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07/10/2018

Come rendere inclusivo un testo letterario

di Emanuela Annaloro

Tre tendenze

Per rendere inclusivo un testo letterario bisogna innanzitutto conoscere il proprio oggetto disciplinare. Solo una conoscenza profonda dei contenuti e dei fondamenti epistemologici delle discipline, infatti, permette di presentarli in modo accurato e flessibile. In una battuta potremmo dire che la semplicità e la chiarezza a cui si perviene in didattica speciale (e nell’insegnamento in generale) sono un punto di arrivo, non di partenza.

Per raggiungere questo scopo è necessario superare alcuni problemi ricorrenti. Si tratta di tendenze problematiche che si possono individuare con facilità anche semplicemente sfogliando i materiali per BES che in genere accompagnano i manuali scolastici. Questi problemi sono: la standardizzazione dell'eterogeneità, l’iper-semplificazione dei contenuti e la  micro-esclusione nella progettazione delle attività quotidiane.

Per standardizzazione dell’eterogeneità intendo la tendenza a confezionare dei materiali uguali per tutti gli alunni che possono trovarsi in difficoltà. Nella proposta editoriale dei manuali di letteratura per le superiori del biennio e del triennio, per esempio, non c’è differenza nella presentazione dei contenuti per un alunno dislessico o un alunno con un ritardo cognitivo lieve. Queste approssimazioni alquanto rozze sono state favorite dalla normativa scolastica che ha creato la macrocategoria di BES, una categoria controversa, che non a caso Dario Ianes ha definito politica e non scientifica. Ianes considerava la direttiva sui BES come uno strumento potenzialmente utile per stimolare una presa in carico maggiore di tutti gli studenti; altri studiosi invece, come Alain Goussot, vi intravedevano un rischio di stigmatizzazione degli studenti e di medicalizzazione dell’insegnamento. Quel che è certo è che i materiali didattici per alunni con bisogni educativi speciali si presentano in genere come ridotti e molto semplificati.
La semplificazione il più delle volte arriva alla banalizzazione dei contenuti. Nel caso dei testi letterari, l’ipersemplificazione giunge persino a mettere fuori pagina la dimensione testuale delle letterarietà. Tanto che bisognerebbe chiedersi: a cosa giova, ad esempio, leggere una poesia se questa è ridotta in prosa? O che ricaduta formativa comporta conoscere la vita di Dante se non si mette in relazione con i valori che la sua opera ha posto in discussione o contribuito a formare?
La terza tendenza che si riscontra nella manualistica, specie in quella delle superiori, è quella di progettare materiali di mediazione didattica non integrati con il lavoro della classe. Nei volumetti semplificati delle antologie del biennio, ad esempio, sono presenti pochi testi (in genere uno per capitolo) pubblicati anche nel manuale di riferimento, ma non vi è nessun accompagnamento per le parti teoriche e non sono previste attività che possano favorire lo scambio relazionale tra gli alunni.

Si tratta di scelte che rafforzano una delle tendenze degenerative del nostro sistema inclusivo e cioè i fenomeni di micro-esclusione interni alle classi, o, come si usa dire in gergo tecnico, di push in. Per effetto di queste tre tendenze l’esperienza scolastica dell’alunno in difficoltà diviene spesso un’esperienza separata dal gruppo dei pari e solo apparentemente o genericamente individualizzata.
Questi problemi non sono semplici problemi di misura: per superarli infatti non basta inserire più testi semplificati nei manuali o più attività collaborative negli apparati didattici.  Sono semmai problemi di prospettiva culturale. In altri termini bisogna evitare il didatticismo vuoto e affrettato, che è una minaccia concreta quando l'insegnante non esercita più la propria funzione intellettuale.

Osservare per semplificare e adattare

L'adattamento di un testo letterario non nasce dall'applicazione di una serie di tecniche, che bisogna comunque conoscere e saper usare al bisogno, ma dall'osservazione dello studente speciale e del suo contesto. Perché quando si fa didattica inclusiva non si adatta qualcosa in astratto, ma si adatta “qualcosa per qualcuno”. Di ciascun alunno un insegnante attento osserva, in modo più o meno strutturato:

