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11/03/2024

Certificazione delle competenze e cittadinanza contemporanea

di M. Gloria Calì

In attesa delle linee guida, promesse dal DM del 30 Gennaio e ad oggi ancora non emanate, proviamo a capire qualcosa sulle novità portate dalla certificazione delle competenze 2024; tralasciamo consapevolmente la certificazione relativa all’istruzione per adulte e adulti, giacché, per quel segmento del sistema d’istruzione, valgono tratti specifici che vanno affrontati separatamente.
L’innovazione più evidente consiste nell’aver messo in continuità la forma della certificazione: dalla scuola primaria fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione, il modello propone le otto competenze chiave e le rispettive descrizioni, con il tentativo di calibrarle progressivamente negli ordini di scuola. E fin qua, potremmo anche salutare con favore un’operazione attesa da tempo: fino a ieri, il modello di certificazione era omogeneo solo per il primo ciclo, dalla primaria alla secondaria di primo grado, mentre, al biennio della secondaria di secondo grado, si cambiava del tutto impostazione non solo grafica, ma anche visione di fondo, giacché si centrava la certificazione sugli “assi culturali”. 

La pubblicità quasi nulla che si è fatta a questo decreto, eccezion fatta per la comunicazione della FLC-CGIL, e di qualche altra riflessione critica [1] , ma poco diffusa, fa pensare che in realtà la presenza della certificazione nel sistema valutativo italiano sia percepito come un male necessario, non uno strumento che retroagisca sulla didattica; del resto, la realtà delle scuole conferma l’approccio ministeriale:  quello di cui si discute, a fine ciclo, sono sempre e soltanto le valutazioni sommative.

La certificazione delle competenze per come è stata concepita, in coerenza con le Indicazioni dei vari ordini di scuola, descrive, nei dettagli, comportamenti in apprendimento, metodi, approcci, sia ai saperi che alle relazioni, descrive disposizioni consapevoli, capacità di scegliere. Una grande occasione pedagogica, la certificazione, anche se ha un nome sgradevole: un dispositivo descrittivo (non inutilmente misurativo) che definisce un profilo di studente alla fine di un ciclo. Attenzione, quindi al tempo lungo della scuola, ai passaggi di crescita culturale, alla complessità della vita scolastica, fatta non solo di accumuli di nozioni, ma anche di acquisizione, uso e riuso di linguaggi, di relazioni.  Questa “nuova” certificazione delle competenze è stata emanata senza le linee guida, che, nelle precedenti edizioni, fornivano il quadro pedagogico, il “pensiero ispiratore” della formula, attivando (almeno nelle intenzioni degli estensori) processi di riflessioni sul nucleo essenziale del fare scuola: progettare, realizzare, valutare.
Inoltre, il testo esplicativo che accompagnava la precedente certificazione delle competenze chiariva il rapporto tra tutte le diverse dimensioni della valutazione, fornendo un manuale semplice per l’uso e la riflessione negli organi collegiali. Il fatto che su questo non ci sia una consapevolezza adeguata, nelle scuole, non avrebbe dovuto esimere il ministero dall’organizzare iniziative di condivisione e di formazione, per evidenziare il ruolo pedagogico della certificazione, che, invece, con l’avallo del silenzio istituzionale, è definitivamente ridotta ad un adempimento sostanzialmente sterile.
Nelle linee guida del 2017, al contrario, si precisava con chiarezza quanto fosse importante la certificazione delle competenze per dare indicazioni alla progettualità, e in che termini il documento finale fosse coerente con le Indicazioni nazionali. Lì si parlava di questioni essenziali come la trasversalità, il dialogo tra le discipline, la dimensione laboratoriale degli apprendimenti, la metacognizione con strumento di crescita autonoma; tutte questioni fondanti per realizzare apprendimenti significativi.
Nelle linee guida delle precedenti versioni del documento, infine, si dava chiaramente risalto al fatto che la certificazione non era solo affare dell’ultimo quadrimestre dell’ultimo anno, ma era necessaria processualità, e si invitavano le scuole a documentare un percorso che avrebbe portato, a conclusione del ciclo, alla descrizione conclusiva.

Provando a dare una lettura critica non dell’intero documento, ma di alcuni aspetti che ci appaiono rilevanti, notiamo che alcuni cambiamenti rispetto alla versione del 2017 ci indicano che non si tratta solo di una nuova formula per un adempimento, ma di un cambio nell’idea di scuola che, coerentemente, informa di sé la certificazione delle competenze, pur senza fare rumore mediatico.
Compaiono, ad esempio, i “valori costituzionali”, nell’area delle competenze di cittadinanza, scuola primaria, che poi diventa “Partecipare alle diverse funzioni pubbliche nelle forme possibili, in attuazione dei principi costituzionali.” Alla scuola media. Chissà che cosa vuol dire, questo descrittore, per un tredicenne.
Al termine dell’obbligo, il descrittore esplicita “Collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciproco riconoscimento dei diritti garantiti dalla Costituzione”.
Questo riconoscimento di sé in quanto cittadina o cittadino deve, quindi, necessariamente passare dal confronto con la Costituzione italiana, di cui si può individuare la dimensione valoriale alla scuola primaria, quella fondante alla media, quella normativa alla secondaria di secondo grado.

