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29/03/2025

Lucio Villari e l’importanza della narrazione storica

di Rosanna Angelelli

Lucio Villari è morto una manciata di giorni prima che uscissero le bozze ministeriali delle Indicazioni per la scuola primaria 2025. Grande il mio rammarico non solo perché è venuta a mancare una colta, elegante tessera del mosaico della cultura storica italiana (purtroppo  sempre più frammentata), ma perché  si sarebbe potuto sentire da lui ancora in vita, un giudizio riflessivo e sereno su un aspetto importante per la didattica della storia nel primo ciclo: quanto, per gli alunni, possa essere formativo il raccontare loro più che i fatti, degli aneddoti tratti  da remoti leggendari che contribuiscono tuttavia a dare il “mode” di un’epoca. Scrivo questo perché non sono tanto sorpresa dalla proposta, quanto dallo specifico degli esempi. Essi appartengono alla storia romana arcaica,  e furono resuscitati dalla storiografia liviana per codificare i valori fondanti di una Romanitas che si sperava potessero frenare la grave destabilizzazione della Respublica sotto i colpi delle guerre civili. Si propongono quindi esempi di un’operazione restauratrice peraltro apparsa discutibile ai Populares  contemporanei di un Ottaviano vittorioso e pronto al celeberrimo compromesso storico.

 Siamo sicuri che gli esempi siano adeguati ai nostri bambini?

Non ho mai insegnato nella scuola primaria, ma ho sempre creduto che essendo essa popolata per l’appunto di bambini, qualsiasi apprendimento debba passare attraverso una narrazione che crei in loro non solo emozioni “virtuose” (tra l’altro quelle suscitate dal leggendario romano hanno a che vedere con un accentuato militarismo e classismo sociale da cui, in mezzo alle guerre e alle discriminazioni dell’oggi, sarebbe bene tenere lontana la nostra gioventù), ma domande di spiegazione del loro presente magari attraverso le citazioni di illustri figure civili della nostra contemporaneità. Perché ce ne sono e come, basta saperle scegliere.

 E proprio perché a scuola si è in una complessa situazione relazionale mi sembra opportuno che i bambini si abituino alle strategie di un racconto sempre più chiaramente strutturato e polisemico dal momento che il processo di apprendimento diventa sempre più attivo e profondo proprio a fianco dei numerosi altri coetanei del gruppo classe spesso appartenente a culture diverse sui quali la così detta Romanitas potrebbe avere esercitato una dominanza coloniale aggressiva.  
Le storie, allora, si dovrebbero avvalere della concretezza della vita, di fatti e di oggetti da conoscere, descrivere  e misurare in una costruzione cronologica che parta innanzitutto dal vissuto dei bambini e ne rispetti i significati. Il “prode” il “magico” non crea conoscenza, ma suggestioni e oggi abbiamo un gran bisogno di accompagnare affettuosamente un bambino a un rispettoso incontro diretto con il reale nella sua concreta complessità, dal momento che possiamo averlo già perso, sin da piccolissimo, nello spazio fittizio dell’online. Pensiamoci dunque a dare un valore veramente educativo alla narrazione, a scegliere con attenzione i contenuti di un approccio preanalitico alle storie. E stiamo attenti anche a come presentiamo, per esempio, le culture così dette primitive della preistoria, in una narrazione che, per destare interesse e curiosità, spesso diventa tutt’altro che scientifica [1]

Villari fu indubbiamente un grande narratore di storia, ma proprio perché dava ad essa un senso umano articolato e complesso, costruito senza un’adesione dogmatica a una unica scuola di pensiero. Allievo di Federico Chabod, assorbì da lui l’interesse per l’Illuminismo, per lo sviluppo del Capitalismo, e per la storia culturale e politica italiana nell’ambito delle ideologie sociali tra il XIX e XX secolo [2]. Da Gramsci trasse l’interesse per  la teoria dell'egemonia culturale e per il ruolo che hanno le idee nella costruzione della società, mentre dallo studio di Montesqieu[3] rinsaldò la riflessione sulle teorie illuministiche dello Stato liberale, sulla separazione dei poteri e sulla libertà politica, questioni riprese anche a proposito delle sue indagini sul Risorgimento italiano.[4]

