Dal 7 luglio il percorso delle I.N. verso la formalizzazione ha compiuto un passo decisivo.
Nel Comunicato stampa ministeriale che allega e diffonde il documento sta scritto: “l’iter di adozione delle nuove Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione per quanto di competenza del Ministero si è concluso.”
Bisognerà guardare al testo non più come ad un’ipotesi, come tale aperta ad eventuali sviluppi, seppure in questo caso da subito apparsi manifestamente improbabili, ma come ad un documento destinato ad essere, in tempi brevi, uno dei cosiddetti “riferimenti normativi”. Questo cosa vuol dire, in buona sostanza? Vuol dire che va preso sul serio dalle scuole perché è produttore di effetti; ma vuol dire anche che senza l’azione di analisi/comprensione, interpretazione, “posa in opera” delle scuole è destinato a seguire la sorte di altri provvedimenti normativi, che si sono rivelati strumenti velleitari di conati “riformatori”, non di rado regressivi, persi nelle sabbie mobili delle routines scolastiche e sostanzialmente inerti.
Con questa postura, mi sono accinta alla lettura di un testo che in molt* abbiamo letto nelle diverse edizioni di volta in volta diffuse, sempre da fonti ufficiali ma comunque dichiaratamente in versione provvisoria. In questa veste sono state sottoposte all’attenzione delle scuole e degli insegnanti, dei soggetti culturali, professionali, della società civile nelle fasi della cosiddetta “consultazione” e del “dibattito pubblico”. Sulla natura e la reale portata di questi passaggi molto è stato detto ed osservato: ai destinatari diretti, ai soggetti interessati e coinvolti, è sembrata poco più che un’operazione di facciata, quando non lesiva della dignità e dell’autonomia di giudizio di chi è stato variamente interpellato. Da ultimo, il parere, obbligatorio ma non vincolante, reso il 27 giugno scorso dal CSPI, organo consultivo del Ministero. Nella formulazione che lo connota, al di là delle considerazioni di merito che legittimamente si possono esprimere, si è parlato di un parere non parere: reciprocamente, si può affermare a ragion veduta che il ministero ha deciso di (non)tenerne conto, se non con criteri davvero molto selettivi.
Ho dunque letto con la dovuta attenzione queste I.N. ormai definitive (in attesa del passaggio al Consiglio di Stato, per il prescritto parere) e prossime alla decretazione ministeriale. Posso dire, in una prima estrema sintesi, che ho trovato sostanziali conferme e qualche “novità”che, a mio parere, richiede un supplemento di vigilanza, per il suo tratto rivelatore. Delle prime, ovviamente, non parlo in questa sede, rinviando semmai a miei contributi e interventi apparsi dal mese di marzo in poi, in diversi contesti ed occasioni.
Più interessante, invece, seguire la pista degli “inediti” (delle soppressioni e degli inserimenti nel testo) e fare qualche considerazione sul perché siano stati inseriti e su come si prestino ad individuare ulteriormente i contorni dell’operazione politico-culturale nel suo insieme.
Il primo “emendamento” che ha catturato la mia attenzione contiene un richiamo, per me inequivocabile, ad un passaggio della parte discorsiva del “parere” formulato dal CSPI sul quale da subito avevo espresso le mie forti perplessità (per i cultori della materia, si veda il post che ho pubblicato su Facebook all’indomani della diffusione del parere…).
Vi si faceva infatti riferimento, tra l’altro, alle figure “cosiddette di gestione intermedia” (così nel testo) nell’attività organizzativo-didattica della scuola; nello specifico, collocate accanto al docente tutor e al docente orientatore (già contemplati nel testo delle I.N. oggetto della consultazione). La versione definitiva (pag. 9) apporta una modifica rispetto alla versione precedente, che per chiarezza riporto integralmente qui di seguito:
“Diventano così fondamentali, per la scuola secondaria di primo grado, sia il docente tutor sia il docente orientatore, nonché figure cosiddette di gestione intermedia, che sono a presidio dell’attività didattica e organizzativa delle scuole […]”.
L’integrazione/emendamento, che ho evidenziato in neretto, inserisce nello sviluppo della tematica specifica un elemento, a mio avviso, non pertinente, che riguarda per di più questioni da tempo dibattute, certo rilevanti, di sicuro controverse, e per più versi attinenti a materie di natura contrattuale. Questi tratti inducono a porsi parecchie domande sul senso e l’obiettivo dell’operazione di inserimento.
Nel lavoro di scandaglio dentro le pieghe del testo, ho potuto rintracciare un’ulteriore, significativa modifica rispetto alla versione precedente. In particolare, nel capitolo intitolato “Finalità della scuola dell’infanzia e delle scuole del primo ciclo di istruzione” (di assoluta rilevanza nel quadro della Premessa generale) troviamo questo importante enunciato:
“La libertà di insegnamento si realizza pienamente all’interno di una professionalità docente responsabile, guidata da vincoli deontologici chiari, tra cui la trasparenza valutativa, la collegialità e l’impegno per l’inclusione.”(pag. 12).
Niente da dire. Se non fosse che lo stesso enunciato nella versione precedente, elencando i “vincoli deontologici chiari” inseriva al primo posto “il rispetto del curricolo nazionale”. Formulazione che nel testo definitivo, come si può constatare, è scomparsa. Anche in questo caso, l’intervento emendativo suscita diversi interrogativi: perché è stata soppressa? Forse per l’esercizio di una certa “autotutela”, viste le critiche che da più parti sono state mosse all’idea stessa di “curricolo nazionale”, che, come è stato fatto notare a questo proposito, confligge con il quadro giuridico-istituzionale dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, non meno che con il principio costituzionalmente sancito della libertà di insegnamento?