  • la zona di sviluppo potenziale, cioè la zona che secondo Vigotskij segna la distanza tra le abilità attuali e le abilità che possono essere raggiunte attraverso gli interventi e le mediazioni educative: le cosiddette potenzialità;
  • il profilo pedagogico, cioè le modalità di apprendimento e di problem solving che ogni alunno spontaneamente mobilita. Si tratta, in altri termini, dei gesti mentali studiati da Antoine de La Garanderie che caratterizzano ciascuno studente e che, se opportunamente sollecitati, favoriscono il suo successo scolastico: è quello che con molta approssimazione definiamo “metodo di studio personale”;
  • il profilo caratteriale; la definizione di carattere, come sappiamo, è una definizione controversa e superata in ambito psicologico, ma se per ‘carattere’ intendiamo il modo di essere e lo stile comunicativo di ciascuno, allora questa categoria torna utile per osservare le modalità di relazione che l’alunno mostra nel dialogo educativo;
  • i centri di interesse, cioè i problemi più scottanti, i nuclei tematici, gli argomenti più cari agli alunni, i quali, come ha mostrato la ricerca di Paulo Freire, possono funzionare da gancio motivazionale, da temi generatori di interesse in grado di suscitare una presa di coscienza anche nei più deboli.

Solo sulla base di questi elementi, di questi quattro punti focali che gli insegnanti osservano, è possibile approntare degli strumenti di mediazione realmente ritagliati sugli alunni.  L’osservazione pedagogica, inoltre, è sempre dinamica, e sempre si traduce in auto-osservazione del proprio lavoro e, dunque, ancora una volta, in agire riflessivo dei docenti.

Dalla semplificazione all’adattamento

Una volta che l’insegnante ha compreso quale mediazione didattica è necessario costruire si può iniziare a manipolare il testo letterario. Le mosse essenziali da compiere, a voler schematizzare, sono quattro: rendere il testo accessibile, semplificarlo, facilitarlo e adattarlo con una didattica di supporto.

1. Rendere, all’occorrenza, il testo accessibile significa:

  • vagliare la quantità e la qualità dei testi da proporre;
  • curare la disposizione grafica dei materiali, che deve essere nitida e ordinata;
  • scegliere caratteri tipografici adeguati (come i font ad Alta Leggibilità per gli alunni DSA  “bianconero”,  “Open Dislexic”, “Easy Reading" ).

Ma si tratta, anche qui, di variabili da modulare all’occorrenza e non di indicazioni rigide. Ad esempio, che aiuto potrebbe fornire ad uno studente audioleso l’uso di caratteri ad alta leggibilità? Proporglieli sarebbe non soltanto superfluo, ma anche offensivo.

2. La seconda mossa è semplificare i testi letterari cercando di mantenerne l'impronta estetica e la polisemia dei testi originali. La semplificazione riduce le difficoltà linguistiche o di eccesso di informazioni. Si tratta di un'operazione di vera e propria riscrittura, simile a quelle che ormai vediamo per le novelle del Boccaccio proposte in italiano moderno nei manuali del triennio o nell’edizioni dei classici riscritte per ragazzi. La semplificazione del testo letterario è molto complessa perché richiede gusto, senso estetico, conoscenza profonda dei codici di partenza e di arrivo, cioè vere e proprie abilità di traduzione.
In concreto si tratta di:

  • ridurre i testi, riassumendo o abolendo i passaggi troppo complessi;
  • semplificare i costrutti sintattici abolendo o evitando frasi complesse, impersonali, passive, implicite, periodi ellittici, incisi, discorsi indiretti, ecc…;
  • sostituire i termini desueti, letterari o colti con termini d’uso più comune;
  • sciogliere l’elemento connotativo del linguaggio artistico cercando di non abolirlo.

3. La terza mossa da compire è facilitare l’approccio al testo curando le strutture sintattiche delle parti espositive che lo introducono o accompagnano e riducendo i tecnicismi senza intaccare i nuclei dei contenuti. La facilitazione aggiunge al testo strategie di supporto.
 In concreto si tratta di: 

  • selezionare le informazioni delle introduzioni o delle trattazioni sottolineandole all’occorrenza;
  • presentare i testi in modo lineare usando segnali grafici e procedure (come titoletti descrittivi, capoversi isolati, parole in grassetto, elenchi puntati) che orientano la lettura;
  • organizzare i periodi in modo ordinato impiegando i connettivi testuali che chiariscono i nessi, evitando preferibilmente i costrutti marcati e le espressioni che inglobano più informazioni;
  • usare termini ad alto vincolo interpretativo dosando lessico ad alta disponibilità e termini chiave.

