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22/11/2023

Salviamo lo sguardo profondo della scuola

di Annamaria Palmieri

E’ consolatorio. Usare il tema della scuola quando si annaspa a cercare spiegazioni per l’orrore è un rito collettivo consolatorio.
Una violenza sistemica, come quella che ha permesso la morte di Giulia Cecchettin per mano del suo ragazzo,  preceduta da quella di altre 104 donne negli ultimi 10 mesi, non solo fa orrore, ma spinge  i più a voler trovare un rifugio, il più semplice, il più noto, il più vicino.  Invocare la legge del taglione, per alcuni, o rivolgersi alla scuola.

A Napoli un detto scherzoso recitava: “La verità, signori miei,  è che al mondo ci sta troppa ignorantità” Ecco, oggi l’ignorantità  di cui tutti parlano sarebbe affettiva e sessuale: e la scuola,  con una spruzzata di  buona educazione sentimentale, un’ora a settimana, un tanto al mese, dovrebbe  porvi rimedio.
Così il prossimo bravo ragazzo normale non mieterà la sua vittima “per amore”.

E’ un vizio antico, come ha denunciato in modo estremamente efficace su questa rivista Maurizio Muraglia, quello di “gettare tutto il male sociale sotto i riflettori della scuola”, e al CIDi ne abbiamo discusso spesso in svariate occasioni. Eppure, ad ogni tragedia il dibattito continua a concentrarsi qui, nell’immaginifico auspicio  che tutti i mali che la collettività non è in grado di fronteggiare siano curabili nell’isola felice della scuola che, chissà perché, come una distopia rovesciata, non dovrebbe  esserne  condizionata.
Siamo in  una storia nota, certo,  ma anche a tratti surreale: in questi giorni,  ad esempio, da quando l’efferato  assassinio di Giulia ha scosso le coscienze del Paese, noti opinionisti e il fior fiore dei rappresentanti politici (la cui autorevolezza ci viene da temere, in certi casi)  discutono sui media  dei contenuti di questa nuova e  necessaria “materia”, litigando - sulla base della propria sponda ideologica - se quel che  ci vuole è l’educazione sessuale o quella sentimentale e accusando la Politica (ma quale?)  di distrazione, senza neanche per un attimo dubitare del valore didattico-pedagogico della soluzione proposta.
Un’ora alla settimana?  Svolta da chi? O con chi? Con il medico dell’ASL, lo psicologo, il poliziotto, o il tuttologo di turno, che finisce per essere poi sempre il povero insegnante di lettere o di diritto? Ancora: c’è qualcuno che si ricorda che appena quattro anni orsono è stata introdotta in tutte le scuole l’ora di educazione civica (materia CON voto, mi raccomando…) nelle cui Linee guida del 2020 – pur trascurando la formale definizione, e in attesa del loro annunciato aggiornamento – il rispetto della legalità, il rispetto dell’altro, la complessità dei problemi esistenziali della contemporaneità costituiscono assi contenutistici fondamentali [1] ?
Per chi nella  scuola ogni giorno spende le sue  migliori energie , è sfiancante: perché  l’idea delle “educazioni” introdotte con metodo additivo e quasi analgesico costituisce a partire dagli anni Ottanta il fallimentare  escamotage per agganciare la cultura della scuola alla (in)cultura della società. E se ne vedono i frutti, appunto, fallimentari. 


In un volume di qualche anno fa, che raccoglieva i contributi di diversi studiosi sul senso e sulle modalità di implementare nei curricoli la “nuova materia scolastica” dell’educazione civica nel mio piccolo avevo suggerito che l’educazione, tutta l’educazione,  implichi  sempre e comunque un processo di compartecipazione e condivisione (anche valoriale) al processo di insegnamento/apprendimento non solo del soggetto che apprende, ma anche del suo contesto [2].
Mi si perdoni l’autocitazione: “Come posso educare l’altro (cioè tirargli fuori ciò che egli ancora non è, per dirla con Danilo Dolci) senza tenere conto del curricolo implicito e della comunità (di apprendimento, sociale, territoriale) in cui è inserito? Se è vero come è vero che l’educazione linguistica avviene a partire dal sostrato culturale e linguistico del bambino, allo stesso modo l’educazione agli affetti dovrebbe richiamarci ad una corresponsabilità: collettiva, complessa, non delegabile in toto all’istituzione, e tantomeno “isolabile”’ dal contesto di riferimento dello studente”.
Il sapere di cui la scuola è (e dev’essere) testimonianza viva,  è  viceversa sottratto alla relazione estemporanea, accidentale, è indiscutibilmente “trasmesso” nel senso del “trans-dare”  e del “tradire” e  -  attraverso la ricerca e la pratica di trasformazione –  ha lo scopo di fornire al soggetto una cultura che sia nel contempo accrescitiva delle sue capacità e orientativa per le sue scelte future e il suo sviluppo sociale. 
Le relazioni che funzionano (o non funzionano) a scuola sono quelle agìte, non di certo  quelle “spiegate”.

