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26/03/2025

Appunti sulle Nuove Indicazioni Nazionali. Dov'è finita l’educazione linguistica?

di Mari D'Agostino, Maria Rosa Turrisi

Questo contributo, parziale e provvisorio, vuole intervenire nel merito della proposta di Nuove Indicazioni Nazionali (d’ora in poi Nuove Indicazioni) relativamente all’insegnamento dell’italiano, uno degli assi portanti del primo ciclo dell’istruzione. Non faremo riferimento, se non per qualche accenno, all’insieme delle questioni affrontate nel testo prima di arrivare alle discipline, cosa che richiederebbe un livello di analisi di taglio diverso.

 Una prima considerazione riguarda le caratteristiche generali del documento ministeriale che in più punti sembra essere il prodotto di un assemblaggio frettoloso non guidato da una idea globale, se non quella di sostituire le Indicazioni Nazionali del 2012 (aggiornate nel 2018) per marcare una discontinuità legata più a motivazioni di tipo ideologico che non a una reale capacità di proposta in grado di affrontare vecchie e nuove sfide educative. Di questo intento mediatico e politico ne sono precisa testimonianza i continui lanci giornalistici su temi come la reintroduzione del Latino, le poesie a memoria, il principio di autorità, capaci da fungere da richiamo identitario in direzione di un fantomatico modello di ‘scuola dei tempi passati’.

Questa poca attenzione alla qualità del testo è evidente dando uno sguardo alle sue caratteristiche formali. In un documento di ben 146 pagine l’Indice consiste in un semplice elenco di titoletti senza alcuna gerarchia delle varie parti, cosa che rende spesso la lettura complessa, defatigante, in più punti spiazzante. Non solo sarebbe stata assai utile una suddivisione in capitoli e paragrafi (e, a volte, sottoparagrafi) ma probabilmente sarebbe stato più funzionale un documento digitale con i link per raggiungere le varie parti del testo, con alla fine un elenco delle parole notevoli e un glossario che, per altro, avrebbe reso del tutto evidenti le frequenti sbavature e sovrapposizioni terminologiche. A questo proposito ci sembra doveroso citare il prezioso contributo di Maria G. Lo Duca, Le Indicazioni Nazionali 2025: una prima lettura, pubblicato sul sito del GISCEL, che bene fa emergere il grado di approssimazione linguistica, concettuale e testuale del documento. Anche la ripresa in più punti di frammenti o intere frasi delle Indicazioni Nazionali del 2012, mescolata con una complessiva diversa impostazione concorre a generare ulteriore approssimazione e confusione. Questo si nota sia confrontando le varie discipline (emblematico è il caso di Storia e Geografia delle quali più interventi in queste settimane hanno messo in luce profonde differenze) sia guardando all’interno di una stessa disciplina.

La scarsa o volutamente confusa pianificazione testuale è evidente nelle pagine dedicate all’Italiano (pp. 36-47) a partire dalla prima sezione che va sotto il titoletto “Perché si studia l’italiano” (p. 36), che in gran parte si sovrappone alla seconda “Finalità dell’insegnamento” (p. 37). In entrambe sono delineati gli scopi e gli obiettivi generali insieme però a riferimenti dettagliati su specifiche conoscenze e abilità come “utilizzare bene la serie completa dei segni di punteggiatura (compresi il punto e virgola, i punti di sospensione, le virgolette, i trattini)” (pag.37); o persino suggerimenti su comportamenti didattici “esaminare sinonimi e contrari mediante esempi concreti, non attraverso definizioni teoriche noiose e poco intuitive (p.37), solo per fare degli esempi. Ma quello che appare ancora più approssimativo sul piano concettuale è l’elencazione di contenuti e argomenti per introdurre la declinazione degli obiettivi, come, ad esempio, al termine della classe terza della scuola primaria, “alfabeto”, “grafia dell’italiano”, “interpunzione, segni grafici e paragrafematici”, “tempi verbali”, “grammatica e ampliamento del lessico” (pp. 38-39); questo elenco farebbe pensare più che a un testo di Indicazioni ad un indice per possibili libri di testo.

