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editoriali

12/07/2024

Dotti, medici, sapienti e persone giovani

di M. Gloria Calì

Se sapessi scrivere di letteratura, scriverei un romanzo distopico in cui le scuole si trasformano in una specie di poliambulatorio: le discipline diventano integratori da prescrivere e somministrare a seconda dell’età, insegnanti come nutrizionisti, finalmente soddisfatti e gratificati, liberati dalle incombenze burocratiche perché liberati dalle classi con le persone, che regolano la posologia e la durata dei trattamenti, naturalmente con dei piani di somministrazione generati dalla cosiddetta intelligenza artificiale. Ogni insegnante è immesso in ruolo con un concorso computer based in cui l’unica competenza richiesta è conoscere la composizione dei prodotti per l’istruzione inconsapevole. Ci sono sciroppi per imparare a leggere e a scrivere, compresse per il disegno tecnico, pastiglie effervescenti di aritmetica, bustine solubili di fisica, capsule di arte. Naturalmente, le persone con disabilità hanno un poliambulatorio a parte, in cui si danno loro liofilizzati di qualunque sapere chiedano i genitori, che si smaltiscono con le urine, tanto… non  serviranno mai.

Per l* alunn* troppo vivaci c’è un’unica diagnosi: hanno contratto un virus vedendo sui social un antico prodotto video in cui si stava in palestra a giocare con una rete e una palla e un altro antico documento che mostrava tante persone, piccole come loro, in una classe, intente a disegnare; per tutti quest* “casi” gli insegnanti prescrivono autorevolmente lo stesso piano terapeutico: calmanti … o un dispositivo nuovo per videogiochi.

Gianni, che ha 12 anni, si reca con i genitori presso lo studio dell’insegnante, che getta in pasto a qualche algoritmo vorace le date di nascita dei genitori, il modello di smartphone che possiedono, il reddito familiare, le ricerche frequenti sui browser, le caratteristiche dell’abitazione. Ovviamente, poiché il ministero, nel 21° secolo, aveva tanto parlato di “affetto”, “empatia”, “ascolto” … il ricevimento del nucleo familiare si svolge all’insegna dei sorrisi benevoli, di una cordiale ma autorevole interlocuzione con i genitori, che, come ripetono nei corsi di formazione, sono “stakeholder”.

Dopo un certo periodo, stabilito dal docente, gli “assuntori”, (ovviamente è scomparsa dall’uso la parola “studenti”; il maschile sovraesteso è rientrato in auge... più semplice!) vengono sottoposti ad un esame delle alterazioni della memoria: quelli che hanno immagazzinato più informazioni attraverso i farmaci, sono i “meritevoli”, e ricevono, quindi, in premio, un buono in uno shop online di dispositivi digitali. Chi, invece, ha saltato le dosi, ha scambiato i farmaci, insomma, chi non ha seguito alla lettera il bugiardino smaterializzato, viene punito: deve riprendere gli stessi farmaci, che, però, non hanno eccipienti edulcoranti. Ma solo se i genitori sono d’accordo, naturalmente, altrimenti, si fa come va bene a loro. Tanto, il risultato per tutti è uguale: finito il percorso dentro i vari poliambulatori, il/la giovane è perfettamente inconsapevole, pronto a non-scegliere, a non-vivere.

Sicuramente non so scrivere narrativa, ma so leggere, e durante quest’anno scolastico le estroflessioni del governo e del Ministero del Merito sono state dure da leggere: dichiarazioni, decreti, ordinanze che, per citare un intellettuale contemporaneo, nella stessa area politica del succitato ministro, disegnano un mondo al contrario. Tutti i provvedimenti di legge, reali o prefigurati, sono emessi o ispirati dall’attuale governo per una scuola costruita a beneficio dell*  adult*, contro l* alunn*. Sì: “contro”, una scuola “contro”. Un esempio? L'emanazione di un decreto legge, come quello sulla valutazione del comportamento, in cui si legge che l’“autorevolezza dei docenti” è basata su una migliore attrezzatura punitiva, la “cultura del rispetto” è intesa come normatività per  la sudditanza legalizzata dei minori nei confronti dell* adult*. Precisiamo subito che non intendiamo affatto negare l’esistenza di un problema, e cioè i comportamenti violenti contro l* insegnanti; quello che non condividiamo per nulla è l’approccio poliziesco, quindi semplificatorio, a questo problema, approccio basato su una definizione irricevibile della questione, cioè che la scuola è valida se reprime e punisce le cattive condotte. Questa materia delicata va letta, dal nostro punto di analisi, non come un “problema da risolvere”, ma come una complessità da indagare, caratterizzata anzitutto come conflitto intergenerazionale e interculturale. La “condotta”, come è piaciuto farla percepire attraverso le nuove norme, è forma di una materia antropologica difficile da dire, che il compiacimento per il vacuo potere sanzionatorio contribuirà a rendere ancora lontana dalla comprensione.