4. La quarta mossa, che si può compiere in alternativa o insieme alla terza, è presentare i testi letterari originali o semplificati sorreggendoli con una didattica di supporto. I supporti didattici possono essere indicazioni esplicite di metodo, sintesi o chiosatore a bordo pagina, sottolineatura degli argomenti irrinunciabili, evidenziazione delle figure-chiave, introduzione di elenchi, scalette o tabelle, immagini esplicative e così via. In ogni caso è bene usare facilitatori che possiamo chiamare multimodali, cioè dei facilitatori che sollecitano più aree dello sviluppo, da quelli cognitivi a quelli sensoriali, iconici e metacognitivi, in modo da andare incontro ai diversi stili di apprendimento degli alunni. Per svolgere l'adattamento occorre, inoltre, senso della misura. Il supporto deve essere robusto, ma non tale da sovrastare il testo supportato.
In concreto si tratta di:

  • orientare l’apprendimento dichiarando quali contenuti e aspetti si esamineranno;
  • indicare i gesti mentali che lo studente può compiere per apprendere i concetti e ricercare i significati, ad esempio attraverso delle indicazioni metodologiche esplicite;
  • esplicitare a margine del testo la sua struttura concettuale, ad esempio attraverso la divisione in sequenze nel caso di un testo narrativo o attraverso una parafrasi ordinata nel caso delle poesie;
  • favorire la comprensione attraverso immagini e commenti guidati a bassa densità informativa.
  • fissare i punti salienti delle letture svolte attraverso attività di feedback individuali e cooperative.

Come ha opportunamente spiegato Carlo Scataglini, uno dei più bravi adattatori di testi scolastici e narrativi soprattutto per le scuole secondarie di primo grado, la semplificazione agisce sui testi in sottrazione mentre la facilitazione in addizione. A ben vedere si tratta di due scelte opposte che non si escludono.

Dall’individualizzazione alla trasformazione del contesto

Un altro errore ricorrente nella presentazione di testi letterari per l’inclusione riguarda la predisposizione di materiali, magari opportunamente adattati, ma non integrati con il lavoro della classe. Difatti mentre avviene una profonda trasformazione degli strumenti di mediazione dovrebbe avvenire anche una profonda trasformazione del contesto-classe. Per attivare la risorsa classe, spiega Lucio Cottini, è necessario abbassare i livelli di competitività, stimolare il senso di appartenenza al gruppo, creare occasioni di vicinanza e di lavoro comune, lavorare sulle competenze prosociali. In concreto si tratta di proporre sistematicamente attività relazionali e cooperative che presuppongono un’interazione tra alunni e stimolano le abilità sociali di tutti.

La classe è un’enorme risorsa educativa ancora largamente sottoutilizzata, specie nelle scuole superiori. Eppure fa ormai parte della comune cultura inclusiva l’idea che la vera integrazione si realizza non solo attraverso le dinamiche di aiuto ma anche attraverso la trasformazione dei contesti che pongono gli ostacoli. Dunque, se veramente desideriamo costruire pratiche d’inclusione è necessario mobilitare la risorsa classe.
Per esempio una buona pratica è produrre alcuni materiali didattici direttamente in aula, attraverso l’impegno degli alunni, che possono essere degli interessanti “traduttori” tra il codice letterario, a cui imparano con gradualità ad avere accesso e il linguaggio contemporaneo dei pari. Parti di riscritture dei testi inclusivi, insomma, possono essere affidate direttamente agli alunni.
Ma anche la stessa didattica di supporto può essere progettata nella forma della didattica tra pari. Del resto le ricerche recenti confermano che l'inclusione aiuta tutti, anche coloro che pensiamo “forti” e normali”. Le osservazioni empiriche condotte da Cottini hanno difatti dimostrato che:

" bambini ed adolescenti, che convivono in classe con compagni in situazione di disabilità, finiscono per elaborare una maggiore maturità sul piano emotivo e cognitivo. Anche il lavoro in classe non subisce rallentamenti quando il processo di integrazione è adeguatamente programmato e condotto in maniera metodologicamente corretta" (Cottini, 2012).

Dalla pedagogia speciale alla letteratura

La didattica inclusiva mette alla prova insegnanti e alunni, ma anche il canone e il valore dei testi. A ben guardare la semplificazione o l’adattamento di un testo letterario sono operazioni - che si  possono compiere anche attraverso l’uso di più linguaggi - di attualizzazione e di appropriazione dei significati letterari. In questo senso la letteratura stessa può diventare un enorme serbatoio di esercizi collettivi per educarsi all’eterogeneità.