Appare dunque come uno storico eclettico, annoverabile nel solco della storiografia marxiana, ma anche fortemente influenzato dalla metodologia delle indagini a tutto campo della Ecole des Annales. Della storia non ci si deve limitare a cercare e a ricostruire il senso di fatti tratti dalla vita politica e militare di grandi personaggi, ancorché decisivi per la rottura di una continuità o per l’accelerazione di un fenomeno, ma ci si deve porre, cercando di immedesimarvisi, nel flusso temporale continuo, individuando in esso la consistenza di aspetti di vita sociale, culturale, di tutti quegli strati popolari altrettanto in grado di plasmare, frenare, indirizzare gli eventi stessi. D’altra parte, l’interesse di Villari per la storia di complessi movimenti culturali ed economici più propriamente europei non lo ha mai spinto a creare una gerarchia di valori nazionali che desse una impronta di maggior prestigio a una tal società rispetto a un’altra. Men che meno di pronunciare giudizi sulla supremazia dell’Europa nel “fare storia” meglio e di più rispetto alle altre culture mondiali, come par di leggere invece nell’ introduzione alle già citate Indicazioni.

Questo equilibrio interpretativo ha permesso a Villari, a proposito delle sue ricerche sul Risorgimento italiano, di non cadere in una pesante stroncatura dei suoi esiti politici, delle sue contraddizioni ideologiche e del fallimento di certi obbiettivi sociali. Di questi si riconosce la mancata o la parziale attuazione, ma essendo stati esaminati senza anacronismi, entro una indagine reticolare a tutto campo, non se ne oscurano i positivi risultati relativi raggiunti. Questo equilibrio, sempre motivato da riscontri concreti, emerge dalle numerose interviste che gli sono state fatte e dal suo discutere garbato e sempre attento al punto di vista altrui nelle trasmissioni culturali di “La storia siamo noi” e  di “Passato e presente” alle quali collaborava  personalmente. Gradevolissime le sue riflessioni sul valore estetico ma anche civile della musica operistica, o quelle sul romanzo storico ottocentesco, o sulla pittura risorgimentale, nella valorizzazione puntuale di istanze culturali di natura anche prettamente popolare.  Altrettanto lucidi sono i suoi giudizi sul valore culturale europeo del Movimento Futurista e sulla complessa personalità di D’Annunzio. [5]

 

Note

[1] Cfr. S. Cavone,  Preistoria contro storia? in www.historialudens.it. Nell’articolo si ragiona su quei luoghi comuni e quelle presupposizioni culturali, che impediscono alla Preistoria di diventare Storia dell’Umanità.
[2] Tra i suoi libri ricordiamo "Settecento adieu. Dall'Illuminismo alla rivoluzione", Bompiani, Milano 1989; "Il capitalismo italiano del Novecento", Laterza, Bari 1992; "La schiavitù dei moderni. Illuminismo e colonialismo", Edizioni Associate, Roma 1996; "Romanticismo e tempo dell'industria", Donzelli, Roma 1999. Per Einaudi ha pubblicato "L'economia della crisi," Torino 1980, "La roulette del capitalismo", Torino 1995, e "Le avventure di un capitano d'industria", Torino 2008.
[3] Villari con una felice creatività espressiva traspose a teatro (1986) le “Lettere Persiane” di Montesquieu, interpretate da Pino Micol e con musiche tratte da Les Indes Galantes di Jean-Philippe Rameau.
[4] Ci riferiamo soprattutto a "Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento", Laterza 2012.
[5]  Cfr. su D’Annunzio "La luna di Fiume. Il complotto 1919", Guanda, 2019.

 

Parole chiave: Lucio Villari, storia

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Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".

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