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03/12/2022

Le classifiche e la scuola

di Maurizio Muraglia

Tutte le mattine nelle nostre scuole secondarie superiori accade una vicenda che prende il nome di "lezione". La lezione rimane l’unità di lavoro base che caratterizza una scuola in quanto tale. Poi possono sempre esserci lezioni frontali, lezioni interattive, lezioni cooperative, lezioni multimediali. Ma lezioni. Perché presuppongono la presenza simultanea di tre elementi: chi insegna, chi impara e l’oggetto dell’apprendimento. In una singola scuola, che so io, dalle 9 alle 10 possono svolgersi da 30 a 40 o 50 lezioni, o anche più.

Se un osservatore competente - sottolineo: competente, cioè insegnante, esperto di scuola e di processi formativi, riconosciuto pressoché universalmente tale - girasse per le classi in quella scuola ed elaborasse dei pronunciamenti, certamente produrrebbe un quadro a luci e ombre. Dovunque. Troverebbe insegnanti eccellenti ed insegnanti improbabili. Se girasse in altre ore del giorno sono certo che non approderebbe mai ad un giudizio univoco. Facendo questo per più giorni non sarebbe in grado di dire qualcosa di unitario su quella scuola. Quella scuola gli apparirebbe come un mosaico, come è giusto che sia. Troverebbe le eccellenze che in altre scuole non ci sono e troverebbe le mediocrità che in altre scuole non ci sono. La scuola perfetta risulterebbe dall’aggregazione di tutte le scuole. È così da sempre.

Questo rende impossibile qualsiasi raffronto e, ancor peggio, qualsiasi graduatoria. Le classifiche elaborate da Eduscopio per conto della Fondazione Agnelli e pubblicate recentemente meritano pertanto un unico approccio: l’indifferenza. È quel che invece purtroppo non è accaduto e non accade, perché i social pullulano di commenti negativi o positivi che provengono da dirigenti e docenti incapaci di pensare che un simile paradigma va soltanto rimandato al mittente. In altri termini, il gioco del rallegrarsi o dell’indignarsi rimane tutto interno ad una cornice assolutamente indigeribile, anche alla luce del metodo utilizzato, ovvero quello di rincorrere gli esiti universitari o occupazionali dei diplomati, che a loro volta sono condizionati da variabili che con la qualità della scuola di provenienza non hanno niente (o poco) da spartire.

Ancora una volta il mondo della scuola riesce colpevolmente a farsi sedurre dal fascino del più e del meno, dalla vertigine delle classifiche che attizzano il narcisismo di tutti, quando invece la scuola compattamente dovrebbe unirsi nel rivendicare un’identità ed una mission del tutto diverse ed irriducibili alla scimmiottatura dei campionati di calcio.
La scuola dovrebbe far altro rispetto all’università e al lavoro. La scuola non dovrebbe essere competitiva, ma assumere il compito di sviluppare cultura e cittadinanza, fermarsi  a osservare i processi, sbloccare situazioni di stallo, rimotivare e riorientare, e tutto questo dovremmo avere il dovere e il diritto di chiamarlo risultato, allargando la sfera semantica di un termine che troppo spesso viene identificato con gli esiti delle prestazioni, peggio ancora con gli esiti numerici, quali i voti degli esami universitari.

La scuola vista soltanto come propedeutica ad altro è ridotta, se non mortificata. Non è soltanto il futuro l’orizzonte della scuola, è anche e soprattutto il presente, perché è lì che si impara a stare nello spazio pubblico. La scuola è già essa stessa spazio pubblico e spazio culturale. La qualità di quel che fa non deve attendere l’approvazione del docente universitario o dell’imprenditore.

È purtroppo un deficit culturale, quello che qui denuncio, indotto dall’assorbimento della scuola all’interno del tritacarne del senso comune, affascinato dalle gare, dai raffronti e dalle vittorie. Oggi avviene con Eduscopio, ieri avveniva con Invalsi, domani avverrà con l’altra boutade del docente migliore d’Italia, tutta materia che la politica scolastica poi recepisce elaborando ipotesi insensate del genere "docente esperto".
Non so cosa debba avvenire perché questa assimilazione della scuola al cicaleccio mediatico abbia fine e possa finalmente entrare in scena un discorso pubblico serio, profondo, complesso che tratti i temi dell’educazione e dell’istruzione come temi istituzionali e civici piuttosto che come argomenti da bar sport.

Scrive...

Maurizio Muraglia Docente di Lettere nei licei, formatore, già Presidente del Cidi Palermo

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