Sono uscite da alcuni mesi, esattamente il 12 giugno scorso, le Linee Guida per il passaggio tra i percorsi di istruzione professionale statali quinquennali e i percorsi di istruzione e formazione professionale in capo alle regioni.
Direi che sono passate abbastanza inosservate, forse a causa del periodo estivo, ma a mio parere meritano un'attenta riflessione.
Ovviamente riflettono la visione dell'attuale Ministero che vuole percorsi sostanzialmente rigidi, nonostante il monte ore flessibile, con la sola possibilità degli studenti a rischio insuccesso di passare in percorsi più alla loro portata, tant'è vero che alla possibilità dei passaggi si assegna l'obiettivo di offrire “possibilità concrete di riorientamento”.
Va invece ribadito che l'unico modo di ridurre al minimo la necessità dei “riorentamenti” - che, ricordiamocelo intervengono a valle di un fallimento vissuto o già annunciato - sia quello di orientare al meglio i nostri studenti e le studentesse.
Come? Ritornando all'idea, sostenuto a suo tempo dalla politica di centro sinistra con il contributo importante del Cidi, di “Poli tecnologico professionali" in cui i percorsi quinquennali professionali si interfacciano, dopo i sedici anni degli alunni, con quelli di IeFP, così da permettere scelte di proseguimento degli studi ovvero di accesso al mondo del lavoro, senza doversi misurare con un proprio fallimento, dovuto, ricordiamocelo, soprattutto a una scelta di indirizzo che viene richiesta troppo precocemente.
Come recitano le Linee Guida: “I percorsi di IP svolgono una “funzione di cerniera” tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro, al fine di contrastare le diseguaglianze socio-culturali, favorire l’occupazione giovanile, prevenire e recuperare la dispersione scolastica implicita ed esplicita. Sono dunque in dialogo costante con il sistema di IeFP e la gestione dei passaggi fra i due sistemi, in entrambe le direzioni, costituisce un elemento essenziale e strategico ai fini del successo formativo degli studenti.”
Questa funzione di cerniera a mio parere è realmente possibile solo se le istituzioni professionali statali si configurano appunto come “poli”, capaci di garantire la presenza e un peso specifico significativo ad ogni esperienza didattica, che sia di studio teorico, laboratoriale o svolte in contesti lavorativi, comunque in possesso di una certificata valenza formativa.
Ciò che mi sembra di grande interesse da questo punto di vista è il reinserimento della possibilità per l'istruzione professionale quinquennale di conferire agli studenti le qualifiche e i diplomi della formazione regionale, pur restando nel percorso quinquennale dell'istruzione per raggiungere la maturità. Questo risulta chiaro dal testo delle Linee:
“Con gli Accordi di cui al comma 2 dell’art. 7 del decreto legislativo 61/2017, le Regioni e gli Uffici scolastici regionali, nel rispetto delle competenze esclusive in materia di istruzione e formazione professionale e degli standard formativi definiti da ciascuna regione, prevedono le condizioni e le modalità per rendere accessibile, effettiva e sostenibile - per una più ampia platea di potenziali fruitori - l’opportunità offerta agli studenti di IP di poter acquisire la qualifica triennale e il diploma professionale di IeFP mediante accesso all’esame di qualifica o di diploma professionale, secondo quando previsto dall’art. 3, comma 2, del decreto ministeriale 17 maggio 2018, previo conseguimento dei crediti necessari al completamento della formazione.”
Le Linee aggiungono: "[...] In questa scelta lo studente è sostenuto dalla propria istituzione scolastica che, utilizzando gli strumenti didattici, metodologici ed organizzativi resi disponibili dalla nuova struttura degli istituti professionali, è chiamata a progettare interventi integrativi che consentano agli studenti di acquisire conoscenze, abilità e competenze utili ai fini del raggiungimento dei risultati di apprendimento che costituiscono lo standard delle diverse figure nazionali riferite alle qualifiche o ai diplomi professionali, riconoscibili come crediti formativi per l’accesso all’esame di IeFP”.
Sono indicazioni praticabili, senza nocumento della qualità dell'istruzione, in istituti professionali che si configurino appunto come “poli”, condizione necessaria ma tuttavia non sufficiente: serve una coraggiosa scelta didattica che favorisca l'inclusione di tutti in percorsi unitari, con un uso corretto del monte ore flessibile, vale a dire per arricchire il percorso, che non ne deve essere snaturato, entrando in campi operativi specifici, da utilizzare anche come fossero studi di caso.
A livello di politica scolastica ritornare a percorsi integrati che non selezionano già in ingresso gli studenti - da una parte quelli che possono ambire a raggiungere il quinto anno, dall'altra quelli che devono accontentarsi di una qualifica triennale - significa contrastare la volontà del Governo di offrire un’istruzione più povera agli studenti più deboli destinandoli alla nuova filiera tecnologico professionale che prevede un anno in meno d’istruzione.
Vediamo se le scuole sapranno cogliere questa opportunità, che chiede chiaramente di avere un'idea precisa di scuola democratica per piegare le nuove norme in favore di ben altri fini rispetto alla logica del Ministero.