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15/01/2024

L’inclusione, tra falsi giornalistici e realtà professionale

di M. Gloria Calì

Pare che funzioni così: di tanto in tanto, Ernesto Galli Della Loggia lancia un fumogeno nella piazza affollata della scuola italiana, determinando immediatamente il dividersi degli schieramenti tra coloro che sfoderano gli striscioni in favore della scuola democratica, secondo Costituzione, e coloro che sventolano i vessilli della scuola meritocratica, secondo… non si sa bene che cosa.
Ci sembra chiaro che a lui, tra pochi altri, spetta il compito di dire ciò che molti mugugnano, o semplicemente non pensano nemmeno, e che perciò vanno indottrinati: basta con questo buonismo da scuola per tutti, basta con tutto ‘sto chiedersi come migliorare e sostenere la scuola. Un pugno di ceci su cui inginocchiarsi, un bel cappello con le orecchie d’asino e vedrai, perbacco, se non ti raddrizzo la gioventù molle e ignorante.

Molt* sono, purtroppo, coloro che si aggregano intorno a questo dire e a questo sentire e l’assenso compiaciuto di tant* alla scuola antidemocratica è il vero problema.

Questa volta, dalla dimora comoda e turrita della sua rubrica sul Corriere della Sera, edizione del 12 Gennaio 2024, il professore lancia il suo fumogeno sulla piazza dell’inclusività della scuola, asserendo che si tratti di un “mito”, mentre di fatto “i ragazzi disabili, i ragazzi con BES, i ragazzi stranieri” (tutto rigorosamente al maschile generico, ça va sans dire) restano sostanzialmente dove sono, scolasticamente parlando.

Per argomentare con una minima pretesa di fondatezza, è necessario leggere l'intero articolo, in cui l’autore mette insieme tre noterelle su libri appena usciti, tre microtesti che non hanno nessun rapporto tra loro, per cui non è stato fatto il minimo sforzo neanche linguistico di coerenza e continuità, cosicchè sembra evidente la motivazione principale dello scrivere: fare pubblicità su richiesta. 
Il primo libro, “Battesimo di fuoco” (il Mulino) scritto da due storici sloveni, parla di un fatto avvenuto nel 1920 a Trieste durante i conflitti tra slavi e italiani. Pur apprezzando tema e struttura, Galli della Loggia rileva la mancanza del punto di vista degli italiani, trascurando di evidenziare che  dovunque andassero in armi sono sempre stati “brava gente”.
Il terzo libro è di Chiara Valerio, “La tecnologia è religione” (Einaudi); qui la minirecensione sottolinea come il lettore medio resti inevitabilmente disorientato dalla scrittura saltellante dell’autrice (ci chiediamo: forse si trova perfettamente orientato a discorrere di fatti storici dei tempi della guerra di Tito, che, come si sa, è un tema di cui tutt* hanno conoscenze e competenze approfondite?)
Sul secondo libro (G. Ragazzini, “Una scuola esigente”, Rubettino) il Nostro alza le vele delle lodi e già solo il titolo basterebbe a spiegarne la ragione. 
Ragazzini è uno dei fondatori del "Gruppo di Firenze", un Aventino della scuola e dell’accademia italiana che, in tempi già vagamente sospetti ma ormai lontani, si è intestato il compito di difendere la scuola selettiva e meritocratica. A fasi alterne, i benemeriti si sono avventati contro Don Milani, facile bersaglio, ma anche su Tullio De Mauro, entrambi colpevoli di aver fatto credere che la scuola deve essere “aperta a tutti”, deve “rimuovere gli ostacoli”… trascurando il “dettaglio” che questa funzione è assegnata alla scuola dalla Costituzione.
Su questa rivista sono state scritte molte pagine di contro argomentazione alle posizioni vagamente fanatiche del Gruppo di Firenze ma rimandiamo chi legge ai pezzi in nota[1], per rinfrescare la memoria, e torniamo al 12 Gennaio del 2024; senza lasciarci trascinare da una pur legittima indignazione per le affermazioni di Galli della Loggia, cerchiamo di capire in quale assetto culturale esse rientrano, e, soprattutto, cerchiamo gli strumenti per contraddirle e smascherarne la disonestà intellettuale.