In generale si incrociano e si sovrappongono termini quali ‘contenuti’, ‘abilità’ e ‘metodologie’ che avrebbero bisogno di essere utilizzati come lessico specialistico. Nella stessa direzione di approssimazione terminologica è l’uso ripetuto di aggettivi come ‘intelligente’ ("Leggere testi che contengono idee intelligenti aiuta chi legge a diventare intelligente a sua volta.”) ‘buono’ ‘corretto vs. scorretto’ utilizzati in una gamma di contesti diversi: “Buona padronanza della lingua italiana”; “buona competenza linguistica”, “l’allievo deve fare attenzione alla buona comunicazione”; “leggere testi di buona qualità”; “(un libro) di buona fantascienza e di buon horror”; “scegliere i buoni libri”; comunicare il valore e il significato dello strumento linguistico e la necessità della correttezza”. Si sentirebbe il bisogno di ritornare ad utilizzare termini come ‘adeguatezza’, ‘efficacia comunicativa’, ‘contesto situazionale’, che trovano pochissimo posto invece in queste pagine.

Attenzione particolare va riservata poi ai Box presenti nel testo che non paiono essere dettati da alcun intento comune. Il Box1, Esempio di modulo interdisciplinare di apprendimento sembra appartenere più alla categoria delle “guide didattiche” allegate ai libri di testo, mentre il Box 2 “Suggerimenti metodologici didattici per i docenti” mescola utili riflessioni sui diversi modelli grammaticali utilizzati in contesto scolastico con un elenco di argomenti che anche in questo caso fa pensare a un indice di manuali scolastici.

Per quanto riguarda infine il Box 3, “Suggerimenti di possibili ibridazioni tecnologiche” esso è un modo superficiale di liquidare una questione culturalmente, pedagogicamente ed eticamente complessa quale quella delle tecnologie per l’apprendimento e dell’IA riconducendola ad un elenco di attività.

Dopo questa forse troppo lunga disamina delle caratteristiche testuali delle Nuove Indicazioni passiamo ora ad esaminare alcune delle scelte che caratterizzano specificamente le pagine relative all’italiano. Dal punto di vista terminologico saltano agli occhi alcune assenze: anzitutto quella di ‘educazione linguistica’, sia nella accezione ‘stretta’ di insegnamento della lingua italiana, sia in quella ‘larga’ di educazione alle lingue (italiano, altre lingue moderne e classiche, educazione al plurilinguismo). L’espressione compare una sola volta nella prima pagina (p.36) nella frase “L’educazione linguistica è compito dei docenti di tutte le discipline, etc., quasi identica a quella delle Indicazioni del 2012 “La complessità dell’educazione linguistica rende necessario che i docenti delle diverse discipline operino insieme e con l’insegnante di italiano etc.”. A prima vista questa esplicita ripresa terminologica e concettuale potrebbe essere letta come il più evidente segno di continuità con l’impianto complessivo delle Indicazioni del 2012. Purtroppo, così non è, non solo e non tanto perché si tratta dell’unica occorrenza all’interno delle pagine dedicate all’italiano ma perché è venuto meno l’impianto che sosteneva l’unitarietà di sguardo su ‘lingua materna, lingua di scolarizzazione e le lingue europee’. Questo assetto era alla base delle Indicazioni del 2012, dove il concetto di ‘educazione linguistica’ era frequentemente affiancato – o addirittura sostituito – da quello di ‘educazione plurilingue’, espressione, quest’ultima, anch’essa scomparsa dalla sezione delle Nuove Indicazioni dedicata all’italiano.

Al posto di questa visione complessiva abbiamo l’inserimento, fin dalla prima elementare della ‘Letteratura’ accanto alla ‘Lingua’ e un rapporto sbilanciato, a favore della prima, sia in termini di spazio fisico occupato all’interno del testo ma soprattutto nella ripartizione delle aree di pertinenza fra le due. Nella prima sezione a cui si è prima accennato, Perché si studia l’italiano” (p. 36), ad esempio, lo spazio riservato alla  ‘Lingua’ è di 311 parole, più di 100 in meno di ‘Letteratura’ (422 parole), ma cosa assai più grave è ciò che avviene nella sezione seguente (‘Finalità dell’insegnamento’) dove sotto l’etichetta ‘Letteratura’ sono finite, senza alcuna apparente motivazione, quelle che abbiamo imparato a indicare come ‘abilità linguistiche’: leggere, raccontare, dialogare, comprendere, scrivere, tutte quante scomparse dalla sezione ‘Lingua’ che ha come invece come obiettivi generali: “Acquisire in maniera sicura l’alfabetizzazione funzionale. Conoscere e usare la punteggiatura. Imparare parole nuove e riconoscere le parole. Riflettere sulla lingua che si usaAcquisire le necessarie conoscenze metalinguistiche” (p. 37). Perché il tutto sia più chiaro riportiamo, estrapolate dalla sezione ‘Letteratura’ alcuni esempi del travaso in questa area, senza che vi sia alcun riferimento né esplicito né implicito al testo letterario, di ambiti di intervento didattico che da cinquant’anni sono ormai riconosciute comeeducazione linguistica’ nei documenti ministeriali, nei programmi universitari, ma soprattutto nel fare scuola dei docenti.

