Habemus grammaticam è il titolo trionfalistico di un articolo di Harro Stammerjohann pubblicato sull’impareggiabile rivista “Italiano e Oltre” nel lontano 1989 [1]. In questo contributo si celebra l’uscita in contemporanea, nel 1988, di ben tre opere dedicate alla grammatica italiana, di impianto diverso ma complementare [2]. In un colpo solo, afferma l’autore, la lingua italiana diventa “la lingua meglio descritta al mondo”. Dopo quasi quarant’anni tuttavia, pur avendo tali raffinati strumenti, non si può dire che la lingua italiana sia anche la meglio insegnata al mondo. Anzi, a giudicare dalla bozza delle Nuove Indicazioni [3], habemus in abudantia ancora analisi grammaticale e logica, con qualche apertura, più che timida di facciata, ai due grandi modelli grammaticali del secolo scorso: la valenziale e la generativa.
Obiettivo principale della primaria, si legge infatti nel documento ministeriale, è il riconoscimento di tutte le categorie lessicali attraverso esercizi pratici, ovvero lo studio della morfologia, anche se si precisa, con un “va da sé” contraddittorio, che “il nome, il verbo e l’aggettivo non possono essere introdotti senza una descrizione del loro uso, del loro significato e della loro funzione” , quindi immaginiamo attraverso la sintassi della frase e del testo. Anche se alla linguistica testuale non si fa alcun accenno, se non a un generico “livello testuale”, per altro all’interno di un mero elenco dei diversi livelli che concorrono al funzionamento dei fatti linguistici. E d’altronde l’analisi del testo viene menzionata soltanto nel box 2 dedicato alla secondaria di primo grado, ma come un mortificante campo di battaglia per assegnare “tutte (tutte!) le parole alla loro specifica classe grammaticale” (beato chi ci riesce, visto che i confini tra le categorie lessicali non sono poi così stabili e definitivi come ci dimostra Renzi in Le parti del discorso [4]).
La sintassi, invece, affiora in modo più circostanziato quando per esempio si accenna al rapporto tra verbo e soggetto, e sul valore del verbo “come chiave per cogliere la struttura della frase”. Da questi pochi accenni si evince subito che l’analisi della struttura della frase è un inevitabile strumento per l’analisi morfologica, eppure non costituisce un obiettivo per la primaria, ma resta appannaggio solo della secondaria di primo grado. Quando nelle Indicazioni del 2012 il riconoscimento del nucleo della frase semplice e dei suoi rapporti gerarchici interni di base, non solo era previsto alla fine del quinto anno della primaria, ma precedeva il riconoscimento delle parti del discorso, poiché ormai acquisito ciò che sosteneva Tesnière, e cioè che “la parola isolata dalla frase sarebbe come un pesce fuori dall’acqua [5]". E del resto basterebbe consultare anche solo l’indice dei manuali di grammatica più autorevoli per comprendere che la sintassi precede la morfologia [6].
Dunque non può che essere la frase il terreno privilegiato per costruire un percorso di grammatica esplicita, se non si vuole ricadere in un’analisi farraginosa, astratta e dottrinaria, che si allontana vertiginosamente dalla grammatica implicita, pure evocata. Basti pensare alla “funzione di modificazione propria dell’avverbio”, citata come capacità da acquisire: ebbene, come potrebbe un bambino capire tale funzione, che tra l’altro non è prerogativa solo dell’avverbio, senza avere prima chiaro in testa la struttura della frase e il concetto di sintagma? Con gli “esercizi pratici”: ecco la risposta metodologica che salta fuori con disarmante e ripetuta sicumera. Cioè con l’analisi grammaticale, con il mero addestramento, quindi con la memorizzazione di elenchi di parole, come la famigerata cantilena delle preposizioni semplici. A saper leggere tra le righe, a prendersi quasi tutto lo spazio è una grammatica più prescrittiva che descrittiva, più dogmatica che interrogativa.
