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27/02/2019

Come sviluppare una scuola inclusiva per competenze?

a cura di Autori Vari

Il 27 gennaio 2019 si è  svolto presso il cidi di Firenze un seminario di lavoro dal titolo "Come sviluppare una scuola inclusiva per competenze?", tema quindi di significativa e attuale rilevanza.
L'elaborazione si è sviluppata in alcuni animati gruppi di lavoro, di cui forniamo la sintesi. 

Questi i temi dei gruppi di lavoro:

Il curricolo per competenze nell’Infanzia

Includere: didattica autentica e/o prove autentiche


Alcuni esempi di percorsi inclusivi 

Strumenti efficaci per la valutazione

 

 

Il curricolo per competenze nell’Infanzia
Sintesi del lavoro di gruppo, a cura di Paola Conti

Gli interventi dei relatori e dei partecipanti al gruppo si sono soffermati su due aspetti. Il primo ha riguardato la questione delle competenze nella Scuola dell’Infanzia: la loro promozione, il loro sviluppo, la loro individuazione e valutazione. Il secondo ha rappresentato una riflessione sulla questione della fattibilità di un curricolo volto allo sviluppo di competenze nella realtà attuale della Scuola dell’Infanzia.

Al loro arrivo a scuola i bambini sono portatori di competenze importanti. Ma di quale tipo? I partecipanti al gruppo si sono detti concordi nel rifiutare un’idea di bambino in possesso di competenze consolidate, capace, in virtù del solo processo di crescita, di acquisirne di nuove. D’altra parte, hanno contestato anche l’idea contraria, ovvero che per i bambini dai 3 ai 6 anni non si possa parlare di acquisizione di competenze. In realtà i bambini sanno fare molte cose e a 3 anni hanno già imparato molto di quello che servirà loro nella vita: si muovono autonomamente, parlano facendosi capire, provano a disegnare, riconoscono immagini e danno loro un significato e un nome. Ma per accorgersi di tutto questo ci vogliono occhi attenti e allenati, talvolta sono necessari occhiali, lenti di ingrandimento. Qualche volta occorre usare il microscopio per vedere i segnali più piccoli o il telescopio, per guardare lontano. Sono necessari cioè tutta una serie di strumenti, che uscendo dalla metafora visiva, mettano gli insegnanti in grado di “accorgersi” della presenza delle competenze, della loro mancanza, della loro possibilità.

Bisogna spostare lo sguardo dalle competenze dei bambini a quelle degli insegnanti perché se è certo che i primi le hanno, purtroppo non possiamo dare per scontato che le abbiano anche i secondi. Ed è qui che entrano in gioco i percorsi di tipo curricolare che rappresentano una parte importante degli strumenti necessari ai docenti per intercettare, potenziare, costruire progressivamente le competenze dei bambini. Perché se è vero che i bambini sanno fare molte cose, manca loro la consapevolezza, il controllo pieno di ciò che pure fanno normalmente. Le relazioni sono state svolte proprio in questa ottica cercando di mettere in evidenza come (attraverso quali materiali, quali strategie, quali richieste) si possono mettere in atto percorsi didattici di scienze, lingua, matematica e storia a partire dalla Scuola dell’Infanzia in una prospettiva al tempo stesso verticale e inclusiva. Sono stati illustrati e messi in evidenza il ruolo dell’esperienza diretta, l’aspetto della gradualità delle proposte, la funzione dell’insegnante.

