Home - la rivista - scuola e cittadinanza - Come restringere gli orizzonti culturali della scuola italiana

politica scolasticascuola e cittadinanza

26/10/2024

Come restringere gli orizzonti culturali della scuola italiana

di Annalisa Marcantonio

Di fronte alla corposa normativa della Linee guida per l’educazione civica [1], ci chiediamo in che relazione essa si ponga con la finalità stessa della scuola, vale a dire l’educazione alla cittadinanza. Quale contributo danno le Linee guida al percorso di formazione che gli insegnanti democratici hanno intrapreso da tempo?

A giudicare dal carattere prescrittivo e dal tono enfatico che le Linee guida, sin dai primi passaggi, presentano, le azioni di educazione alla cittadinanza vengono implicitamente valutate, dagli estensori della suddetta normativa, come un’impresa condotta finora in modo fallimentare dalla scuola italiana, come se le docenti e i docenti misuratasi da tempo con l’insegnamento di queste tematiche non abbiano mai posseduto un bagaglio culturale e metodologico efficace. In questo ambito curricolare si rende necessario perciò - secondo l’attale Governo - ripartire da zero.  Come dire: mettiamo bene le cose in chiaro e seguiamo la via giusta!

L’incipit del testo di legge sembra confermare questa interpretazione: “Le Linee Guida per l’insegnamento dell’educazione civica offrono una cornice efficace entro la quale poter inquadrare temi e obiettivi di apprendimento coerenti con quel sentimento di appartenenza che deriva dall’esperienza umana e sociale del nascere, crescere e convivere in un Paese chiamato Italia”.

Il passaggio seguente appare altrettanto perentorio: (punto 1) “le Istituzioni scolastiche sono state chiamate ad aggiornare i curricoli di istituto e l’attività di progettazione didattica nel primo e nel secondo ciclo di istruzione al fine di sviluppare “la conoscenza e la comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società”. Si viene così a configurare definitivamente una nuova “materia”, i cui contenuti devono essere specificati, e che troviamo esplicitati nel testo di legge, come dirò in seguito.

Nel guardare con preoccupazione al processo che ha portato il MIM a fissare artificiosamente contenuti e temi di educazione alla cittadinanza entro categorie standardizzate, non si può evitare di sottolineare, però, che questa “controriforma” è stata facilitata da un atteggiamento “distratto” caratterizzante i docenti, in anni recenti.  II processo di introduzione di questa “materia” nei curricoli scolastici era da tempo cripticamente avviato, infatti, ma i docenti avevano generalmente sottovalutato i rischi che le prime norme introdotte comportavano [2].  

Nel presente anno scolastico, considerando finita la sperimentazione (durata 4 anni) e in assenza di un atteso monitoraggio e di una mancata riflessione pubblica sugli esiti delle azioni già messe in atto, si procede ora all’impianto definitivo di quest’insegnamento, stabilendo che ogni ordine di scuola avrà traguardi di competenze e obiettivi di apprendimento da perseguire componendo, in una sorta di puzzle, i contributi delle varie materie.

Sembrano opportune, a riguardo, alcune considerazioni. In primo luogo poniamo la seguente domanda. Se la scuola, sia pubblica che privata, assicura il diritto all’istruzione, sancito dalla Costituzione italiana (art. 33 e 34) e se tale diritto si esercita in uno stato democratico “aperto” (garantendo la natura e l’integrità delle stesse sue istituzioni ), i principi e valori dell’educazione civica non sono già costitutivamente chiamati ad “innervare” l’insegnamento di tutte le discipline, a suggerire  ai/alle docenti metodologie e pratiche atte a far sentire le giovani generazioni parte attiva della comunità nazionale? Questo sforzo non deve essere poi, come recita la Costituzione, accompagnato dal rispetto delle diverse peculiarità culturali e professionali degli insegnanti, della loro libertà di espressione e di insegnamento? Non esistono già da tempo buone pratiche che vanno in tale direzione? Mi sembra innegabile.

È dimostrato, inoltre, che le buone pratiche di educazione alla cittadinanza, per avere successo, partono da una premessa necessaria che attiene al rapporto docente/discenti. È sulla base della relazione umana che si instaura tra le due parti, infatti, che si forma quella stabilità emotiva, quella capacità di condivisione e attenzione all’Altro che permettono di condurre studentesse e studenti allo status e all’habitus di “cittadini”, membri attivi all’interno di una comunità. È proprio l’ambiente scolastico il luogo privilegiato a creare questo clima. Un approccio puramente tecnico, una serie di precetti volti a somministrare delle conoscenze “neutre” e di taglio generico, non sembra sufficiente a raggiungere un apprendimento significativo.

