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una recensionedopo scuola

10/07/2025

"Il primo libro di didattica della storia": un manifesto per la storia da insegnare a scuola nel XXI secolo

di Lorella Villa

È stato un anno scolastico che ha visto la storia e la didattica della storia protagoniste del dibattito pubblico.

Prima le nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo, nella cui sezione dedicata alla storia  permane un’impostazione tradizionalista e trionfalmente identitaria della disciplina[1] poi la polemica sollevata dallo stigma del Ministro Valditara su un manuale di storia per la suola secondaria di secondo grado edito dalla casa editrice Laterza  dal titolo Trame del tempo-  edizione rossa firmato da Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi e Carlo Greppi in cui l’elemento di attrito si trova alla pagina 666 (sic!) del volume terzo dove c’è una descrizione del cambio del quadro politico italiano dopo le elezioni del 2022 con Fratelli d’Italia descritto come un partito che ha raccolto l’eredità del fascismo e che continua ad avere una stretta relazione con la sua base dichiaratamente fascista  [2]. Vale allora la pena fare una riflessione  proprio sui manuali di storia e sulla didattica di una delle materie da sempre più inclini ad essere usata e strumentalizzata a fini ideologici e politici. Specie a scuola. Lo spunto è un volume di recente pubblicazione per i tipi di Einaudi a firma di Andrea Miccichè, Igor Pizzirusso e Marcello Ravveduto dal titolo “Il primo libro di didattica della storia” (Einaudi, 2025). 
Il titolo potrebbe sembrare provocatorio, ma non si tratta del primo in senso cronologico, ma del primo nel senso di “fondamentale”, come primo passo per chi si avvicina alla didattica della storia, primo riferimento per una formazione iniziale degli insegnanti; primo strumento per chi vuole rinnovare il proprio modo di insegnare storia nella scuola secondaria. Gli autori sanno bene che esiste già una vasta letteratura sulla didattica della storia, ma scelgono di offrire dei testi introduttivi, accessibili e completi, con l’ambizione di diventare base comune per la formazione docente. Perché - e qui veniamo al cuore della questione - fino a qualche anno fa la didattica della storia era un po’ la pecora nera della ricerca accademica: poche le cattedre e pochi i fondi per la ricerca.

La necessità di questo saggio allora appare ancora più urgente perché, come spiegano gli autori, la domanda di storia si è fatta nel frattempo molto prepotente, non solo a scuola ma anche nel mondo accademico,  ora che i corsi di abilitazione per gli insegnanti di recente creazione sono per fortuna aumentati.
D'altra parte, l'insegnamento della storia in classe fa sperimentare  spesso la netta separazione tra il vissuto degli studenti e la conoscenza della storia, ancor di più  l'amore  per essa. Se si indaga a fondo, però, la presa di distanza che gli studenti marcano non è con la storia ma con l’esperienza che di questa fanno a scuola: un approccio ancora fondamentalmente mnemonico, con le date, le battaglie, le pagine da studiare, da mandare a memoria e da ripetere e poi da dimenticare subito dopo. Ma se si chiede agli stessi studenti se hanno mai giocato a Assassin’s Creed o se hanno visto la serie TV M, Il figlio del secolo, insomma, se hanno avuto esperienza di altre forme di conoscenza che in qualche modo sono legate al tema del passato, ecco che emerge una grande fascinazione dei ragazzi e delle ragazze per il passato.

La domanda di partenza è: come è possibile che ciò che piace fuori dal mondo della scuola e ciò che piace fuori dal mondo dell'università, non generi un corrispondente interesse per la disciplina che dovrebbe in qualche modo fornire le informazioni necessarie a comprendere quello che altrove appassiona? C’è insomma uno iato, una netta separazione tra la disciplina e il mondo esterno che tra l'altro è oggetto di interesse soprattutto per la public history ma che riguarda anche la scuola. Questo libro nasce da questa idea, cioè dalla convinzione che se la storia non è insegnata con degli obiettivi chiari e precisi, che non sono quelli legati alle mere conoscenze ( ma invece quelli di permettere di indagare il passato, di far viaggiare i ragazzi nel tempo, di dar loro la possibilità di aprire uno spazio temporale che permetta di comprenderlo, contestualizzando ed entrando in contatto con le fonti, la storia può risultare il più sterile e tedioso tra i campi del sapere. Certo l’insegnate deve avere chiaro che questo è l’obiettivo dell’insegnamento della storia e altrettanto chiaro come si persegue questo obiettivo, quali sono le modalità attraverso cui lo si può raggiungere.

In un momento in cui l'insegnamento della storia appare sempre più sfidato da crisi d’interesse, overload informativo e tensioni culturali, "Il primo libro di didattica della storia" si propone come una guida lucida, aggiornata e coraggiosa per riportare la disciplina al centro della formazione civile e scolastica partendo dalla riflessione su che cosa sia la storia, quali siano gli obiettivi dell'insegnamento della storia e cosa attiene al mestiere dello storico, perché lo storico per definizione non fa solamente ricerca scientifica, non è un fisico o un chimico. La ricerca storica ha l’obiettivo primario di trasmettere la ricerca all'esterno, e se 30 o 40 anni fa l'"esterno" dell'accademia era fondamentalmente la scuola, oggi l'apertura è verso un mondo molto più vasto e articolato.

É un libro, questo, che si rivolge a insegnanti d'esperienza, insegnanti in formazione e studenti che di fronte alla conoscenza possano sapere anche come quella conoscenza è stata costruita. Qual è la logica, la struttura che permette di costruire una conoscenza - ovviamente non solo del passato -  “tridimensionale” cioè la conoscenza storica che deve partire dalla consapevolezza della storia, che si fa con le fonti, da una buona educazione temporale, cioè dal fatto che uno studente deve sapere cos'è una periodizzazione, una cronologia, deve avere chiari concetti di "tempo", nel senso di "continuità", "cambiamento", "persistenza", "rimozioni"... deve capirne anche l'importanza, perché questi aspetti procedurali sono fondamentali in quanto danno vita alla storia, la rendono sapere attivo.