Dagli interventi dei partecipanti sono emersi sia la condivisione, rispetto a ciò che veniva presentato, sia la difficoltà a metterlo in pratica. Così la riflessione si è spostata sulle condizioni di fattibilità delle proposte nelle realtà delle scuole. Si possono realizzare percorsi davvero inclusivi in sezioni di 26/29 bambini misti per età? Quali spazi sono necessari? Quali tempi di compresenza? Quali materiali? Quali ambienti? Quali e quanti momenti da dedicare alla progettazione, al monitoraggio e alla riflessione collegiale? Quale ruolo hanno i Dirigenti? Nelle nostre scuole abbiamo ciò che sarebbe necessario per fare un lavoro sensato e significativo? In estrema sintesi, la Scuola dell’Infanzia, in questo momento è in grado di lavorare in una logica curricolare per la costruzione di competenze? La risposta dei partecipanti al gruppo è stata che, a parte rare eccezioni dovute alla felice combinazione di elementi fortuiti, è molto difficile e faticoso portare avanti un progetto educativo con queste caratteristiche.


 

Includere: didattica autentica e/o prove autentiche
Sintesi del lavoro di gruppo, a cura di Maria Piscitelli

I lavori si sono aperti con una breve introduzione sui contributi di studiosi americani quali Wiggins e McTighe, Newmann e Wehlage che hanno sviluppato molte riflessioni sulla pedagogia e i compiti autentici. Nel 1993 Newmann e Wehlage per primi proposero una metodologia che chiamarono “istruzione autentica”, diventata poi anche “pedagogia autentica” in pubblicazioni successive. Essi hanno fornito dei punti di riferimento per individuare e qualificare una scuola che insegni in modo autentico, migliorando le prestazioni degli alunni a ogni livello. Queste ultime, chiamate autentiche, non si realizzano quindi senza una pedagogia autentica. Nelle loro riflessioni pedagogico-didattiche Wiggins e McTighe si rifanno ai contributi di Dewey, Bruner e in parte Piaget, che citano costantemente nel loro libro Fare progettazione.

Nonostante ciò, la novità maggiore della loro proposta non risiede nella pedagogia autentica quanto nell'attribuire grande importanza alla valutazione autentica con la progettazione a ritroso (focalizzazione sul che cosa insegnare tramite la valutazione), che si rifà alla pedagogia per obiettivi (Bloom e Tyler). Questa posizione è stata largamente condivisa in Italia dove proliferano indicazioni sulle prove autentiche e sulle rubriche.

Il Cidi di Firenze da trent’anni imposta le proposte di un insegnamento significativo e profondo (curricolo verticale) sulla base dei quattro grandi della Psicologia dell‘Educazione del ‘900: Dewey, Bruner, Piaget e Vygostkij (probabilmente il più rilevante) che Wiggins e McTighe non citano mai. Le teorie di questi grandi della Psicologia dell‘ Educazione del ‘900, unitamente alla riflessione sulla formatività dei saperi, percorrono la maggior parte dei percorsi curricolari (lingua, scienze, matematica), come lo dimostrano i contributi esposti dai colleghi.
Da tutti e tre gli esempi si evincono orientamenti significativi sul piano epistemologico, psicologico e pedagogico che informano: 1. la scelta dei prodotti intellettivi sempre pedagogicamente adeguati alle strutture cognitive, socio-affettive e motivazionali degli studenti e correlati tra loro. 2. modelli psicologici e pedagogici capaci di suscitare il piacere della scoperta e la sfida dell'apprendere e al contempo in grado di attivare processi di costruzione e negoziazione della conoscenza, sollecitando prestazioni partecipate e cooperative.

In ogni lavoro sono evidenti l'adozione di modelli culturali aderenti al pensiero e ai bisogni affettivi e relazionali degli alunni e il frequente ricorso a fenomeni (linguistici, scientifici e matematici) autentici e a momenti di amichevole feedback.

Tuttavia per noi il termine “autentico” è riduttivo, se circoscritto a prove o compiti autentici. Preferiamo quello di inclusività, allargando il nostro sguardo a tutti gli alunni, compresi quelli in difficoltà, e alla complessità dell'apprendere e dell'essere.