Non ci sarebbe nulla di sospetto, in questo atteggiamento: quale migliore orizzonte di percezione di cittadinanza individuale che quello della nostra Costituzione, che garantisce diritti ed equità, a “tutti”? Ma chi sono questi “tutti”? Chi ha compilato la certificazione, forse (?) non ha tenuto conto di bambini e bambine che stanno nelle classi, ma non sono ancora “italiane” e “italiani”: i loro diritti sono stemperati perché provengono da oltre confine, ma devono pur adeguarsi ad un orizzonte valoriale e normativo “italiano”.
Nella stessa “competenza”, inoltre, il contatto con le diversità culturali è omologato, tra primaria e secondaria di primo grado, nell’espressione “dialogo e rispetto reciproco”. Manca qualcosa? Sì: l’integrazione, il contatto che diventa scambio e genera una cosa nuova, che non è l’accostamento di due “identità”. Nella secondaria di secondo grado, scompare del tutto l’incontro tra le differenze: le persone sono identificate unicamente in un sistema di diritti/doveri, norme/responsabilità. Si assottiglia, nella scuola di questa certificazione, il valore non tanto della co-esistenza, quanto piuttosto della con-vivenza, che, invece, descritto in un documento ministeriale avrebbe una possibilità anche minima ma reale di far ragionare seriamente gli insegnanti sulla convivialità delle differenze che fanno di una classe non un elenco di cognomi ma una comunità.
Notiamo, inoltre, che la competenza “di cittadinanza” è scorporata da “competenze sociali e personali”, sorprendentemente, giacché saremmo portati a pensare che la cittadinanza, si realizzi in società.
Competenze sociali e personali sono, invece, accorpate con l’”imparare ad imparare”, che è un abito metodologico della persona in apprendimento permanente, più strettamente connesso con i saperi disciplinari che con l’area delle relazioni e della partecipazione pubblica.  Ci domandiamo quale sia il criterio di questa scelta.

Possiamo provare ad interpretare questa articolazione come il tentativo di ancorare la “competenza di cittadinanza” all’educazione civica, la cui portata normalizzatrice si è rivelata molto meno efficace rispetto alle aspettative originarie dei promotori, giacché, come s’è detto molte volte, attiene non ad un elenco di argomenti o, peggio, di prescrizioni, ma è insita nel valore formativo delle discipline in quanto ossatura portante della scuola.

Rileviamo infine la trascuratezza con cui viene trattata, in questo nuovo modello, la “competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturale”: uguale descrittore tra primaria e media, all’assolvimento dell’obbligo di istruzione viene declinata come una competenza essenzialmente tecnica, sbilanciata sui “linguaggi” e centrata su “contenuti” tra cui troviamo ammucchiate “norme”, “procedure” e “stati d’animo”; storia e geografia, tempo e spazi, vengono frettolosamente liquidate in tre righe. Questo approccio speditivo alla complessità, questa frettoloso accenno alle dimensioni “diacronica” e “sincronica” delle questioni, ci fa pensare che storia e geografia delle questioni, anziché essere approcci di lettura e interpretazione del reale, strumenti di decisioni consapevoli nell’ottica della cittadinanza intenzionale e realmente inclusiva,  sono declassate ad orpelli, giacché, oggi, è opportuno concentrarsi sull’idea che la/lo studente deve perseguire, con l’occhiuta osservazione dei suoi docenti: il dover essere, e dover essere bravo, rispettoso delle regole, desideroso di lavorare e guadagnare.

Noi continuiamo a pensare che alunni e alunne crescano in una dimensione contemporanea in cui la cittadinanza assume aspetti variegati e complessi, comprendendosi come attitudine alla convivenza non solo rispettosa, ma capace di riconoscere l’alterità come dimensione generativa nei confronti della vita umana e non umana. La scuola ha il dovere di assumere la prospettiva della complessità, e liberare le energie culturali, educare alla conoscenza come dinamica di sviluppo che induce modalità di relazione e di partecipazione consapevole, di domande da porre e di risposte da cercare in prospettiva comunitaria.

Questo aveva previsto la Costituzione italiana tanto menzionata, che, all’articolo 3, parla di “pieno sviluppo della persona umana”, senza distinzioni. L’appartenenza a quell’orizzonte consente, attraverso il sapere, un’esperienza di crescita nella partecipazione alla realtà contemporanea. Lo certifichiamo.

 

Note

[1]  M.T. Stancarone, “Nuovi modelli di certificazione delle competenze”; Scuola7, 11/2/2024; M. Muraglia, “Certificazioni di competenze e condotta”; insegnare, 14/2/2024.

Scrive...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media da oltre 20 anni, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".

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