E purtroppo il mito delle “educazioni” a la carte  ha  finito per smantellare negli ultimi venti/trenta  anni l’impalcatura del curricolo dei saperi scolastici, su cui pure si era mossa  tanta autorevole e  preziosa ricerca didattico-epistemologica, per  ingolfare il tempo scuola con una sorta di ricettario di buoni propositi: all’alunno come soggetto del corpo sociale  bisognoso, anche non esplicitamente,  di soccorso, l'adulto che educa, il quale,  chissà come e perché,  dovrebbe essere libero  dall’infinità di incertezze, dubbi  e paure che pure su di lui incombono dal mondo di “fuori”, si offre come  dispensatore di  saggezza, contenitore delle emozioni da elaborare, risolutore delle tensioni e del “male”  che viene da fuori.  Il tutto, ovviamente,  in un’ora alla settimana. O in un progetto extracurricolare. Non sempre l’autorevolezza del testimone ( sia esso il docente, o l’esperto, o  l’operatore del campo specifico)  ha sortito effetti, anzi quasi mai:  affastellando progetti di  educazione (affettiva, sessuale, alla pace, contro le dipendenze, contro il razzismo, ecc.) una scuola sempre più confusionaria e a volte  ambivalente, non solo non  riesce a rassicurare, ma produce a sua volta disagio, diventando spazio frantumato da scissioni e conflitti, che incidono su tutti i soggetti, dai docenti agli alunni,  alla cosiddetta platea allargata degli “utenti” indiretti, le famiglie. In altri termini, la scuola,  occupandosi in modo parcellizzato,  astratto e retorico dei grandi temi del mondo, si impoverisce, li impoverisce.

E, nei casi più gravi, smarrisce il senso, a cui da più parti , con voce ancora  troppo isolata,  ci richiamano tanti bravi insegnanti. “Cosa possono fare (…) un pacchetto di ore ad hoc spalmate qua e là, un paio di lavori di gruppo con annessa realizzazione di un bel Power Point e la partecipazione a una conferenza (…) in una società che trasuda sessismo e violenza di genere da ogni poro – dalle famiglie al mondo del lavoro, allo sport, all’intrattenimento? [3]
Parole di saggezza  queste di Emanuela Bandini; parole di saggezza quelle del mio caro amico Gennaro Lubrano, ottimo docente di Storia e filosofia nei licei il quale ha scritto in un suo post:  “i patrimoni disciplinari di cui siamo immeritatamente titolari, tutti,  nelle scuole contengono tanti e tali spunti per far crescere nei ragazzi il confronto con le loro anime e fronteggiare con l’educazione con i classici gli spettri che ci abitano dentro, per  aiutarli ad andare incontro alla vita con maggiore consapevolezza, non evitando il dolore di una crescita che comporta la possibilità della sconfitta, che non c’è affatto bisogno di nessun’ora aggiuntiva di Educazione all’affettività” .  
Si lasci alla scuola la possibilità di agire non in superficie,  ma in profondità, non sull’onda dell’emozione ma sul lungo periodo, come è accaduto con l’alfabetizzazione primaria: le si lasci il tempo, lo spazio, la motivazione per farsi laboratorio di quella  cultura che salva davvero. Le si consenta di essere “Scuola dal Lungo Collo” usando la splendida definizione che si è dato, per il proprio percorso di sperimentazione didattica e organizzativa, l’IC Aldo Moro di Ponticelli, a Napoli [4]

Le si dia modo di liberarsi delle richieste del mercato tutte rivolte al “qui ed ora”,  degli orpelli burocratici insani, delle mode feticistiche. “Rallentare, soffermarsi, sostare a lungo attorno a domande aperte e dare dignità, spazio e respiro al ragionare in proprio di ciascuna e ciascuno è la miglior risposta a un mondo avvilito da semplificazioni, aggressività e intolleranze crescenti, da un’idea di patria e di confini che contrasta con il principio di uguaglianza universale che è alla base della nostra Costituzione” [5].
Solo se la scuola riesce ad essere il luogo e il tempo in cui l’esperienza della testualità condivisa, gli insegnamenti del passato, la meraviglia del bello, la profondità del pensiero, la forza dei legami entrano in tensione con le oscurità del  presente forse troveremo “spiegazioni” utili a sgominare i nostri fantasmi. 

 

foto: @M.Gloria Calì

 

Note

[1] Cogliere la complessità dei problemi esistenziali, morali, politici, sociali, economici e scientifici e formulare risposte personali argomentate. Prendere coscienza delle situazioni e delle forme del disagio giovanile ed adulto nella società contemporanea e comportarsi in modo da promuovere il benessere fisico, psicologico, morale e sociale.”. Così al DM n. 35 del 22 agosto 2020,  Linee Guida per l’insegnamento dell’educazione civica, allegato C (Integrazioni al Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione (D. Lgs. 226/2005, art. 1, c. 5, Allegato A), riferite all’insegnamento trasversale dell’educazione civica)

[2] M.Ambel (a cura di), Una scuola per la cittadinanza. Idee, percorsi, contesti, PM Edizioni, Varazze, 2020

[3] Emanuela Bandini, L’ora di lotta al femminicidio, in laletteraturaenoi, 20 novembre 2023

[4] Esperienza narrata nella trasmissione "Presa Diretta", puntata del 6 febbraio 2023

[5] Franco Lorenzoni, su Internazionale, 16 settembre 2022. 

 

Scrive...

Annamaria Palmieri Laureata in Lettere, collabora con la cattedra di letteratura italiana dell'Università Orientale di Napoli, già Presidente del Cidi Napoli e successivamente per due legislature Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli; attualmente dirige un istituto professionale a Torino.

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