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11/03/2024

Cambiare la prosa del mondo

di Elvira Federici

Il Seminario della SIL, 3 febbraio 2024, alla Casa Internazionale delle Donne, a Roma.

È stata la Società Italiana delle Letterate, nata ventotto anni fa, a ridosso di un Salone del Libro che, come quasi tutti, fino a questi ultimi anni, ignorava largamente scrittrici e pensatrici, a coniare la parola seminale "Oltrecanone".

Il saggio a più voci della SIL[1], curato da Anna Maria Crispino (direttora della rivista Leggendaria), non solo denunciava la clamorosa e pervicace assenza delle donne dall'idea di  letteratura, di arte, di pensiero, che si era andata costruendo nei secoli e persisteva anche nel Novecento, ma interpellava sulla necessità di superamento del “canone” come categorizzazione/classificazione, che esclude scritture e soggetti, e come  corpus di testi con carattere di normatività, a partire da un unico punto di vista. C'era, nell'idea di Oltrecanone, non l'esigenza riparativa o remunerativa nei confronti dell'assenza delle donne, ma la premessa per una diversa epistemologia.

A distanza di anni e del percorso compiuto dai femminismi sul piano politico ed epistemologico, nella rilettura critica dei binarismi, delle polarizzazioni oppositive, l'Oltrecanone rappresenta il processo  di revisione continua delle acquisizioni, alla luce  di tutte le soggettività che popolano e significano la realtà: tutta la storia delle donne e tutta quella non  bianca, non europea, non occidentale, tutto il vivente non umano, tutto il pianeta  con l'aria, l'acqua, i paesaggi, gli habitat...

Cambiare la prosa del mondo, titolo del seminario della Società italiana delle Letterate del 3 febbraio 2024 mutuato da un verso di Amelia Rosselli, voleva (e poteva) fare  solo un cenno alla portata dei cambiamenti che i linguaggi sono chiamati a registrare, considerando anche la pandemia come qualcosa che accadendoci, ci ha consegnati ad un'accelerazione imprevista di qualcosa che covava nella nostra tarda modernità: una profonda crisi climatica, geopolitica, delle democrazie, della scienza.
Nell'arco di questi brevi anni, infatti, tutto sembra essere precipitato e accelerato: la pandemia e il riscaldamento globale; i femminicidi sempre più efferati; le guerre che si moltiplicano e si potenziano reciprocamente nella distruttività; l'acuirsi dell'attacco alle donne in ogni contesto, dall'Iran, all'Afghanistan; la regressione di tutte le  democrazie liberali (le “nostre”) rispetto a libertà, diritti civili, esercizio della critica da parte delle minoranze. Siamo in un passaggio di civiltà difficile e, da qui, non possiamo che tornare al linguaggio dove, nonostante tutto o chissà, proprio come reazione a tutto quello che accade, si accendono spie di libertà, di interrogazione critica, di resistenza.
Con il seminario si è tentato di mettere a fuoco almeno alcune questioni che, dentro questa transizione, hanno reclamato una propria dicibilità, riproponendole come qualcosa da pensare insieme, in merito al linguaggio, alle sue forme, al suo potere, agli immaginari che ne scaturiscono.

I temi: 

1. Linguaggi fluidi, che dicono una realtà trasformativa, liminale, incerta, metamorfica, non caratterizzata da rigido dualismo concettuale. Le parole corpi e i corpi parola in due artisti

2. La lingua dentro altri media e dentro altri linguaggi. Cambiamenti tra prima e post pandemia

3. La prospettiva necessaria. Decolonizzare pensiero e linguaggio

4. Lingue, contesti, tradizione e traduzione

Ne e ripercorriamo qui alcuni.