 

Alcuni esempi di percorsi inclusivi
Sintesi del lavoro di gruppo, a cura di Rossana Nencini

Vengono illustrati nel gruppo quattro esempi di percorsi inclusivi, uno riferito alla scuola dell’infanzia (“Guardare con le mani… un’esperienza di inclusione nella scuola dell’infanzia”), due alla primaria (“Immergiamoci nel testo…”), classe quinta, uno (“Quando il fare scienze mi dà voce,….”) classe prima, e il quarto alla Secondaria di primo grado (“L’intervento educativo nelle classi A.A.A.A.”).

Le presentazioni riferite alla scuola dell’infanzia e alla primaria descrivono sinteticamente i percorsi rivolti alle classi e focalizzano, nel dettaglio, alcune strategie didattiche il cui scopo è ricercare l’integrazione concreta, in quegli stessi percorsi, degli alunni per i quali imparare è più difficile. Integrazione che può avvenire solo se il contesto di apprendimento è già veramente “inclusivo” dove la pratica di una didattica inclusiva è la norma e non un episodio occasionale.

Nel percorso “Guardare… con le mani…“ colpisce come la progettazione del team docente abbia saputo favorire il muoversi autonomo dell’alunno ipovedente all’interno dell’aula. Sui muri sono inserite strisce di velcro che, esplorate con le mani, permettono a Marco di accedere ai vari angoli strutturati della sezione, in particolare all’angolo della manipolazione, dove il bambino può incontrare oggetti conosciuti portati da casa e nuovi oggetti da scoprire.

Il percorso di scienze sugli animali, rivela quanto può essere utile per Leonardo, lento e frammentario nell’apprendere, la mediazione delicata dell’insegnante che, con una serie di semplici quesiti studiati e mirati, lo stimola a utilizzare la scrittura autonoma in risposta ai quesiti che il percorso pone. Leonardo si scopre capace di scrivere da solo, evita la pagina bianca e apporta il suo contributo al lavoro di tutti. Anche per Luca, l’alunno down di quinta elementare, viene ricercata, con successo, la possibilità di partecipare al percorso di lingua rivolto alla classe caratterizzato dal “processo a Don Abbondio”. Utilizzando il fumetto e l’inserimento in esso di poche parole chiave, Luca assume il ruolo del narratore. Prima dell’inizio del processo illustra il suo cartellone davanti a tutti con l’aiuto di alcuni compagni che lo sostengono in questa emozionante avventura.

La presentazione relativa alla Scuola Secondaria di primo grado pone l’accento, invece, sull’importanza della progettazione collegiale e, grazie alla predisposizione di attività di gruppo progettate e condotte dall’insegnante di matematica in collaborazione con l’assistente educatrice, descrive la positiva integrazione nelle proposte rivolte alla classe di alunni particolarmente fragili.

Nel dibattito che segue le presentazioni, si ricercano le caratteristiche che rendono i quattro percorsi davvero inclusivi. Gli interventi mettono in evidenza che in ciascuno di essi si è operata un’adeguata scelta dei contenuti, sempre consoni alle varie fasce di età e attinenti alle caratteristiche cognitive e agli interessi dei ragazzi. Ciò permette a ciascun alunno di poter seguire il sentiero tracciato dal percorso verificando costantemente la possibilità di avere qualcosa da dire e la convinzione di poter imparare. Si dà valore all’esperienza, sempre vissuta in modo problematico, richiamata alla memoria, raccontata, ripensata, tradotta in un linguaggio che progressivamente si affina facendosi sempre più strumento efficace per comprendere il mondo che ci circonda. Si offre agli alunni l’opportunità di vivere i processi di apprendimento in prima persona, con curiosità e motivazione, sempre stimolate dalla consequenzialità e progressività delle esperienze proposte. Si procede con tempi distesi stimolando momenti di dibattito significativo fra pari che permettono il confronto delle concezioni individuali e offrono l’occasione per rivederle, destrutturarle e ristrutturarle sulla base di nuovi parametri.. Gli interventi dei docenti presenti sono numerosi ed efficaci. C’è chi, da docente precario, sottolinea con stupore di non aver mai incontrato, nelle numerose scuole in cui ha lavorato, un modo di insegnare come quello presentato nel gruppo.

