Il titolo assegnato quest’anno al festival di Filosofia di Modena Carpi Sassuolo è stato quello di Paideia. Si tratta di un tema basilare che percorre trasversalmente la storia della cultura e, nello stesso tempo, rappresenta una fonte inesauribile di ricerca, a partire dal peso assunto dalle scienze umane nel secolo alle nostre spalle. La ricerca scientifica e le pratiche riguardanti l’ambito educativo si vanno ad intrecciare strettamente con le teorie di quanti, a partire dall’antichità, hanno riflettuto sull’importanza del rapporto che si instaura fra discente e docente. Come sappiamo, l’andamento di questo rapporto, le sue conseguenze e i suoi risultati, oltre a influire sugli individui, è in grado di strutturare una fase culturale con effetti storicamente definibili di “lunga durata”.
Lo stretto rapporto che intercorre tra filosofia e paideia, sin dalla civiltà greca, è stato messo variamente in luce, nelle giornate del Festival di Modena-Sassuolo-Carpi. Dalle numerose lezioni svolte dalle personalità partecipanti al festival sono emersi spunti interessanti, spendibili anche a fini didattici, se opportunamente interpretati.
Gli approcci adottati nell’affrontare il tema sono stati svariati, data la diversa provenienza culturale e geografica delle relatrici e dei relatori intervenuti, ma tutti i contributi possono essere considerati un riflesso significativo del carattere polimorfo e complesso del pensiero filosofico postmoderno, con cui è oggi necessario confrontarsi. Esaminando la molteplicità degli aspetti trattati, non si può tralasciare la dimensione originaria del concetto, quella che proviene direttamente dal mondo classico. L’approccio filologico può darci ancora suggerimenti di qualche rilievo? Certamente sì, ma per questo si rende necessaria una coraggiosa rilettura del testo, in una prospettiva, se possibile, transdisciplinare.
Così, nell’utilizzare in chiave filologica alcuni concetti attinenti alla pedagogia, le argomentazioni di alcuni relatori hanno fornito interpretazioni capaci di dare il via a riflessioni sull’attualità, sul presente storico. In ciò si potrebbe intravedere una spinta ad aggiornare e vivificare la didattica delle lingue classiche e, contemporaneamente, costruire percorsi tra le discipline, all’interno del curricolo della scuola secondaria. Qualche suggerimento, in tale direzione, l’hanno dato Massimo Cacciari e Ivano Dionigi, nelle loro lezioni magistrali.
Massimo Cacciari, ad esempio, ha dato un input interessante nel focalizzare l’attenzione sul termine pais (fanciullo), generativo di Paideia. Esso viene comparato a quello romano di puer. Anche se quest’ ultimo è stato talvolta usato per indicare la condizione servile, o di debolezza, Cacciari ha messo in rilievo come la parola greca pais abbia una caratterizzazione tale da includere soprattutto il concetto di forza, di novità, di grande potenzialità. Inoltre, pais non va confuso con infans, perché, a differenza di questo, rappresenta il giovane dotato di parola, capace di linguaggio. La conferma veniva cercata in più passi, tratti dai testi platonici, dai quali si rileva un assunto fondamentale: la relazione tra magister e pais non deve mai comportare la soppressione dell’energia vitale ed erotica dell’allievo. Al contrario, la paideia deve avere a che fare con questa forza ed energia.
A sua volta, il filosofo Ivano Dionigi ha offerto altri spunti. Attingendo a Socrate e Montaigne egli configura l’azione educativa come volta essenzialmente all’ascolto. Ponendosi criticamente verso le politiche attualmente rivolte alla scuola e al sistema educativo, Dionigi attacca “l’orgia polispecialistica dei nostri giorni”, mettendo in guardia dalla tendenza in atto, per la quale il Maestro si trasforma, agli occhi del pubblico, in influencer.
Compito primario della scuola è da sempre quello di formare una coscienza linguistica, storica e politica. L’educazione - afferma Dionigi citando W. Jaeger- è un compito della comunità [1]
Se accettiamo questo presupposto, eventuali contestazioni agite dal mondo studentesco vanno considerate legittime. Il verbo contestare trae la sua etimologia proprio dal latino contestori , cioè invocare a testimone", mettersi in causa. Nel verbo è compresa una innegabile valenza civile e politica, su cui riflettere. Ne consegue la seguente considerazione, a mio avviso: perseguire studentesse e studenti quando manifestano ed esprimono le proprie idee non rappresenta forse un tradimento alla funzione stessa della scuola, quella di formare cittadini consapevoli?