Come può un generico vademecum formulato dal Ministero contribuire al processo formativo, se viene a mancare il passaggio precedente, ovvero l’individuazione, per ciascun discente o gruppo-classe, della proposta didattica più efficace, adeguata alle diverse esigenze educative? La dimensione della ricerca-azione sembra del tutto ignorata in questa legge, nella quale spicca invece la compilazione, per ogni ordine di scuola, di un puntiglioso elenco di competenze.

In una diversa prospettiva, rimaniamo convinti che il medium che permette il fondamentale dialogo formativo verso la cittadinanza è dato proprio dalle discipline che, se liberamente percorse ed esplorate dai vari soggetti, offrono infinite risorse conoscitive, essendo capaci di emozionare, portare a nuove scoperte, indurre essenziali processi logico-critici, costruire legami con il presente che rendono possibile, per i giovani, costruire la propria identità. 

Colpisce anche il titolo di Principi a fondamento dell’Educazione civica, assegnato ad una parte della legge. Esso si presta ad alcune ulteriori considerazioni. Questa sezione del testouesta contiene alcuni assunti che possono essere identificati con gli assi portanti della normativa, quali il richiamo al carattere personalistico della Costituzione, la cultura d’impresa e la cultura finanziaria e assicurativa, che si sposano (miracolosamente) con la difesa dell’ambiente e della biodiversità e la lotta a bullismo. Sorge una domanda: il delineare i Principi a fondamento dell’Educazione civica non costituisce già un vulnus al principio del pluralismo nell’insegnamento, delineando i tratti di una sorta di cultura di Stato?  In uno Stato democratico “aperto”, come quello voluto dalla Costituzione (a differenza di quanto accadeva nello Stato fascista) può esistere una cultura di Stato? Mi sembra opportuno ora fare l’esempio di un enunciato, tratto dalle Linee guida, che mostra, a mio avviso, un significativo regresso culturale, un uso riduttivo della semplificazione linguistica, oltre all’enfasi posta su concetti il cui senso e significato appare cambiato nel corso del tempo.

Quale identità?

Rafforzare il nesso tra senso civico e l’idea di appartenenza alla comunità nazionale potrà restituire importanza, fra l’altro, al sentimento dei doveri verso la collettività, come prescritto dall’articolo 2 della Costituzione, nonché alla coscienza di una comune identità italiana come parte, peraltro, della civiltà europea ed occidentale e della sua storia, consapevolezza che favorisce un’autentica integrazione.

(da Principi a fondamento dell’Educazione civica) Alla scuola, in collaborazione con la famiglia e le istituzioni, viene assegnato il compito di ondare l’Identità italiana, europea, occidentale. L’italocentrismo e l’eurocentrismo sostituiscono, in un mondo globalizzato e complesso, la multiculturalità ed il dialogo fra culture e il resto del mondo, tranne un accenno alle carte dell’ONU e alle dichiarazioni internazionali.
È evidente che siamo di fronte a un passo indietro di molti decenni [3].

Un cambio di paradigma?

Pedagogisti, insegnanti e filosofi dell’educazione si sono interrogati sull’impatto culturale di questa normativa sul sistema scolastico italiano. Mi sembra condivisibile il giudizio preoccupato di Aluisi Tosolini che si chiede come le Linee guida intendono inserirsi entro la logica delle Indicazioni nazionali del 2010 e del 2012.  Questo fondamentale testo - com’è noto - adotta in pieno il paradigma della complessità. Viene spontanea la domanda: come può un testo che abbraccia l’orizzonte di un nuovo umanesimo accordarsi, nella scuola italiana, con le linee guida sulla educazione civica? Che fine faranno le Indicazioni nazionali, e come difenderle efficacemente [4]?

Note

[1]: Pubblicate il 7.09.2024 con Decreto Ministeriale n. 183 le Linee guida per l’educazione civica sostituiscono le Linee guida adottate in via di prima applicazione con decreto ministeriale 22 giugno 2020, n. 35.

[2]: La Legge 20 agosto 2019, n. 92 (d’ora in avanti, Legge) ha istituito l’insegnamento scolastico dell’educazione civica e ha previsto che con decreto del Ministro siano definite le Linee guida per tale insegnamento. 

[3]: Le considerazioni finali dell’articolo riprendono l’analisi di da Aluisi TosoliniSi veda anche il parere del CSPI su questo testo di legge.

[4]: Un’ ampia ed esauriente ricognizione critica delle Indicazioni nazionali viene compiuta da Simonetta Fasoli su Insegnare.

 

 

Scrive...

Annalisa Marcantonio Ha insegnato Filosofia e Storia nei Licei; fa parte del direttivo del CIDI di Pescara e partecipa alle iniziative di formazione della Società Filosofica Italiana (SFI), sezione di Francavilla al Mare; redattrice di Insegnare.

sugli stessi argomenti

» tutti