Il concetto di inclusione è fondamentale per la realizzazione della scuola della Costituzione, in quanto significa costruire le condizioni affinché tutte, tutti e ciascuno possano cogliere l’occasione che la scuola può offrire. Si include in una scuola che accoglie, che riconosce e valorizza le differenze, in una scuola luogo di relazioni umane, vero tempo di vita.
Nelle Indicazioni 2012 la parola inclusione e i suoi derivati vengono utilizzati solo 6 volte, ma il tema dell’inclusione permea tutto il documento. Nella bozza 2025 vengono usati invece ben 68 volte. Occorre domandarsi se questa bulimia nell’uso di un termine, che viene ormai inserito in ogni discorso e in ogni documento, non lo svuoti di significato, utilizzandolo come mero esercizio retorico a prescindere dalla realtà fattuale.
Ne è un chiaro esempio l’ispirazione culturale occidentocentrica delle Nuove Indicazioni. Nel paragrafo Scuola e nuovo umanesimo viene infatti chiaramente proclamata la superiorità culturale ed etico-politica dell’Occidente. Questa è un’operazione puramente ideologica. La scuola rischia di trasformarsi in uno strumento di legittimazione di un modello culturale che pretende di essere universale, mentre continua a guardare il mondo solo con gli occhi dell’Occidente.
Questa visione è particolarmente evidente nella parte delle Indicazioni dedicate a Storia, in cui sono presenti affermazioni di impianto dichiaratamente eurocentrico, che propongono gerarchie culturali e rimandi elogiativi al passato coloniale e la contrapposizione tra un noi e un loro. Tale impostazione rivela l’intento di piegare la narrazione storica a fini identitari. Come affermato nel comunicato dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri “Così facendo si ignora che la storia è molteplice per natura – fatta di molte voci, gruppi sociali differenti, influenze esterne e interne – e che solo un approccio pluralistico consente una reale comprensione”.
Tale posizione prepara la limitazione della storia da trattare all’ambito occidentale, con particolare riguardo per la vicenda nazionale italiana, il cui studio è indicato come elemento volto a favorire l’integrazione degli alunni provenienti da altre culture. A partire da questi assunti, l’integrazione dei bambini, bambine, ragazzi e ragazze con retroterra migratorio può essere solo di tipo assimilazionista, prospettiva che si è già mostrata fallimentare nell’esperienza delle società multiculturali. Tracciare confini, fissare la propria identità nella opposizione all’alterità significa opporsi al riconoscimento della complessità del nostro tempo.
Non si può non tener conto del fatto che nelle classi sono ogni anno di più gli alunni e le alunne con retroterra migratorio. Non si può continuare a ignorare la storia dei paesi da cui questi bambini, bambine, ragazzi e ragazze e i loro genitori provengono e le ragioni - guerre, crisi economiche, crisi ambientali, persecuzioni, discriminazioni - che fanno sì che oggi vivano in Italia. Le nostre società stanno progressivamente diventando multiculturali, e questa tendenza è inarrestabile. Riconfigurare il curricolo in senso interculturale appare pertanto una necessità formativa ineludibile per preparare tutti i giovani a vivere in una società connotata dalla complessità culturale.
Nella sezione Storia è altresì presente l’invito a far conoscere ai bambini e alle bambine della classe prima della scuola primaria “Le radici della cultura occidentale attraverso alcune grandi narrazioni: p. es. Bibbia, Iliade, Odissea, Eneide“. Quel che lascia perplessi non è tanto il desiderio di inserire nelle programmazioni annuali lo studio della Bibbia, ma l’ideologia che motiva questa scelta, poiché le Nuove indicazioni, come abbiamo visto, non sono inserite in un’ottica di apertura e pluralismo. In questo modo viene sottratta agli alunni e alle alunne la possibilità di una piena formazione, perché è nel confronto tra le diverse posizioni culturali che ci si forma e ci si crea un’idea e si impara a confrontarsi. A questo proposito Augusto Barbera, che è stato presidente della Corte Costituzionale, ha affermato che anche se il principio di laicità dello Stato non è espressamente sancito nella Costituzione, è il metaprincipio da cui discendono tutti gli altri. La laicità è quindi la condizione per evitare discriminazioni.
Il venir meno nelle Nuove Indicazioni della visione universalistica, globalistica e interculturale presente nelle Indicazioni 2012 è riscontrabile in diverse parti della bozza. Ad esempio nella sezione Italiano non è più presente l’impianto che sosteneva l’unitarietà di sguardo su lingua materna, lingua di scolarizzazione e lingue europee. Questo assetto era alla base delle Indicazioni del 2012, dove il concetto di educazione linguistica era frequentemente affiancato – o addirittura sostituito – da quello di educazione plurilingue, espressione, quest’ultima, anch’essa scomparsa. Altro esempio: nella parte dedicata alla Scuola dell’infanzia si parla di esercizio di un’azione inclusiva quale dimensione strutturale e funzionale della scuola dell’infanzia, trascurando del tutto la dimensione culturale, su cui invece occorrerebbe porre il focus.
È importante inoltre osservare la presenza nelle Nuove Indicazioni di altri elementi che determinano l’emergere di una visione di scuola selettiva e antiegualitaria.