Altro focus dell’intervento è stato quello costituito dalla riflessione su una triade di verbi che iniziano con la I: interrogare, intelligere e invenire. Dalla complessa argomentazione di Ivano Dionigi traggo qualche suggestione riguardante il verbo intelligere. Esso viene analizzato nelle sue due possibili interpretazioni. Nel primo significato, quello di intus legere, si riconosce il tentativo di cogliere l’essenza intima, il fine; nell’altra possibile accezione, quella di inter legere, ci riferiamo alla conoscenza relazionale, per cui tendiamo a cogliere l’insieme, operare sintesi. Si pone il difficile interrogativo che riguarda l’imperare della tecnica, cioè quanto essa induca a deviare da questa strada, influendo in negativo sulla profondità delle teorie e distogliendo dall’attitudine alla problematicità, alla ricerca di senso. A conclusione di questo intervento Ivano Dionigi ha sfidato la scuola ad operare una realistica presa di coscienza dei limiti che le sono oggi propri e, nel contempo, a riconoscere la propria funzione storicamente ineludibile.
Tra gli interventi ascoltati, all’interno del Festival di Modena, si potevano notare differenti approcci al tema di paideia. Sebbene in tutti i contributi ascoltati sia stato dato rilievo al fattore dell’empatia e dell’affettività, al fine di garantire il successo dell’azione educativa, lo sguardo posto sulla relazione educativa ha mostrato differenti sensibilità, sulla base della diversa formazione teorica degli intellettuali intervenuti nella discussione sul tema. Tra coloro che hanno dato un forte rilievo al contributo della psicoanalisi, nello studio dell’età evolutiva, si è distinta Michela Marzano che, a mio parere, ha contribuito validamente al tentativo di comprendere le difficoltà e il disagio che la nuova generazione sta attualmente attraversando. Michela Marzano, da sempre attenta ai temi dell’etica applicata, ha mostrato un approccio personale alla questione, ispirandosi alla propria esperienza di docente sul campo. Nella sua lezione, dal titolo “Come si diventa grandi”, ha messo in evidenza quanto l’ideologia della performance stia causando a ragazze e ragazzi, in andamento crescente, forme di depressione. La causa va individuata nell’abnorme spinta alla competizione che arriva dal mondo degli adulti. Così l’iter scolastico ed educativo, anziché accompagnare la curiosità di apprendere, comporta l’imposizione d’autorità, senza che i giovani siano veramente ascoltati. Commentando i recenti episodi in cui, durante l’Esame di Maturità, alcuni studenti hanno protestato contro la liturgia prevista, rifiutando di sottoporsi ad alcune prove, Michela Marzano ha notato che, nelle reazioni che ne sono seguite, si può vedere una chiara prova dell’atteggiamento di “non ascolto” delle istituzioni scolastiche.
La sofferenza di ragazze e ragazzi, attestata da più dati statistici relativi a loro tentativi di suicidio, imporrebbe invece che gli adulti accompagnassero bambine/i e adolescenti nell’elaborazione di un’identità autentica. In quest’ultima espressione risiede proprio il focus dell’intervento di Michela Marzano al Festival. Traendo spunto dagli studi sull’adolescenza compiuti da E. H. Erikson [2]la studiosa ha sottolineato l’importanza delle figure definite eroiche da Erikson, adulti con cui l’adolescente possa identificarsi e che, nel contempo, possa sfidare apertamente. L’essere eroe significa, per l’adulto, mettersi in gioco e saper ascoltare.
La parte costruttiva della lezione si è incentrata infine nel proporre la strategia delle cinque A, rappresentate da Ascolto, Alterità, Amore, Autostima e Autenticità.
Appare sempre più chiaro che gli adolescenti chiedono di essere ascoltati, ma in quale maniera? Una maniera scarsamente adottata, secondo Michela Marzano, è quella di saper accoglierli per come essi veramente sono, con tutto il loro dolore e la loro fragilità. La mancanza di ascolto riduce l’adolescente al suo sintomo, con effetti drammatici. Ma è la storia personale del soggetto che andrebbe piuttosto ascoltata, con gli aspetti specifici che la connotano; solo così si rende possibile l’accoglienza dell’alterità.
Ho voluto sottolineare alcuni passaggi dell’intervento di Michela Marzano, di cui ho sempre apprezzato la passione pedagogica e filosofica che caratterizza anche le sue pubblicazioni, spesso sotto forma di romanzi. L’appello all’autoanalisi, rivolto a chi esercita responsabilmente la professione di docente, è un suggerimento su cui credo che si debba riflettere seriamente.
[1] Werner Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani 2003
[2] Erik H. Erikson, Gioventù e crisi d’identità, Armando 2000