In altri termini: che ne è del “curricolo nazionale”, e perché sembra finito nel “rimosso” dell’operazione “I.N. 2025”? Una domanda che trae ulteriore motivazione, se si considera, come un combinato disposto, un altro passaggio cruciale del documento. Si tratta del capitolo dal titolo “L’organizzazione del curricolo di scuola”: già nelle mie prime analisi del documento, all’indomani della sua diffusione (12 marzo) presentate in vari contesti (comunicazioni sui social, articoli, interventi) invitavo a leggere questa parte con la massima attenzione, per il rilievo strategico che evidenziava.
Nella versione definitiva, questa sezione mantiene intatta la sua struttura, l’esposizione dei temi trattati, l’apparato iconografico (schema n. 1 pag. 22). In questo schema, nello specifico, è rappresentata una connotazione fondamentale per intendere le I.N. 2025: è il riquadro che declina il curricolo stesso, anche con esplicito riferimento alle norme. Questa è l’articolazione: obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni (prescrittivi come da D.P.R. 275/1999); competenze attese coerenti rispetto alle competenze chiave- D.M. 14/2024; conoscenze. E’ mio il neretto nel testo.
Segue una enunciazione che in entrambe le versioni (quella di giugno e questa definitiva) risulta particolarmente articolata, a riprova di quanto sia considerata rilevante dagli estensori del documento. Qui troviamo una riformulazione che non è semplicemente emendativa, ma frutto di una vera e propria rielaborazione. Vale la pena, nel lavoro di scandaglio che propongo, riportare integralmente le due versioni; perché ci portano nel cuore stesso del curricolo. Ho evidenziato in neretto quelli che mi sembrano gli elementi essenziali del testo. Nella precedente edizione, si legge:
“[…]Secondo questa prospettiva insegnanti e dirigenti scolastici sono i “costruttori” e i realizzatori di un “curricolo reale, vissuto, frutto del necessario connubio – in virtù delle proprie conoscenze pratiche personali – fra Indicazioni (curricolo formale), curricolo familiare e comunitario (curricolo nascosto o implicito) portato in classe dagli studenti, e curricolo di istituto (frutto delle scelte della scuola che calibra la sua offerta a seconda dei contesti) […]”
Nella versione definitiva del 7 luglio troviamo questa nuova formulazione:
“[…]“[…]Secondo questa prospettiva insegnanti e dirigenti scolastici sono i “costruttori” e i realizzatori di un “curricolo reale, vissuto, frutto del necessario connubio – in virtù delle proprie conoscenze pratiche personali- fra quanto suggerito nelle Indicazioni nazionali, in termini di conoscenze, abilità e competenze, e quanto chiesto dalla comunità e dai contesti, e in vista del curricolo di istituto ((frutto delle scelte della scuola che calibra la sua offerta a seconda dei contesti) […].”
La lettura mirata dei due passi porta ad una osservazione difficilmente contestabile. In questa versione definitiva mi sembra superata l’idea delle Indicazioni intese come “Curricolo nazionale”, che in modo illegittimo relegava le istituzioni scolastiche a “cinghia di trasmissione” delle direttive centralistiche (con una regressione al quadro legislativo e culturale antecedente all’autonomia scolastica) e riduceva la comunità professionale dei docenti a “braccio secolare” delle norme, destituita della sua funzione culturale di interprete responsabile delle stesse norme. Le espressioni che ho evidenziato ne sono il segnale. E’ scomparsa, insomma, quella nefasta e molto discutibile tripartizione in “curricolo formale” (quello delle Indicazioni) “curricolo implicito” (assai spericolata trasposizione di un importante concetto pedagogico della scuola dell’Infanzia in tutt’altro contesto di significato) e “curricolo di istituto” (ambito residuale e fortemente esecutivo riservato alla progettazione di scuola).
Forse non è quello che gli estensori del testo, e i loro committenti politici, avrebbero voluto. Forse ha contato più di quanto gli uni e gli altri vogliano o possano ammettere l’azione di contrasto e di resilienza organizzata che è venuta dalle scuole, dall’associazionismo professionale e civico, dai soggetti di rappresentanza del mondo della scuola, dell’università e della cultura. Resta in ogni caso, a trattenerci saldamente nella mobilitazione e nella vigilanza attiva, un documento che si avvia a diventare norma, che conferma e mantiene nel suo impianto e in tutte le sue parti un’alta densità di autoritarismo, una visione suprematista dell’idea stessa di Occidente, avulsa dalle stesse radici storiche che si pretende di difendere. Ma la scuola ridotta ad una “fabbrica di consenso” non potrebbe sopravvivere alla liquidazione del suo mandato costituzionale: non c’è altra via che la resistenza attiva, la ricerca delle vie strategiche per rispondere all’azione di smantellamento di cui le I.N.2025 sono un segnale più che inquietante, sono i prodromi.
Pensiamoci: libertà di insegnamento, autonomia scolastica, curricolo di istituto non sono formule vuote, sono gli strumenti disponibili per uscire dalla rassegnazione, così funzionale ad un governo illiberale. Si possono far vivere in azioni coordinate, collettive. Non è che l’inizio, anche se può sembrare la fine.