Gli estensori del documento non sembrano affatto interessati a un discorso scientifico, men che meno pedagogico, che riguardi la descrizione della lingua e la sua progressività nel primo ciclo, di fatto inesistente. La loro unica preoccupazione sembrerebbe piuttosto quella di affrettarsi a ripristinare il tradizionale programma che voleva lo studio della morfologia alle elementari, ripreso poi in prima media, per proseguire in seconda e terza con lo studio della sintassi. Eppure non si capisce tanta premura, visto che i manuali di grammatica adottati nella scuola non hanno mai recepito fino in fondo i suggerimenti delle Indicazioni del 2012 e, quindi, nemmeno gli insegnanti che scelgono di adottarli, cioè la gran parte.
Una scuola passatista, quella delle Nuove Indicazioni, senza dubbio. Ma infetta dalla modernità più spregevole: la scuola della performance. Come dimostrano certi passaggi sempre per la primaria, per esempio la notazione di fare attenzione al soggetto e alla sua posizione che non è sempre prevedibile e non è “necessariamente sempre anteposto al verbo”. Perché dovrebbe essere così importante questo aspetto sintattico, se tanto lo scopo ultimo dell’intera operazione è la presunta padronanza morfologica? C’è il fondato sospetto che la sua utilità risieda nell’ovviare ai cosiddetti cinque quesiti più difficili degli Invalsi, tra cui compare proprio il riconoscimento del soggetto anche posposto al verbo, su cui gli allievi hanno in effetti non poche difficoltà. Una sollecitudine quindi che rivela più attenzione per abilità performative che non riflessive. Perché riconoscere il soggetto posposto al verbo dovrebbe piuttosto condurre l’allievo a domandarsi quali implicazioni linguistiche permettono a una funzione sintattica (e non solo il soggetto!) di assumere una posizione diversa all’interno della frase rispetto a quella canonica, se dipende per esempio dal comportamento del verbo stesso (gli sconosciuti verbi inaccusativi), oppure dagli effetti di topicalizzazione all’interno del tessuto comunicativo, cioè l’ordine marcato o non marcato della frase. Invece no, serve per migliorare la prestazione Invalsi.
Insomma, la scuola passatista e la scuola della performance si impongono qui con furbesca spregiudicatezza. Poiché da “un lato il vecchio processo educativo (...) ha reso la cultura un tranquillante, incapace di guardare al futuro; dall’altro la visione del mondo attuale immagina l’educazione come uno strumento per produrre individui funzionali e produttivi e non persone integrate e consapevoli di sé, in grado di farsi domande"[7].
Per questo si può facilmente passare dalla lettura dell’Ariosto alla saga di Harry Potter: venerazione del passato e consumismo assecondato sono un ottimo antidoto contro la costruzione del pensiero critico, contro la soggettivazione culturale del cittadino.
Ed è sempre per la stessa ragione che viene esaltata in sordina l’analisi logica. Altrimenti che farsene dello spiegone in cui si mettono in evidenza i suoi natali nel XVIII secolo e il motivo della sua denominazione, dovuta alla “convinzione che tutte le lingue avessero fondamentalmente la stessa struttura, che i loro schemi logici fossero gli schemi universali del pensiero”? Anche in queste poche righe emerge la visione occidentalocentrica dell’intero documento, ancor più esaltata perché ci aspetteremmo una sua messa in discussione, che invece non arriva. Chi legge, e viene da una formazione tradizionale, potrebbe essere indotto a pensare che questi schemi universali del pensiero siano ancora validi, quando sappiamo benissimo che persino “la distinzione tra Nomi e Verbi, benché diffusa in molte lingue, non è universale"[8]. Ma la pedanteria serve agli estensori non per ridimensionare la validità dell’analisi logica, bensì per riaffermarne il primato storico, e quindi didattico allorché subito dopo si afferma che “serviva e ancora serve a preparare gli scolari allo studio del latino”. Pochi sanno tuttavia che la valenziale è stata introdotta nella nostra scuola prima ancora che per lo studio della grammatica italiana, proprio per lo studio del latino con il manuale Fare latino del 1983, tra i cui curatori compare Germano Proverbio, che riprendeva gli studi del filologo classico Heinz Happ, il quale già negli anni ‘70 del secolo scorso aveva applicato la grammatica delle dipendenze alla lingua classica [9]. E senza dimenticare che nelle Indicazioni nazionali per i licei del 2010, in particolare per il latino del Liceo classico, si parla di acquisire le strutture morfosintattiche “partendo dal verbo (verbo-dipendenza)”, cioè nella sostanza dal concetto di valenza.