C’è l’esigenza e la curiosità di capire meglio: che cos’è un percorso didattico? che cosa si intende per curricolo verticale? di quali e quanti percorsi può essere costituito il curricolo verticale di scienze della primaria? C’è chi conosce già questo tipo di didattica e tenta di applicarla nelle proprie classi, da solo o in piccolo gruppo, scontrandosi con l’ostilità di colleghi che non pensano neanche lontanamente di abbandonare i loro metodi tradizionali e trasmissivi. Eppure insegnare con percorsi d‘insegnamento che danno ai ragazzi la possibilità di essere protagonisti nella costruzione di significati a loro accessibili, crea entusiasmo, curiosità, attenzione, condivisione, rispetto, verso chi non riesce subito. Molti interventi sottolineano la fondamentale importanza della collaborazione con i colleghi per condividere un modo di insegnare che risponda pienamente alle Indicazioni nazionali per curricolo del 2012, niente affatto banale e bisognoso di ampi momenti di progettazione e di predisposizione dei materiali da proporre agli alunni. Proprio su questo punto si apre un’ampia discussione che evidenzia come, nella scuola reale, si producano estesi documenti scritti sull’inclusione (Piano annuale dell’inclusione) aggiornati e deliberati ogni anno dai collegi dei docenti, ma raramente tradotti in didattica quotidiana.

Quello che, invece, spesso si richiede è l’avvio di percorsi di valutazione degli alunni in difficoltà volti alla loro certificazione. Evidentemente si ritiene che la certificazione possa tranquillizzare tutti, compresa l’insegnante, che può, così, declinare le proprie responsabilità. Nel dibattito si ribadisce che l’eventuale certificazione degli alunni non esclude la responsabilità dell’insegnante sul percorso formativo degli allievi. Spetta agli insegnanti offrire a ogni alunno la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità attraverso i percorsi didattici proposti. Ed è specifico compito della scuola operare un’attenta e costante riflessione sull’adeguatezza delle proposte didattiche che non devono coinvolgere solo coloro che riescono, ma tutti gli allievi, mettendo in campo le dovute facilitazioni e i dovuti supporti. Ci si chiede: “Se la scuola non riesce a fare questo a quale funzione pedagogica e formativa risponde?”. Ciò non significa che il confronto con gli specialisti (neuropsichiatri, psicologi, pedagogisti, logopedisti…) non sia necessario; al contrario, le competenze specifiche legate a tali professionalità possono essere di grande aiuto per migliorare l’inclusione degli alunni in difficoltà, ma è compito dei docenti di classe tradurre quanto emerso dal confronto multiprofessionale in strategie didattiche volte all’integrazione di tutti. Si delinea, così, nel corso della discussione, la complessità legata al realizzarsi di una didattica inclusiva e la necessità di potersi riferire a figure docenti di alta professionalità. È indispensabile, infatti, un costante lavoro di ricerca per individuare percorsi in cui tutti gli alunni possano sentirsi protagonisti e studiare le modalità migliori (attraverso mediazioni, mediatori, artefatti culturali…) per coinvolgere e valorizzare chi fa più fatica a imparare. Al termine dei lavori, negli sguardi e nelle parole di saluto, si avverte la convinzione che una scuola diversa e più inclusiva sia difficile da realizzare, ma concretamente possibile.


 

Strumenti efficaci per la valutazione
Sintesi del lavoro di gruppo, a cura di Daniela Basosi

Dopo un breve excursus sul quadro normativo relativo alla certificazione delle competenze, siamo concordi nel ribadire l’assurdità di modelli didattici generali. Il DM 254/2012 invita le scuole a “progettare percorsi per la promozione, la rilevazione e la valutazione delle competenze”. Ma i percorsi a cui noi pensiamo sono quelli all’interno delle discipline.

