È di questi giorni la notizia che l'ufficio scolastico provinciale di Pisa avrebbe proposto un'assunzione in ruolo in informatica attingendo da una graduatoria concorsuale di 23 anni fa. Il posto era uno solo, ma sono stati convocati tutti e tre i concorrenti ancora presenti in graduatoria, gli ultimi. La scelta di convocare più persone per un solo posto è stata oculata, infatti nessuno dei tre ha accettato la proposta di assunzione ed è stata effettuata la nomina in ruolo d'ufficio del primo candidato presente nella graduatoria a esaurimento.
La scuola italiana viene ancora una volta ferita dall'insipienza della politica, solerte nei tagli, ma cronicamente incapace di assumere le determinazioni che ne consentano una gestione efficace.
L'anno scorso, attingendo alle graduatorie dello stesso concorso, è stata proposta una nomina in ruolo in educazione fisica: si potrebbero fare facili battute sulla prestanza fisica del professore al momento del concorso, e dopo 22 anni in cui non è detto che abbia esercitato questa professione. Anche in questo caso, proposta rifiutata: una pletora di operazioni che se non vanno in porto sono inutili, e se vi approdano potrebbero essere potenzialmente dannose.
Questo sa dare la politica alla scuola: 22 anni senza un concorso di educazione fisica, 23 anni senza un concorso in informatica, proprio di quell'informatica in cui tutto ha un tasso di obsolescenza rapidissimo; un idoneo di 23 anni fa è considerato ancora idoneo, senza la benché minima verifica sul grado di aggiornamento dello stesso in questi 23 anni.
Il nostro Paese si rifiuta, nel campo dell'istruzione, di diventare un paese normale; ci vorrebbero concorsi a cattedre frequenti e periodici, che permettano ai migliori abilitati di vincere quelle selezioni che portano direttamente al ruolo senza umilianti code permanenti, e agli abilitati ancora presenti nelle graduatorie a esaurimento di cimentarsi in quelle stesse prove selettive che, mettendoli in gioco in due diverse graduatorie, non possono far altro che accelerare il loro percorso verso il ruolo, con un incentivo continuo a studiare e ad aggiornarsi abitualmente per tutto l'arco della vita.
Non c'è nessun bisogno di bandire i concorsi solo in presenza di posti: spesso le procedure nel nostro Paese sono così lente (anche per il peggioramento delle condizioni con cui sono costretti a lavorare i commissari) che spesso si liberano anche dei posti in corso d'opera; vale la pena allora indire concorsi per tutte le discipline, per i posti che si libereranno nell'arco, per esempio, di un triennio, per poi azzerarle e rigenerarle con il concorso successivo.
Ci sono dei costi, è vero, ma i benefici sono incommensurabilmente maggiori, e poi si avrebbe una maggiore collaborazione dei docenti candidabili nelle commissioni se i bandi fossero più seri, se per esempio non ci fossero nei requisiti di ammissione discriminazioni odiose, come quelle del pasticciato ultimo concorso a cattedre voluto dall'ex ministro Profumo. Sono stati ammessi a concorrere per un posto di ruolo docenti privi di abilitazione (e già con questo siamo fuori dall'Europa!), purché forniti di lauree molto datate, ma anche persone che hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato, purché non nella scuola: una specie di selezione per titoli al contrario rispetto ai più elementari criteri di merito e di buon funzionamento dell'amministrazione scolastica. Forse, facendo le cose più seriamente, ci sarebbe una maggiore disponibilità a collaborare, malgrado la mannaia dei tagli, quella sì tenuta sempre in efficienza, nella sua disarmante banalità.