“Maddalena… zero in condotta” è un film di Vittorio De Sica del 1940. 1940. Tra qualche mese, all’affacciarsi del 2025, le/gli insegnanti italiani si troveranno nella stessa condizione professionale, senza Vittorio De Sica e con tanto compiacimento.
Il decreto sulla valutazione del comportamento, che la maggioranza parlamentare ha votato convintamente, è improntato ad una concezione che non solo è contraria ad ogni forma di pedagogia che si sia sviluppata, dal dopoguerra ad oggi, per delineare un’istruzione e un’educazione efficaci; il decreto è basato su una concezione antiscolastica dell’educazione, in cui l’insegnante e la classe sono nemici e contro i nemici bisogna armarsi.
Il decreto è una di quelle forme di “difesa dei confini” dove ci sono confini falsi e nessuno che attacca, e che negli ultimi anni è fonte di tanto consenso per molta parte della classe politica.
Far ripetere un anno di scuola media ad una bulletta o ad un povero che non riesce a stare al passo con la classe, significa criminalizzare la miseria e la fragilità emotiva, da parte dell’istituzione che è chiamata a promuovere lo sviluppo della persona attraverso il processo dell’educare istruendo.
Il Ministro può ben dichiarare che si punta alla “responsabilità individuale”, ma non c’è alcuna responsabilità nei comportamenti aggressivi di persone piccole affidate a sedicenti adulti. Noi che stiamo a scuola e sappiamo guardare dentro i cosiddetti “atti di bullismo”, dentro ogni singola condizione che porta all’abbandono scolastico, sappiamo quanto dolore portano dentro i minori, quanto manchino di ogni pur minima struttura di relazione, e quanto questa povertà sia figlia di un’altra povertà, quella dagli adulti a cui sono affidati, anzitutto a casa. Gli adulti che li istruiscono ci metteranno il carico, perché da oggi sono autorizzati per decretazione ad autoassolversi dalla loro vera responsabilità professionale, politica, umana. Poiché vogliamo adempiere al dovere di chiarezza, sottoscriviamo che non intendiamo accollarci l’etichetta di “buonismo” o di “giustificazionismo”; invece, non intendiamo rinunciare ad un approccio umano e professionale alla questione della violenza nelle scuole, fenomeno di estrema complessità e delicatezza, soprattutto alle medie, quando si sommano, talvolta in modo distruttivo, le difficoltà domestiche, la crescita fisica non adeguatamente accompagnata dalla consapevolezza, le ostilità che l’ambiente scolastico non manca di far sentire a chi “crea problemi”.
Anche alle scuole secondarie di secondo grado la situazione non cambia nella sostanza. Qui si sono cancellati con un colpo di spugna lo spirito e la lettera dello “Statuto delle Studentesse e degli Studenti”, con la complicità di docenti e dirigenti che l’hanno lasciato sbiadire nella memoria proprio degli Studenti e delle Studentesse. C’è la trovata dell’elaborato di educazione civica per recuperare il “debito di condotta”, che, se non fosse tragica sarebbe comica: una “non-disciplina” per far capire ad un alunno ribelle che deve rigare dritto (o almeno, fingere di farlo). Sarà interessante vedere quali applicazioni pratiche avrà questo dispositivo; di certo, aumenterà quelle forme di sottomissione dei giovani agli adulti avvelenata dalla scelta di non capire di quali responsabilità bisogna farsi carico, per tutelare il diritto dei minori a stare in pace, con loro stessi e nel mondo.
Grazie a questo decreto, la scuola del 2024/25 punisce chi è talmente inconsapevole dei più elementari criteri di gestione del sé e delle relazioni che usa la violenza; chi è talmente a disagio nel sistema culturale dell’istruzione, talmente carico di negatività da non riuscire nemmeno a ribellarsi da pari a pari, ma deve annientare l’interlocutore, aggredendolo fisicamente, allargando le fratture senza riuscire a sanare le proprie. Quando un/una studente aggredisce qualcun* a scuola, l’aggredit* può sporgere denuncia e la questione viene posta sotto la competenza degli organi giudiziari, lasciando alla scuola le sue possibilità di essere un luogo in cui i conflitti si compongono, non esplodono; che bisogno c’è di trasformare la scuola in un ambiente in cui si vive di sospetto e minaccia, più di quanto già non lo sia?
Sorvoliamo brevemente sulle “novità” in materia di sospensione: le iniziative rieducative erano già previste dalla legge, in caso di sanzione da parte della scuola; forse sarebbe stato sufficiente indire un’iniziativa formativa rivolta a dirigenti e figure di sistema delle scuole per adeguare i regolamenti secondo direzioni pedagogicamente significative, giacché in molte realtà si preferisce comminare punizioni per fare pulizia degli elementi di disturbo nelle classi, anziché attuare processi per rieducare un minore.
Servono centinaia di ore di formazione ai docenti sulla gestione della classe, e, soprattutto, delle discipline; servono supporti psicologici e pedagogici nelle scuole. Certo, un bel decreto dai toni punitivi è a costo zero e incontra il gradimento, più o meno esplicito, di tante e tanti insegnanti. Sì, perché diciamolo apertamente: il voto in condotta piace, e piacerà soprattutto usare i numeri più piccoli. Si invoca la “chiarezza”, la facilità di comprensione da parte dei genitori, e si tace della soddisfazione di poter concludere velocemente quella scocciatura pomeridiana che va sotto il nome di “scrutini”. Da quest'anno i professori e le professoresse potranno “punire” con un’insufficienza lampeggiante sul registro elettronico, autoconvincendosi di aver riconquistato quell’autorevolezza che farebbero bene a procurarsi diversamente. Ad esempio, chiedendosi perché Gianni o Pierino non riescono ad imparare niente di ciò che si trasmette in classe, anziché inventarsi un’inesistente “non vuole fare mai niente, quindi…”
Noi dovremmo sapere che, ben oltre i titoli, siamo “insegnanti”, cioè persone che lasciano un segno nella identità di persone che accompagniamo all’apprendimento, e, attraverso questo, all’educazione alla cittadinanza. Dovremmo essere espert* della disciplina e ancor di più espert* di come si rende viva una “materia”, che non è inerte, ma riguarda persone e mondi interi.
Il decreto sul voto di condotta è un’offesa per i molti e le molte insegnanti seri, consapevoli del proprio ruolo e della propria funzione sociale che ci sono nelle scuole italiane, che sperimentano forme di valutazione formativa, che si sforzano di trovare strade e mezzi per raggiungere anche gli ultimi di tutte le classi.
Le scuole, di ogni ordine e grado, dovrebbero essere centri che irradiano luce nei rispettivi territori, luoghi popolati da adult* consapevoli, attrezzati, motivati che preparano terreni relazionali dove coltivare speranze, fiducia, cultura e consapevolezza. Luoghi dove sbagliando si vive, dove non ci sono stranieri né bulli né plusdotati, ma solo bambine e bambini, ragazzi e ragazze alle quali garantire uno straccio di futuro.
Non abbiamo voluto linkare il testo del decreto nè i giornali online che ne hanno dato notizia, per lasciare a chi vorrà un "esercizio": cercare i rilanci giornalistici e confrontare come viene riportata la notizia.
Abbiamo inoltre evitato anche il link allo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, citato nel testo, perchè speriamo che chi legge vorrà scaricarselo, e rileggerlo.
Tutte le posizioni fortemente critiche espresse su questa rivista negli ultimi mesi, infine, si trovano nel banner a fianco del testo.