Nelle emanazioni ministeriali, nessun riferimento a quel tema su cui si radica profondamente l’autorevolezza dell’insegnamento: il sapere, inteso come saper aprire le finestre sul mondo, saper condividere codici di interpretazione e strumenti di intervento civile, saper accompagnare. Invece, il Merito di cui il ministro si fa portabandiera consiste solo nel saper trasformare persone che vanno accompagnate a diventare cittadin* autonom* in sudditi ubbidienti di sovrani senza territorio, senza corona, senza scettro, senza portafoglio, ma con tanta autorevolezza sul videogame del registro elettronico. Un mondo al contrario, per l’appunto: nei “bei tempi andati” si diceva che il compito della scuola è “trasformare i sudditi in cittadini”.

In un recentissimo intervento ad un convegno[1], lo stesso Ministro del Merito ha l’ardire di citare l’esperienza della pandemia come riprova dell’importanza dell’empatia del docente; dovrebbe, invece, agevolare la rimozione di quel periodo se non si sente nella posizione di imparare da essa : noi, che avevamo le classi vuote e gli schermi pieni, ci ricordiamo bene i ragazzini e le ragazzine di tutte le periferie d’Italia collegati con dispositivi di fortuna, isolati in case fatiscenti e sovraffollate; ci ricordiamo benissimo i dispersi digitali. In questo convegno, il ministro è intervenuto persino per il ripristino dell’uso del diario, per far sì che il registro elettronico non sia più usato per “i compiti a casa”, ma resti lo strumento occhiuto di controllo da parte dei genitori sul merito e il demerito dei figli e delle figlie. Ma che cosa pretendiamo? Che, invece, il ministro si concentri sull’estensione obbligatoria del tempo pieno e del tempo prolungato in tutta Italia, provvedimento che ridurrebbe in modo decisivo la dispersione, soprattutto quella implicita?

Provvedimenti come quello sul diario, o sul cellulare in classe, o, ancora meglio, le dichiarazioni sulla sburocratizzazione della funzione docente, fanno leva sulle pulsioni acide e profonde di chi ha, in media, tra 50 e 60 anni: controllare, limitare, e, allo stesso tempo, faticare il meno possibile.

L’abbiamo detto e scritto ogni volta che ne abbiamo avuto la possibilità: l’autorevolezza del docente non sta nella sua severità, ma nella conoscenza del suo mestiere e nella coscienza del proprio ruolo sociale, Politico, che si svolge attraverso gli anni scolastici, il lavoro nelle classi. Gli insegnanti esistono per l* alunn*, per loro devono essere consapevolmente padroni di un profilo culturale e professionale da coltivare e migliorare negli anni. Dovrebbero essere l* alunn*, in quanto futuri cittadini, il centro di ogni movimento istituzionale, movimento da indirizzare unicamente secondo la mappa tracciata in Costituzione.

Il ministro che si occupa di scuola ha giurato sulla Costituzione, e dovrebbe rappresentare tutt* noi, personale della scuola, nel rispetto di quel documento che fonda ogni azione e dovrebbe fondare anche la visione del futuro. Che cosa stiamo garantendo all* abitator* delle nostre classi? Un più efficiente sistema sanzionatorio? Non dovremmo piuttosto occuparci di garantirgli scuole più vicine ai territori, meno dilatate, con strutture adeguate, personale docente in grado di proporre iniziative didattiche significative? La stroncatura del sistema di valutazione descrittiva alla primaria, altra iniziativa ministeriale recentissima, risponde alla stessa logica semplificativa, che conquista il favore di una certa parte di insegnanti (e di molti genitori) e compromette un processo virtuoso di sperimentazione sulla valutazione formativa, l’unica in grado di sostenere la crescita degli alunni e delle alunne.

Il romanzo distopico della scuola in pillole, che produce personalità private di ogni possibilità di scelta, si configura rapidamente come una evidenza materiale preoccupante, contraddistinta, lo ripetiamo, da un tratto fondamentale: l’ostilità dei vecchi nei confronti dei giovani. Del resto, se si allarga la prospettiva ad una scala più ampia del nostro disastrato “mondo della scuola”, la nuova generazione di bambini, adolescenti e giovani adult* annaspa (o muore) tra rifiuti non smaltibili, piogge di bombe, alienazione e traumi. Alcun* di questi provano ad organizzarsi e ribellarsi: a costoro dovremmo affiancarci, porgere ascolto attivo, capire chi sono e dove stanno cercando le risorse per costruirsi una possibilità di futuro. Da parte nostra, cioè di tutt* coloro che credono che la scuola deve essere “per” l* student* e non “contro” di loro, è necessario un rapido, lucido e concentrato sforzo per ripensarne la funzione e rifondare la professionalità docente: la scuola deve diventare una questione intersezionale, perché è il sapere scolastico lo spazio in cui si formano (o si annullano) le coscienze di chi “sta al mondo”.

Note

[1]"La scuola artificiale - Età evolutiva ed evoluzione tecnologica" - Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, Camera dei Deputati, Roma - 10 luglio 2024 -

Scrive...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media da oltre 20 anni, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".

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