Firmato da tre autori con esperienze e competenze complementari — Andrea Micciché, storico e docente di didattica della storia, Igor Pizzirusso, esperto di didattica innovativa e Marcello Ravveduto, studioso di public history, delle mafie e della memoria — il volume si presenta non solo come un manuale, ma come una vera e propria presa di posizione sulla necessità di un nuovo modo di insegnare (e pensare) la storia. Insomma, la Storia come competenza viva, non come racconto chiuso.

Il primo merito del libro è la sua impostazione teorica. Andrea Micciché offre una riflessione colta e pragmatica sul valore della storia nella società contemporanea ma senza partire né mai accennare al “lamento sullo stato penoso della storia e del suo insegnamento”. [3]
Non si tratta, infatti, di difendere la disciplina per nostalgia, ma di mostrarne l'urgenza in un mondo dominato dalla disinformazione, dalle semplificazioni narrative e da un tempo presente sempre più ipertrofico. In questo contesto, la storia — se ben insegnata — può diventare spazio di esercizio del pensiero critico, abitudine alla complessità, sensibilità verso le fonti. Per farlo però la storia non deve essere pensata e trasmessa come narrazione fissa ma deve diventare una disciplina in movimento, fatta di domande, problemi, verifiche e confronti. Il messaggio è chiaro: la didattica della storia deve insegnare a “fare storia”, non solo a “ripetere storia”. Questo è il discrimine perché se un argomento è mediato dall’insegnante con la logica trasmissiva e sequenziale del leggere e ripetere, la maggior parte degli studenti nel giro di poco tempo perderà quell’informazione. Ma se il sapere è costruito attivamente, attraverso il dialogo con i compagni e con l’insegnante, il risultato sarà eccellente e la storia, lascerà una traccia e permetterà di usare quelle competenze, che sono di tipo cognitivo, anche al di fuori della scuola.

La sezione più operativa del testo, curata da Igor Pizzirusso, è un vero e proprio laboratorio di innovazione didattica. Il lettore-insegnante trova qui una panoramica ricchissima di “mediatori”: giochi di ruolo, laboratori con le fonti, graphic novel, serie TV, musica, meme, libri-game, podcast, quiz, escape room, e anche il debate e la flipped classroom. Non si tratta solo di elencare strumenti, ma di guidarne l’uso consapevole, con l’obiettivo di attivare negli studenti curiosità, riflessione e partecipazione.
La proposta è coerente con le esigenze di una scuola immersa nella cultura digitale e nella frammentazione dell’attenzione; il libro, tuttavia, non riduce la storia a spettacolo, ma la rilegge come terreno fertile per nuove forme di coinvolgimento critico.

Marcello Ravveduto completa l’impianto con riflessioni sulla memoria pubblica e sull’uso pubblico della storia, mostrando come l’insegnamento non possa prescindere da ciò che accade fuori dall’aula. La storia insegnata a scuola deve dialogare con la storia vissuta nella società: nei social, nelle serie TV, nei luoghi di memoria, nei discorsi politici. Solo così può diventare “viva”.

L’impostazione pluralistica è uno dei punti di forza del volume: accanto a rigore scientifico e chiarezza metodologica, si avverte una volontà di includere e valorizzare punti di vista diversi, superando steccati ideologici e approcci dogmatici.

Nonostante il titolo, Il primo libro di didattica della storia non è solo un manuale per docenti: è anche un saggio che interroga il senso della storia nella contemporaneità. È una lettura utile per chi si occupa di formazione, divulgazione, media, cittadinanza attiva. È una proposta culturale che riporta la storia nel dibattito pubblico senza retorica né vittimismo.

Un testo maturo, ambizioso, eppure estremamente concreto. Un libro che mancava e che arriva con il coraggio di innovare senza perdere in rigore. Se insegnare storia oggi è una sfida, questo libro offre una bussola — e anche qualche mappa — per orientarsi. Con un tono sempre dialogico e attento alla realtà della vita scolastica, gli autori ci ricordano che la storia, per essere viva, deve essere insegnata come esperienza, non come sentenza.

 

Note

[1]  Per reperire commenti e documenti sulle IN 2025 si rimanda all’apposita sezione della rivista, sempre in aggiornamento. 

[2] Senza entrare nei meandri della polemica, riporto le nette parole dello storico David Bidussa che in un post sul suo profilo Facebook, il 28 Giugno passato, ha risposto al Ministro dicendo che in democrazia ci sono solo due modi per replicare ad un libro  che dispiace: se ne scrive un altro e se quello in essere è un libro di testo, non lo si adotta. Riporto letteralmente il post: "Il ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, se la prende con un passaggio del volume di storia contemporanea “Trame del tempo”, edito da Laterza. In una società democratica, pluralista c’è un modo semplicissimo per respingere un libro che non piace: sceglierne un altro. Oppure: rispondere con un altro libro. Non ci sono terze vie.”

[3]  Così Antonio Brusa in una recensione al testo pubblicata sul quotidiano Domani il 20 Febbraio 2025 dal titolo: “Didattica della storia, basta un libro per smentir una commissione”.

Andrea Miccichè, Igor Pizzirusso e Marcello Ravveduto

 

"Il primo libro di didattica della storia"

 

 

Einaudi, Torino, Gennaio 2025

pp. 306, euro 24

Scrive...

Lorella Villa insegna italiano e storia negli Istituti tecnici e professionali. È dal 2022 presidente del CIDI di Cagliari.

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