Letteratura (p. 37)

 

Potremmo continuare a lungo con questa disamina dei rapporti fra ‘Lingua’ e ‘Letteratura’ ma vorremmo subito concentrarci sulle conseguenze che tutto questo potrebbe avere nella visione globale dell’insegnante: la prima è la marginalizzazione della didattica della produzione orale (ridotta a poco più che al sapere esporre un argomento studiato) insieme al ritorno in auge di qualcosa che sembra rassomigliare molto da vicino a un ever green della scuola italiana: il tema. Basta guardare alle ultime pagine della disciplina ‘Italiano’ in cui il punto di riferimento è la terza classe del primo ciclo. Ancora una volta nella sezione ‘Conoscenze’ ritroviamo la divisione fra ‘Lingua’ (369 parole) e ‘Letteratura’ (1079 parole). In questa seconda sezione fra tanto altro fra cui lunghi elenchi di letture da preferire (siamo sempre ai suggerimenti per chi deve stampare i nuovi manuali?) abbiamo due precise indicazioni relative allo “scrivere” e al parlare che si è trasformato in “studiare, esporre”. Ne citiamo qui solo l’attacco nel quale crediamo ognuno riconoscerà tipologie di testi che con molti sforzi generazioni di docenti hanno tentato di spodestare dal loro ruolo centrale all’interno delle scuole italiane.

“Scrivere. Alla lettura si affiancheranno esercizi di scrittura frequenti e il più possibile variati: gli studenti potranno scrivere della loro vita oppure prendere spunto da un problema di cui si è parlato in classe, o di cui parla la cronaca, o da un testo letterario, o da un semplice repertorio di ‘fonti’ fornito dal docente, e su questa base potranno produrre un testo argomentativo, un riassunto, un abstract costruito per punti. …..

Studiare, esporre. Nella secondaria di primo grado è opportuno che gli studenti imparino a studiare, e che quindi qualche ora di lezione venga spesa in vista di questo obiettivo: come si prendono appunti? Come si legge con la dovuta attenzione un testo? Soprattutto: come si organizza un’esposizione orale in classe? Parlare in pubblico di un argomento che si è studiato e che quindi si suppone noto, mentre i compagni e l’insegnante ascoltano” (p. 43)

Questa breve analisi si proponeva, anche a scanso di qualche semplificazione di cui siamo consapevoli, di fare emergere quello che è a nostro avviso il filo che lega apparenti tortuosità e sovrapposizioni tematiche, richiami a una terminologia rassicurante e cambiamenti di sguardi. Questo filo è ancora più evidente nella pagina che segue l’area dell’italiano. Non a caso la disciplina che segue è il Latino (Inglese e Seconda lingua comunitaria si trovano nella parte finale delle Nuove Indicazioni, mentre nelle Indicazioni del 2012 erano subito dopo l’Italiano). Il titoletto della disciplina è ‘Latino per l’educazione linguistica’. È lì che ricompare quella espressione ‘educazione linguistica’, ormai interamente svuotata di quel complesso di significati che in più di cinquanta anni generazioni diverse hanno costruito dentro e fuori le aule scolastiche.

 

Scrivono...

Mari D'Agostino Insegna ‘Lingue e società’ all’Università di Palermo dove coordina la Scuola di Lingua italiana per Stranieri e il Dottorato in “Migrazioni, Differenze, Giustizia Sociale”.

Maria Rosa Turrisi E’ stata Dirigente scolastica. Ha insegnato Linguistica italiana e didattica dell’italiano alla LUMSA (Palermo). Si occupa di formazione dei docenti nell’area della didattica dell’italiano e della valutazione.

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