Una mossa strategica, in realtà: dato il reinserimento dello studio della lingua latina nel primo ciclo, qui si vuole, non poi tanto indirettamente, spingere l’insegnante a praticare l’analisi logica, piuttosto che gli altri due modelli grammaticali, non a caso presentati malamente.
La grammatica valenziale è infatti introdotta e liquidata in un solo rigo, da cui per altro difficilmente un insegnante di italiano poco avvertito sulla linguistica moderna, ovvero la maggioranza, potrà ricavarci qualcosa di utile. Che cosa significa infatti “si possono sfruttare in parte i suggerimenti della grammatica valenziale, laddove risultano maggiormente utilizzabili”, se non un invito a lasciar perdere, ché tanto da lì a qualche riga c’è pronta l’analisi logica a rassicurare gli animi? Sembrerebbe insomma che il termine valenziale venga qui adoperato come quello di gender: qualcosa che aleggia nell’aria, di matrice oscura e sfuggente, da tenere sì presente, ma con estrema cautela, più che altro a scopo difensivo. Per fortuna possiamo rivolgerci alle Indicazioni nazionali del 2012 che in proposito almeno qualche indizio in più ce lo danno, quando tra gli obiettivi di grammatica esplicita della primaria c’è scritto di riconoscere la struttura del nucleo della frase semplice, che è poi il concetto di frase nucleare, ripreso tra l’altro anche nelle Indicazioni per i licei, di cui si è già detto, e nelle Linee guida per i tecno-professionali quando si parla di “sintassi del verbo”.
Le cose non vanno meglio per la grammatica generativa, qui chiamata per costituenti, la cui analisi “si caratterizza per maggiore modernità”, immaginiamo rispetto all’analisi logica, celebrata poco prima. Insomma, sembrerebbe che per gli estensori la grammatica generativa stia all’analisi logica come Percy Jackson (citato dal ministro nella nota intervista) sta all’Iliade, tale è la tenuta scientifica e pedagogica di questo documento. La linguista Lo Duca corregge il tiro nel suo sferzante contributo critico (che abbiamo indicato qui), quando si chiede che cosa voglia mai dire che l’analisi per costituenti è più moderna: “ Non è anche l’analisi logica tradizionale una analisi per costituenti, avendo appunto lo scopo di individuare e denominare costituenti? Che cosa sono il soggetto, il predicato, il complemento oggetto, o di luogo, o di mezzo se non costituenti della frase? Quello che fa la differenza, rispetto alle analisi moderne, non è il riconoscimento di costituenti, ma i criteri di individuazione degli stessi, questi sì diversi e, ahimè, spesso inconciliabili”. Eppure se ci fosse stata davvero la volontà di valorizzare la tradizione, qui rappresentata dall’analisi logica, trattenendo ciò che di valido ancora oggi può ancora tramandarci, la grammatica generativa resta un’occasione propizia, direi insieme alla valenziale, poiché “non si stacca dalla tradizione, bensì parte da questa”, come precisa Stammerjohann sempre nel suo articolo. Il che vuol dire che non possiamo fare a meno dei concetti che la tradizione ci ha consegnato come quelli di soggetto e predicato, ma sono le loro definizioni che devono necessariamente essere riviste alla luce degli apporti della linguistica moderna. Ecco allora un bell’esempio di dialogo necessariamente critico tra passato e presente, che queste Indicazioni di fatto disconosce, a scapito suo malgrado anche del passato. È vero che nel documento si auspica un aggiornamento che avvicini gli insegnanti alle nozioni della linguistica moderna, ma se così fosse la scuola italiana si troverebbe ad abbandonare del tutto l’analisi logica: perché non farlo già a partire dal documento stesso? Ma no, non è questo che si vuole veramente, se subito dopo ci si affretta a specificare di evitare “le troppe tassonomie classificatorie dei complementi, secondo un insegnamento troppo rigido e tradizionalista dell’analisi logica”, dando per scontato che sarà proprio questo tipo di analisi che continuerà ad avere la meglio in classe. Ed è, guarda caso, con questo passo che si conclude l’insidioso excursus sui modelli grammaticali.