A questo proposito la giovane collega di scuola primaria riferisce della sua esperienza di formazione universitaria, giudicata molto negativamente, in cui si richiedeva di esercitarsi a costruire percorsi su una specifica competenza trasversale, come, per esempio, “imparare a imparare”. Solo iniziando a frequentare il Cidi ha capito che significato dare alla parola “percorso”.

Dunque ai fini di una efficace valutazione delle competenze è rilevante la progettazione del percorso. Abbiamo visto degli esempi di percorsi elaborati dalle colleghe del Cidi. Essi si prestano non solo a classiche verifiche sommative, ma anche alle modalità di verifica per la valutazione formativa (che si concentra sul processo e raccoglie informazioni che, offerte all’alunno, contribuiscono a migliorarlo e sviluppare in lui un processo di autovalutazione e di auto-orientamento) e per la valutazione delle competenze (richiamata da compiti di realtà).

In merito alla valutazione formativa abbiamo analizzato schede di osservazioni sistematiche delle attività degli allievi di classi di primaria e di secondaria di primo grado, con la possibilità di tenere conto dei progressi in itinere. È fondamentale secondo noi che questo tipo di strumento di valutazione sia agile, snello e basato quindi su poche competenze fondamentali, perché si possa utilizzare veramente (per esempio: osservare, descrivere, argomentare, formulare ipotesi, in situazioni reali specifiche di percorsi laboratoriali).

Riteniamo fondamentale e quindi che abbia un peso nella valutazione delle competenze il valore dei quaderni degli alunni: è necessario infatti abituarli a scrivere in tutte le discipline, non solo in quelle dell’area linguistica. La crescita della competenza linguistica infatti deve andare di pari passo con la crescita dei concetti.

È significativo anche attivare processi di autovalutazione, come l’esperienza del diario di bordo presentata dalla collega di fisica della secondaria superiore, perché le situazioni vissute nei percorsi sono effettivamente autentiche, anche se poi è complicata per il docente la quantificazione di questa tipologia di esperienza nella sua valutazione.

Abbiamo invece criticato proprio l’artificiosità di alcune proposte di verifica; soprattutto quelle “spacciate” per compiti di realtà, in cui gli studenti della secondaria cercano di capire che cosa bisogna saltare del testo per arrivare “al sodo”, alla vera richiesta.

Si è osservato l’importanza dell’esperienza dell’INVALSI: le prove di lingua e di matematica, che sono molto migliorate rispetto ai primi anni, potrebbero davvero orientare la didattica in modo positivo, ferme restando alcune critiche sui tempi e i modi di somministrazione.

Dagli esempi analizzati emergono per noi alcune caratteristiche che devono avere le prove: chiarezza della richiesta, gradualità della richiesta, riferimento ai contesti concreti del percorso, significatività nel riferirsi ai contenuti, riflessione sui processi messi in atto.

Il gruppo conclude concordemente che:

  1. Sicuramente una valutazione efficace delle competenze passa attraverso una didattica efficace che pone al centro dei percorsi i contenuti di apprendimento.

  2. Questo permette di realizzare prove e verifiche efficaci.

Ma molto più difficile è dare corso ad una valutazione efficace, anche con gli elementi in positivo che sono emersi. E le difficoltà crescono nel passaggio tra i vari gradi di scuola, perché diventa sempre più rilevante il lavoro che si chiede allo studente, in autonomia, di svolgere a casa.
Certamente non è pensabile che si possa usare per valutare un solo strumento di verifica, ma piuttosto un ventaglio di strumenti su cui però è necessario riflettere e sperimentare ancora, verificandone l’opportunità e l’utilità.


Immagine
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Le gramignaie al fiume"di Niccolò Cannicci [Pubblico dominio], via Wikimedia Commons
 

Vedi anche la sintesi del gruppo Le rubriche: un ostacolo per la scuola delle competenze?, a cura di  E.  Aquilini, M. Berni, S. Sacchini, C. Testi

 

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