Il tema è sempre lo stesso: tenere salda la compagine di quella parte di docenti italiani che mugugnano contro ogni soperchieria democraticistica (secondo loro), e stavolta ci si concentra su questa scocciatura dell’”inclusione” convinti che la mera erogazione di contenuti e la conseguente valutazione sanzionatoria coincida con un insegnamento qualificato, senza preoccuparsi dell’apprendimento reale. La classe, quindi, in cui sono compres* coloro che non rientrano nello standard della “normalità”, deve star lì a subire, senza discutere.

Se il professor Galli Della Loggia vuole proprio parlare di questioni così delicate, ripetiamo il consiglio che gli abbiamo dato qualche anno fa, in un editoriale: faccia una visita in una scuola. Parli con i referenti, le funzioni strumentali, gli/le insegnanti di sostegno, e loro spiegheranno anzitutto che i Bisogni Educativi Speciali comprendono gli alunni e le alunne con disabilità, con disturbi specifici di apprendimento, non italofon*… e che è ingiusto e scorretto distinguere sommariamente, usando termini impropri. Molti e molte insegnanti, d’altro canto, sanno che chiunque, in una qualsiasi classe, ha “bisogni speciali”, perché ciascun* è unic*, speciale. Questa è la scuola vera, non la falsa immagine del "non serve".

La questione “inclusione” merita ben altra riflessione e competenza, e ben altra cura, politica e professionale. Questa parola spesso si legge in discorsi, più o meno in buona fede, in cui è associata associa a “burocratizzazione”, “medicalizzazione”: si tratta di una semplificazione in mala fede, per dare soluzioni semplici ad un problema ampio e profondo, di cui qui proviamo a delineare solo alcuni elementi.
Si dice spesso che il sistema d’istruzione italiano sia il migliore d’Europa per il modo in cui affronta, in particolare, la questione della disabilità: abolite le classi differenziali, il percorso verso l’inclusione è stato lungo ma chiaramente delineato.
Sappiamo anche che questo sistema spesso non raggiunge pienamente l’obiettivo, non riuscendo a realizzare processi di apprendimento che siano di tutt* e di ciascun*, per come ciascun* è fatto; bisogna ragionare sulle cause di queste mancanze, e risolverle, non delegittimare l’intero impianto.

Ci limitiamo qui a ribadire alcune questioni generali, assumendo in sequenza diversi punti di vista.

La classe
Le situazioni personali di alunne e alunni, prese singolarmente, sono “speciali”, e solo nel gruppo classe, in quanto contesto sociale di apprendimento, si evidenziano come risorse positive o come freni alla crescita. L’insegnante è regista di questo gruppo, e se vuole assumere un fare progettuale e comportamentale “inclusivo”, mette in pratica processi didattico-pedagogici in cui ciascun* dia il proprio contributo per lo sviluppo culturale dell’intero insieme. Non è facile, perché talvolta la singola persona porta in classe un complesso insieme di fattori ostacolanti, che si manifestano prevalentemente come sofferenza, più o meno consapevole, più o meno “composta” e che allontanano dall’apprendimento vissuto come esperienza positiva.
L’unico modo per affrontare queste situazioni con più alto livello di difficoltà è la collegialità: il singolo docente può arrivare fino ad un certo punto, ma se tutt* coloro che lavorano in quella classe assumono la medesima prospettiva, allora il gruppo classe riesce a mantenere il percorso di sviluppo, assorbendo le manifestazioni di criticità e, anzi, facendone stimolo di crescita.
E’ ovvio che, in questo processo di costruzione di una classe come comunità in apprendimento, la distinzione tra docenti di sostegno e docenti curricolari può misurarsi in una competenza didattico-pedagogica più specifica o più generica, ma nessuno si esime dalla cura professionale di tutta la classe e di ciascun alunn*, e quando questo avviene, è responsabilità etica di singole persone, non del sistema.

Il contesto domestico
Ogni persona che al mattino entra in una classe proviene da un contesto domestico con proprie specialità. Usiamo consapevolmente la locuzione “contesto domestico” proprio per tenere presente nel ragionamento che ciascun* alunn* esce da una casa, per andare a scuola, ma non è affatto detto che questa casa corrisponda ad una famiglia, che questa famiglia sia “tradizionale”, ecc. ecc.