Nel paragrafo Scuola e nuovo umanesimo si parla di una prospettiva di “sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti” e si specifica che “Il concetto di talento è intrinsecamente legato al potenziale cognitivo di ogni alunno”. Tale potenziale cognitivo, e il concetto di talento che ne deriva, - concetto citato ben 11 volte nella bozza – tende facilmente a essere inteso come un potenziale naturale, una predisposizione innata diversa in ogni bambino, per cui la scuola può unicamente valorizzare queste potenzialità, in modo che gli studenti e le studentesse “possano trovare la loro realizzazione personale”. A sostegno di questa visione viene citato l’articolo 3 della Costituzione, articolo con il quale una visione di questo tipo è in assoluto contrasto in quanto può costituire la premessa per rendere accettabile una diseguaglianza degli esiti reali dell’istruzione, imputandola a differenze dei potenziali cognitivi innati. Noi sappiamo che da quando il bambino o la bambina nasce le sue potenzialità si costruiscono in relazione al contesto socio-culturale in cui cresce e che a scuola si arriva con competenze, ma anche con privazioni. È quindi compito della scuola rimuovere gli ostacoli al fine di realizzare l’emancipazione culturale di tutte, di tutti e di ciascuno, in un orizzonte di emancipazione sociale.
Collegata allo sviluppo dei talenti è la personalizzazione dell’offerta didattica, più volte citata nel documento. In particolare nel paragrafo intitolato Scuola che sa essere inclusiva, la personalizzazione viene indicata ai fini della realizzazione dell’inclusione scolastica "come strategia che governa le scelte educative e didattiche", dimenticando che per garantire a tutte e a tutti il raggiungimento delle conoscenze e delle competenze fondamentali per poter diventare a pieno titolo cittadini occorre una diversa strategia, che è quella dell’individualizzazione, che non viene mai citata nel testo. Ciò non impedisce che la personalizzazione possa avere un ruolo accessorio, ma nel segmento scolastico in questione dovrebbe predominare l’individualizzazione, che consiste nella flessibilità dei percorsi didattici in vista del raggiungimento di obiettivi comuni per tutti gli alunni e le alunne, avendo riguardo alle presenze “plurali” nelle classi, attuando interventi adeguati nei riguardi delle diversità perché non diventino diseguaglianze.
Nel paragrafo Scuola che sa essere inclusiva emerge inoltre un’idea di inclusione prevalentemente legata alla disabilità, ai ragazzi e alle ragazze con DSA o con bisogni educativi speciali, come se l’inclusione riguardasse in particolare questo gruppo di allievi. Ma noi sappiamo che l’inclusione riguarda tutte e tutti e che una scuola inclusiva è quella che presta attenzione a tutti i suoi alunni. Inoltre, nonostante questo approccio, gli insegnanti di sostegno non vengono mai citati, come se non esistessero, come se non avessero la contitolarità della classe, come se non fossero, insieme ai colleghi, una risorsa fondamentale non solo al fine di favorire l’inclusione dell’allievo con disabilità, ma anche per promuovere l’inclusione di tutti gli altri allievi della classe.
Un altro elemento che colpisce è il fatto che nella nota che esplicita le scelte linguistiche in una prospettiva inclusiva scompaia ogni riferimento al genere, riferimento che era presente invece nelle Indicazioni 2012, dove si invitava nell’azione educativa a “considerare la persona nella sua peculiarità e specificità, anche di genere”.
Nella bozza viene inoltre proposta una visione essenzialista fondata sul binarismo e sulla complementarità dei generi. Nel paragrafo Scuola che educa alle relazioni si afferma infatti che l’educazione alle differenze di genere “allena bambine e bambini a ‘capirsi’ nella complementarità delle rispettive differenze e sviluppa sani anticorpi di contrasto di quella triste patologia che è la violenza di genere.” Si tratta di una visione limitante e semplicistica che può portare a discriminazioni. Colpisce inoltre il fatto che la violenza di genere sia definita “una triste patologia”. Troppo spesso la violenza maschile viene letta come frutto di un disordine sociale, psicologico, personale, valoriale, e quindi come una patologia individuale, una devianza. La violenza di genere è in realtà il prodotto di una società patriarcale, che opera divisioni e gerarchie, che divide le persone in due generi a cui affida caratteristiche differenti, complementari e gerarchiche, costruendovi sopra un sistema binario che alimenta violenza e disuguaglianza.
È Interessante inoltre osservare l’uso della parola “famiglia” all’interno delle Nuove Indicazioni, parola che sostituisce il termine “cultura” nella parte che nelle indicazioni 2012 era intitolata Cultura, scuola, persona, e che ora si intitola Persona, scuola, famiglia. Mentre nelle Indicazioni 2012 si parla di “famiglie”, - declinando il termine al plurale e riconoscendo la “differenziazione di modelli antropologici ed educativi” - all’interno della bozza 2025 la parola “famiglia” viene usata senza tenere assolutamente conto delle nuove composizioni famigliari, della presenza nelle nostre aule di bambini e di bambine che vivono in comunità, dei ragazzi e delle ragazze che non hanno famiglia.
Nelle Nuove Indicazioni vi è quindi l’abbandono di un modello di scuola laico e aperto, in favore di una modello chiuso e dogmatico, che lascia poco spazio a una reale inclusione di tutte, di tutti e di ciascuno. È quindi di fondamentale importanza fare rete per difendere e promuovere una scuola laica, democratica, inclusiva, una scuola che accoglie, riconosce e valorizza le differenze come elemento fondativo del proprio modo di essere.