In sostanza, la linguistica e la didattica qui non c’entrano nulla. L’analisi logica, come il latino, sono diventati nel nostro Paese appannaggio della destra, in cerca di approvvigionamento culturale. Lo dimostra un tuonante articolo apparso nel 2002 su Il Secolo d’Italia proprio dell’attuale ministro Valditara, all’epoca responsabile per AN del settore Istruzione e Università, in cui asseriva che “lo studio della grammatica e della sintassi e l’effettuazione dell’analisi logica” sono “i tre pilastri di una formazione rigorosa"[10]. A parte l’ingiustificata distinzione tra studio della sintassi e analisi logica, si vede bene che il pensiero granitico del ministro non è stato scalfito dal tempo, per ragioni appunto identitarie. Come se non bastasse, a corroborare quanto detto, nello stesso pezzo il ministro proponeva il reinserimento del latino in terza media! L’articolo è preso in esame da Sgroi in un suo contributo sempre sulla rivista Italiano e oltre, che si intitola emblematicamente L’analisi logica ci salverà? Sgroi, dopo aver menzionato la proposta del latino, conclude: “(…) ma preferiamo non commentare questa proposta, che ci sembra farci ripiombare in un’epoca preistorica”. Neanche a dirlo, vent’anni dopo ci siamo piombati. Ma è una preistoria nuova: la preistoria dell’homo-performer.
Note
[1] Harro Stammerjohann, “Habemus grammaticam”, Italiano e oltre, n.1, 1989.
[2] La grammatica italiana di Luca Serianni e Alberto Castelvecchi (UTET); Grande grammatica di consultazione a cura di Lorenzo Renzi (il Mulino); Grammatik der italianischen Sprache del tedesco Christoph Schwarze (Niemeyer). Tra l’altro nell’articolo la più commentata è la Grammatica di Serianni e Castelvecchi, di cui vengono messi in luce i limiti, perché ancora legata a un impianto tradizionale.
[3] Tutte le citazioni dalle Nuove Indicazioni riportate di seguito riguardano la sezione dell’italiano dedicata alla lingua, in particolare le pp.39-40 per la primaria e le pp-45-46 per la secondaria di primo grado, ovvero il box2 “Strumenti metodologico-didattici per i docenti”.
[4] Lorenzo Renzi, Le parti del discorso, Carocci, 2013.
[5] Cristiana De Santis, La sintassi della frase semplice, il Mulino, 2021.
[6] Per esempio Giampaolo Salvi, Laura Vanelli, Nuova grammatica italiana, il Mulino, 2004; o Michele Prandi, Le regole e le scelte, UTET, 2006; mentre per la scuola Francesco Sabatini, Carmela Camodeca, Cristina de Santis, Sistema e Testo, Loescher, 2011.
[7]Andrea Colamedici, Maura Gancitano, La società della performance, Edizioni Tlon, 2018.
[8] Raffaele Simone, La grammatica presa sul serio, Laterza, 2022.
[9] Una breve ricostruzione storica del modello valenziale applicato al latino potete trovarla qui.
[10] Cit. in Salvatore C. Sgroi, “L’analisi logica ci salverà?”, Italiano e oltre, n. 5, 2002.