Cara redazione di insegnare,
ho stampato le pagine delle nuove Indicazioni relative alla Storia, con l'intenzione di leggerle senza pregiudizi, e magari commentarle e analizzarle rispetto alle Indicazioni precedenti, per dare un contributo alla discussione.
Non ce l'ho fatta.
Prima mi sono cascate le braccia, poi mi sono indignata.
La scuola, gli insegnanti, i ragazzi, non meritano di essere trattati così.
Siamo tornati a settant'anni fa, ai programmi del '55.
L'unica differenza è il linguaggio con cui sono scritti, che cerca di apparire più credibile e colto.
Anzi, no. La differenza sostanziale è che i programmi del '55 avevano un senso rispetto al momento storico in cui furono scritti; appartenevano ad una società che non esiste più da oltre cinquant'anni. Questi del 2025 non hanno giustificazioni.
Mi è toccato leggere che l'insegnamento della Storia deve essere una narrazione che coinvolga i bambini anche in modo “emotivo e sentimentale”, parlando del sacrificio di Muzio Scevola e dell'apologo di Menenio Agrippa.
In prima vuoi negare ai bambini di 6 anni le grandi narrazioni che fanno parte della cultura occidentale? La Bibbia, l'Iliade, l'Odissea e l'Eneide. Ma in forma semplificata, ci mancherebbe!
In seconda invece narriamo i racconti del Risorgimento, da Silvio Pellico nello Spielberg ai martiri di Belfiore; e non può mancare la lettura della Piccola vedetta lombarda, così magari i bambini si commuovono pure.
Ovviamente nella scuola primaria è “necessario che l'insegnamento abbia al centro la dimensione nazionale italiana”, e la “cultura dell'Occidente” (un mantra ripetuto non so quante volte nelle varie pagine) deve essere la stella polare. Hanno estrapolato dal suo contesto storico una frase di Bloch (“Solo l'Occidente conosce la Storia”) per giustificare il ritorno ad una visione eurocentrica. Ma proprio la storiografia occidentale ha sepolto da decenni l'eurocentrismo.
Non c'è un accenno ai fondamenti epistemologici della storiografia attuale, che costituivano la base dei programmi dell'85. Anzi, una sola volta vengono citate le fonti e la loro interpretazione come “obiettivo irrealistico”. Forse considerano fonti solo quelle scritte, trascurando le fonti archeologiche e iconiche sulle quali i bambini della primaria lavorano benissimo. La Storia, dicono queste Indicazioni, “è l'insieme della successione degli eventi in cui l'esistenza umana si è concretizzata”. Si torna ad una storia lineare, che pone fatti in successione cronologica. Vengono completamente ignorati gli indicatori temporali di contemporaneità e durata/trasformazione, introdotti fin dall' '85 e ripresi nel 2012.
Due concetti chiave della storiografia che consentono di comprendere come la storia umana non sia soltanto una linea fatta di successioni, ma un “mosaico temporale” (I. Mattozzi 1989).
Per loro la via maestra da percorrere nella didattica è la narrazione: “la dimensione narrativa della storia è di per sé affascinante, e tale deve restare nell'insegnamento.”
Evidentemente i docenti e i dirigenti scolastici che hanno scritto queste pagine, hanno voluto deliberatamente ignorare la storiografia del secondo novecento; come pure gli studi, i saggi, le esperienze didattiche (le “buone pratiche”) diffuse e pubblicate negli ultimi vent'anni.
Ma io penso soprattutto alle colleghe e ai colleghi che lavorano nella scuola (io, per fortuna, sono in pensione) e che dovranno confrontarsi con queste proposte anacronistiche e incolte. Avete tutta la mia comprensione e solidarietà.
Cercate, tra le pieghe di ciò che è scritto, dei pertugi, delle fessure che consentano di uscire da questo analfabetismo di ritorno, per continuare a lavorare in modo serio.
In fondo “la Scienza e le Arti sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Un saluto solidale,
Sandra Chesi, CIDI Firenze.