scuola dell’Infanzia”. Dalla documentazione del lavoro contenuto in quell’articolo sono seguite molte proposte che avevano come oggetto l’osservazione di molti altri animali. Pur nell’arricchimento dei percorsi però, la struttura è rimasta sostanzialmente invariata nel tempo. Uno dei punti che è apparso critico fin dall’inizio riguardava l’approfondimento sugli ambienti di vita degli animali osservati. Perché lo avevamo inserito, allora? Per ansia di completezza. Il gruppo di ricerca della Scuola dell’Infanzia si era formata per derivazione da quello delle colleghe della Scuola Primaria. Loro avevano già tutto un repertorio collaudato di percorsi sia di chimica, sia di biologia. Noi cercavamo di “adattare” la metodologia delle 5 fasi alla nostra scuola. Il compito non era facilissimo perché le colleghe basavano tanto del loro lavoro sulle produzioni scritte dei bambini (individuali e collettive). Noi dovevamo trovare un modo per sostituire la scrittura con qualcosa di altrettanto efficace. Lo abbiamo trovato nella creazione dei simboli grafici. Sull’onda dell’entusiasmo abbiamo applicato la nostra “scoperta” a tutto ciò a cui si poteva applicare. Avevamo bisogno di un percorso completo, qualcosa da sperimentare e da confrontare con la didattica “vecchia” che avevamo utilizzato fino ad allora. Così abbiamo creato una struttura che ricalcava i percorsi della scuola primaria, con i dovuti accorgimenti. Ne è uscito un itinerario che accompagnava i bambini alla scoperta dell’animale passando attraverso l’osservazione delle caratteristiche percettive (Com’è?), delle azioni (Cosa fa?) e degli ambienti di vita (Dove vive?). Questa struttura ci dava anche la possibilità di utilizzare i simboli grafici condivisi per costruire "frasi" che i bambini potevano “scrivere e leggere” attraverso la combinazione di forme geometriche che corrispondevano alle parti del discorso (il cerchio era il soggetto, l’ovale l’attributo, il quadrato il predicato verbale e il triangolo il complemento di luogo: il coniglio bianco cammina nel prato. Oppure: nel prato cammina il bianco coniglio. Ecc… ). Una volta “riscossa” la soddisfazione per il risultato raggiunto, è iniziato il processo di distillazione-evoluzione. Intanto ci siamo accorte che la richiesta "Com’è "era troppo complicata e mal posta. Così l’abbiamo separata in due richieste: prima "Cos’ha" e poi (solo dopo e eventualmente) "Com’è". L’individuazione delle parti del corpo degli animali e la loro rappresentazione ci è sembrata da subito più adatta ai bambini dai 3 ai 5 anni. E questo è stato il primo cambiamento apportato al percorso. Nel corso degli anni, in alcune documentazioni è scomparsa la domanda "Dove vive?"; abbiamo anche affrontato la questione durante le nostre riflessioni di gruppo ma non eravamo mai arrivate ad una conclusione condivisa. Quest’anno, all’interno del gruppo, una collega nuova (che affrontava la sperimentazione per la prima volta) ha riproposto la questione in termini espliciti e in termini altrettanto espliciti l’abbiamo affrontata. La conclusione è stata che non solo si può fare a meno di chiedere "Dove vive" l’animale osservato, ma che è opportuno non chiederlo. Intanto è venuta meno quella necessità di completezza (frutto di insicurezza e ansia) che avevamo all’inizio; nessuno di noi adopera più il sistema della costruzione delle frasi nei percorsi scientifici per cui non abbiamo più bisogno di un complemento di luogo. Ma ci sono anche motivi più importanti dal punto di vista didattico. I bambini non hanno esperienza dei diversi ambienti di vita degli animali; per alcuni l’esperienza proposta dalla scuola rappresenta il primo contatto reale con l’animale. Per quei bambini la chiocciola vive nel terrario che noi abbiamo costruito. I luoghi poi, sono concetti difficili da definire: cos’è un prato? Che differenza c’è con un giardino o un orto? E un cespuglio? Chiedere "Dove vive" significa porre una domanda difficile e fuorviante al tempo stesso. L’obiettivo del percorso è costruire competenze osservative in relazione ad elementi concreti. Per rispondere a quella domanda i bambini devono far ricorso a conoscenze pregresse, costruite con modalità differenti rispetto a quelle della scoperta proposta a scuola. La riprova di queste considerazioni ci arrivò già alcuni anni fa. Alla fine di un percorso di osservazione degli animali del prato, proponemmo ai bambini di 5 anni alcune prove di verifica. Una di queste si riferiva alla localizzazione di diversi oggetti e animali all’interno del prato. Il presupposto era che se il percorso era stato efficace, quei bambini avrebbero dovuto collocare nel prato gli elementi “giusti” ed escludere quelli “sbagliati”. E così fu, solo che loro usarono criteri diversi dai nostri per individuare l’adeguatezza o meno degli elementi. Quasi tutti dissero che nel prato c’erano i secchielli e le palette ed era vero perché loro ci giocavano ogni giorno nel giardino della scuola che pure aveva l’erba per cui poteva essere assimilato ad un prato. Un bambino raccontò di aver visto un aereo “nel” prato, intendendo che lo aveva visto mentre lui (il bambino) era nel prato (e anche in questo caso, aveva ragione). Anche per le cose da escludere non andò meglio. I bambini avevano visto automobili nei prati, trattori, perfino tappi di pennarello, bottiglie di plastica, e via di questo passo. È un problema eliminare dal percorso la domanda "Dove vive"? Penso di no. In questi anni i percorsi di educazione scientifica si sono arricchiti così tanto attraverso il lavoro sapiente di tante colleghe che quella domanda (oltre ad essere fuorviante) è diventata inutile. A tanti anni di distanza dalla pubblicazione di quel primo articolo i nostri percorsi sono tanto cambiati. Ed è giusto così. È necessario così. L’evoluzione delle proposte è l’unica garanzia di rispetto dei bambini e dei loro modi di imparare.

 

immagine a fianco tratta da https://maestrajeka.blogspot.com/

Scrive...

Paola Conti Insegnante di scuola dell'infanzia. Fa parte del gruppo di ricerca e sperimentazione del CIDI di Firenze con il quale svolge attività di formazione sui temi dell'educazione scientifica e della progettazione didattica.

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