Sulle disabilità, in particolare, ma su ogni altra specialità individuale, sappiamo che gli/le adult* di riferimento hanno un ruolo determinante, sia perché costruiscono la percezione che ciascun* ha di sé, sia perché interagiscono con il sistema scuola, confliggendo o instaurando alleanze feconde. Dovremmo sempre tenere presente che mandare figl* a scuola significa, per gli/le adult* di riferimento, entrare in relazione con altri adult*, affrontare il rischio di esporre tutte le proprie fragilità, inefficienze, inconsapevolezze, che negli atteggiamenti e nei processi di apprendimento dei/delle minori si vedono chiaramente.
Anche i genitori e qualsiasi altro adult* di riferimento andrebbe “inclus*”, cioè format* alla relazione positiva con la scuola, accompagnat* a capire e a fidarsi. La scuola, gli/le insegnanti, hanno il dovere di affiancare chi recalcitra per paura, diffidenza, o semplicemente per ignoranza, nel superiore interesse del/della minore.

Il contesto sociale
Molt* alunn* che hanno a che fare con le norme e le prassi dell’inclusione scolastica sono in carico anche ad altri soggetti, oltre agli/alle adult* di riferimento e agli/alle insegnanti: neuropsichiatr* infantili, pedagogist*, assistenti sociali, assistenti alla comunicazione e all’autonomia, educatori ed educatrici, psicologi, persino magistrati.
Tra tutt* questi soggetti c’è un passaggio di informazioni sulla singola persona che sta in una classe che porta ad una progettualità più o meno specifica, più o meno vicina a quella elaborata per l’intera classe, sottoposta a verifiche periodiche e a valutazioni condivise su tempi.
Insistiamo sul fatto che etichettare come “burocrazia” tutta la documentazione necessaria a precedere, accompagnare, seguire, il processo d’istruzione, ci sembra riduttivo: sebbene alcuni passaggi sembrino superflui o ridondanti, e magari alcune procedure potrebbero essere snellite, è necessario, a nostro parere, costruire una “storia scolastica” accurata di ciascun alunn*, usando un linguaggio comune ai vari ordini e gradi di scuola, in modo da garantire attenzione e continuità.
La comunicazione tra tutt* coloro che devono occuparsi di un/una minore a scuola è fondamentale perché qualsiasi interruzione o fraintendimento porta conseguenze negative sulla vita scolastica e, quindi, sulla vita sociale e sulla crescita culturale dell’individuo. 

I tre punti di vista da assumere quando si discute di inclusione, di pari livello di importanza, sottintendono una visione sistemica e dialogante dell'"inclusione", nella quale sono chiamati alla responsabilità tutte le componenti della vita sociale: il servizio sanitario, la magistratura, gli enti locali. Ciascun docente, come membro di un'istituzione, dovrebbe mettere a fuoco la consapevolezza del rapporto tra individualizzazione e personalizzazione. Se si assume la prospettiva della scuola democratica ed emancipante, che liberi le potenzialità di ciascun* alunn* e ne costruisca il modo e la forma di partecipazione alla vita associata attraverso strumenti di conoscenza, allora bisogna vigilare su quel rapporto: la scuola deve garantire l’equità nell’istruzione per tutt*, ma al tempo stesso deve individuare e descrivere le particolarità per poterle inserire nel processo formativo[2]

Ci sembra evidente che Galli Della Loggia non abbia assunto una prospettiva realistica e, nell’esprimere le sue considerazioni sul fallimento del sistema d’istruzione, non perché non sia in grado, ma perché in realtà non gli interessa; sembrerebbe, piuttosto, che l’intento sia quello di praticare una modalità argomentativa ricorrente, in questi tempi grigi: si dichiara il fallimento di questo o quell’altro dispositivo vigente pensato per garantire il senso democratico della scuola, con quell’aria populista di quelli che sembrano essere gli unici a smascherare le menzogne. La conseguenza è che si alimentano le ostilità contro quel dispositivo, instillando il dubbio che sia meglio abolirlo, anziché evidenziarne le criticità per prospettare soluzioni migliorative.
Noi, semplicemente, dal “basso” delle nostre classi piene di persone speciali, diciamo al professor Galli Della Loggia che la scuola o è inclusiva o non è: è questo il nostro unico “mito”.

 

Note

[1]  Sull'attacco all'educazione linguistica e, in genere, alla scuola democratica, vedi M. Ambel, "A terra ancora fresca..." (Febbraio 2017) e "Tre proposte da non raccogliere" (Marzo 2017); A.C. Monardo, "Ripensando (al)l'educazione linguistica democratica" (Marzo 2028`.

[2]  In questa prospettiva, vedi lo speciale "Rispettare le diversità - Ridurre le disuguaglianze" (Gennaio 2023) 

Scrive...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media da oltre 20 anni, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".

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