D’altra parte se si guarda alla storia della pedagogia si nota che alcune delle maggiori e più sostanziali innovazioni didattiche provengono proprio dal campo della pedagogia speciale. Si pensi all’approccio didattico globale e interdisciplinare sviluppato da Ovide Decroly con i bambini irregolari, al cooperativismo di Celestin Freinet, messo a punto lavorando prima con i figli dei contadini e poi dei rifugiati di guerra, all’apprendimento collettivo di don Milani, frutto del lavoro con gli studenti più svantaggiati, o all’educazione su misura di Maria Montessori, che scopre l’importanza dell’educazione senso-motoria, del gioco e dell’ambiente di apprendimento lavorando con i bambini ortofrenici o “deficienti”, come si diceva allora.

Anche la possibilità di rigenerazione e di attualizzazione del sapere letterario può quindi essere favorita dall’incontro tra didattica speciale, intesa come didattica attenta ai bisogni educativi delle nuove generazioni, e didattica disciplinare. Del resto,  il bisogno di narratività che esprimono i nostri studenti (secondo una tendenza molto diffusa allo storytelling su cui si è interrogato in modo non banale Gottschall), la messa in parentesi dei tecnicismi che sovrastano la dimensione estetica ed ermeneutica dei testi (tendenza contro la quale ci ha invitato ad agire con decisione  Todorov in La letteratura in pericolo), e la richiesta sempre più pressante e ineludibile di soffermarsi sui significati  profondi e sociali della letteratura, cioè di esaminare i testi in verticale  e in modo collettivo (come ha indicato già alcuni anni fa Luperini con la sua idea di classe come comunità ermeneutica, che oggi dovremo pensare come “comunità ermeneutica meticcia”)  sono tutti elementi trasversali sia ad un’impostazione didattica inclusiva che disciplinare. In un momento civile che non è soltanto di cambiamento normativo e istituzionale, ma anche di trapasso storico e generazionale, di paura e di chiusura sociale, forse si tratta di abituarsi a lavorare sui fondamentali con la predisposizione a contaminarsi con gli altri.

Due domande

Per concludere, a dispetto del titolo vagamente pragmatico proposto, vorrei porre due domande.

La prima domanda, di carattere pratico-organizzativo, riguarda chi si dovrebbe incaricare concretamente e quotidianamente di aprire i testi alla comprensione di tutti: l’editoria scolastica? Il docente curricolare? Il docente specializzato in metodologia didattica ma privo di un sapere disciplinare specifico? Un esperto della disciplina?

La seconda domanda, di carattere più generale, riguarda quale figura di insegnante presuppone un lavoro consapevole sul piano teorico, minutamente artigianale sul piano pratico e con una chiara intenzionalità politica come quello che abbiamo descritto: una figura di insegnante-specialista o di insegnante dotato di una forte consapevolezza intellettuale?

Temo, infatti, che se non saremo in grado di rispondere a queste due domande sul ruolo e sulla funzione degli insegnanti -  domande relative al piano della nostra identità professionale e della nostra diretta responsabilità educativa (che, ben inteso, è anche responsabilità di rivendicare le necessarie condizioni organizzative)  - tutto il resto rimarrà un’elucubrazione un po’ superflua, o, il che è peggio, un agire forse concreto e misurabile, ma tanto burocratico e meccanico quanto inutile. 

 

Bibliografia



Bortolotti E., Sorzio P. (a cura di), Osservare per includere. Metodi di intervento nei contesti socio-educativi, Carocci, Roma 2014.
Cottini L., Didattica speciale e integrazione scolastica, Carocci, Roma 2012.
Freire P., Pedagogia dell'autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, EGA, Torino 2004.
Gottschall J., L' istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Bollati-Boringhieri, Torino 2014.
Goussot A., Annaloro E., Risorse per l’inclusione. L’inclusione come risorsa, Palumbo, Palermo 2015.
Goussot A., Zucchi R., La pedagogia di Lev Vygotskij, Le Monnier, Firenze 2015.
La Garanderie A., I profili pedagogici. Scoprire le attitudini scolastiche, Nuova Italia, Firenze 1999.
Luperini R., Insegnare la letteratura oggi. Nuova edizione, Manni, Lecce 2016.
Scataglini C. (a cura di), Facilitare e semplificare libri di testo, Erickson, Trento 2017.
Todorov T., La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano 2008.

 

Scrive...

Emanuela Annaloro Dottore di ricerca presso l'Università di Siena e insegnante di lettere alle scuole secondarie superiori. Si occupa di critica tematica, didattica della letteratura e didattica speciale.

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