Il primo pensiero va alla poesia: tenendo insieme due rimandi storico-culturali – in Beato Angelico, le parole in oro che stanno nello spazio tra la Vergine e l'arcangelo Gabriele;  in Simone Weil, il ritrarsi stesso di Dio per lasciare spazio alla creazione, Giorgiomaria Cornelio chiede di imparare a “far luogo a” e di immaginare la poesia come quello spazio di conversazione che la grazia può abitare.
Cornelio ricorda che nella parola giacciono stratificazioni geologiche di significati – e di vite – nascosti. Lo schwa, la sua esclusione dalla grammatica è una spia del dissesto che viene perlopiù ignorata. 
L'mpossibilità della lingua di rappresentare tutto mentre nuove soggettività reclamano la dicibilità - ma anche il segno di una plasticità infinita del linguaggio che, proprio nella poesia, mostra la sua capacità di creare nessi che sembrano impossibili nel “quotidiano commercio con il mondo” (Elsa Morante).
Non c'è una forma diritta, dichiarata definitiva: la poesia non può che passare per la ferita, facendo spazio, attraverso il linguaggio, al possibile.

Silvia Righi esplora il rapporto tra corpo e parola: cosa sono oggi i nostri corpi, un continuum animale e tecnologico? Forse la cifra del nostro tempo di vertiginosi cambiamenti sta nello sfilarsi dalla propria pelle avendo chiara coscienza di ciò che si sta abbandonando.

Amanda Rosso, ricercatrice e studiosa che vive e lavora a Londra, esplora l'universo della scrittura femminile, tra autobiografia e mémoir, chiedendosi da dove scrivono e come si posizionano scrittrici anglofone (Regno Unito, Stati Uniti) come Stephanie Land e Cash  Carraway [2] che raccontano la precarietà lavorativa, la marginalità, l'abiezione, domandandosi  se il lavoro è un percorso di emancipazione, se l'autodeterminazione ha come fine la rispettabilità, se l'autoaffermazione è solo quella in chiave neoliberista e individualista.

Anche la traduzione delle scrittrici dei paesi decolonizzati è un problema epistemologico e politico sempre più urgente: qual è la postura di chi traduce, come avviene quello scambio che, secondo Walter Benjamin, deve cambiare vicendevolmente le due lingue in contatto? Come si dà voce all'alterità senza addomesticarla ai parametri di chi traduce? Di questo ha parlato Silvana Carotenuto, che di traduzione si occupa.

Claudileia Lemes Dias ha descritto il suo posizionamento di scrittrice brasiliana, che vive e lavora in Italia da vent'anni e ha scelto l'italiano come lingua di libertà, segnalando il rischio di “vittimizzazione secondaria” verso quelle scrittrici immigrate cui si chiede solo di testimoniare la propria esperienza e non una presa di parola sul mondo.

Roberta Ortolano, da docente di latino e greco in un liceo e studiosa della classicità, ci ha offerto una lettura affinata e critica di come i miti siano trattati a scuola e la messa in discussione epistemologica dell'idea di classicità a cui facciamo riferimento come in un riflesso condizionato identitario.

Non si può raccontare tutto [3] ma questi cenni danno la misura della ricchezza e della complessità delle domande, che specialmente come insegnanti dobbiamo porci, in questa temperie, di fronte alle/ agli studenti e alla loro concreta presenza, così interrogante. 

 

Note

[1] Anna Maria Crispino (a cura di), Oltrecanone. Generi, genealogie, tradizioni, Iacobelli editore, Roma 2015

[2] Stephanie Land, "Maid. Donna delle pulizie. Pochi soldi, tanto lavoro e la determinazione di una madre a sopravvivere", traduzione C. Libero  Astoria, 2024

Cash Carraway, "La porca miseria. Memoir di una madre single nei quartieri poveri di Londra"; traduzione L.Prunetti  Edizioni Alegre 2023

[3]  i materiali si trovano sul canale Youtube della Società Italiana delle Letterate

Scrive...

Elvira Federici Già insegnante e dirigente scolastica per 1° e 2° grado, si è occupata di formazione dei docenti, con il CIDI; cultrice della materia per Letteratura Italiana e Linguistica per l’ Università della Tuscia, è coautrice di due antologie per l’ educazione linguistica e letteraria. Da 2007 al 2011 in Brasile per il MAE, ha lavorato alla formazione degli insegnanti in lingua e letteratura italiana. Collabora con la rivista Leggendaria e con Letterate Magazine. Fa parte del Circolo Bateson. E’ presidente della Società Italiana delle Letterate.

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