Il mio sintetico contributo parte da una considerazione che mi sembra inoppugnabile: gli insegnanti rappresentano il vero volto della scuola tanto che, quando pensiamo alla scuola, pensiamo all’esperienza che abbiamo fatto con gli insegnanti che abbiamo avuto e che hanno, o hanno avuto, i nostri figli. Se questa è un’affermazione naïf, quella che segue è, invece, un’affermazione che attinge alle teorie organizzative, le quali considerano le persone – anzi, gli attori organizzativi come ci ha insegnato Michel Crozier [1] - le risorse più importanti per il buon funzionamento di qualsiasi impresa, pubblica o privata che sia. A scuola è del tutto evidente che sono proprio gli insegnanti a decidere il destino delle riforme, specie quelle riguardanti i cosiddetti programmi e che, dall’attribuzione dell’autonomia alle scuole (DPR 275/99), sono normativamente denominate Indicazioni Nazionali o Linee Guida; queste, poi, danno vita al curricolo d’istituto, la cui elaborazione, com’è arcinoto, spetta alle singole scuole. Nonostante il curricolo d’istituto sia la parte centrale del PTOF, con la funzione di garantire a tutti gli alunni un’offerta formativa equa, in realtà ogni insegnante si sente libero di interpretarlo a seconda della sua formazione professionale. E, infatti, c’è chi continua a praticare didattiche e metodologie decisamente tradizionali e c’è chi riesce a trovare spazi per innovare con spirito di ricerca e sperimentazione. Entrambi questi comportamenti sono motivati professionalmente, in quanto è tipico di tutte le professioni l’agire con una certa dose di discrezionalità, ma in scienza e coscienza, ovvero avvalendosi del sapere tecnico e nell’ambito dell’etica normativamente e deontologicamente fondata.
Questa premessa ci induce a pensare che le indicazioni 2025- così come codificate nella bozza resa pubblica o in una variante definitiva – potrebbero essere liberamente interpretate dai docenti, protetti dalle pareti delle proprie aule e laboratori, vere custodi della libertà di insegnamento. Del resto, chi fa formazione nelle nostre scuole, per promuovere la progettazione curriculare per competenze, ha consapevolezza del fatto che le Indicazioni Nazionali del 2012, oltre ad essere poco conosciute, sono anche poco praticate. E tuttavia questo stato di cose potrebbe, paradossalmente, tramutarsi in un fattore positivo, sia perché molti docenti le stanno (ri)leggendo proprio in questi giorni, sia perché molti insegnanti sono gelosissimi custodi della propria libertà professionale. Lo sono gli insegnanti “statici”, ovvero coloro che impostano le proprie pratiche professionali perpetuando rassicuranti routine al di là della loro efficacia; lo sono gli insegnanti “dinamici”, ovvero coloro che, per formazione personale e per sensibilità alle dinamiche sociali e culturali in continua evoluzione, superando ostacoli, tracciano nuovi sentieri didattici e metodologici.
Questo modesto ragionamento dovrebbe far capire ai ministri di turno che le nostre scuole -ed era così anche prima dell’attribuzione dell’autonomia scolastica- sono organizzazioni “a legami deboli” (connessioni lasche) che determinano, come ci ha insegnato K. Weick [2] una modalità organizzativa ad elevata e specifica complessità, tipica di organizzazioni che debbono conciliare la dimensione burocratica con la dimensione professionale. Ne consegue il debole legame tra la prima e la seconda dimensione, il conseguente incerto destino di tutte le riforme e soprattutto di quelle che riguardano il come e il che cosa insegnare. Se l’organizzazione burocratica della scuola legittima le innovazioni “top-down”, attraverso leggi di riforma e successiva implementazione amministrativa, la dimensione professionale ci mette di fronte ad una rete di migliaia di scuole che possiamo metaforicamente rappresentare come vere e proprie “cristallerie”, piene di tesori da curare con grande con grande rispetto.
Se si sposta questa analisi sul piano politico, dobbiamo sottolineare il fatto che l’operazione di elaborazione delle indicazioni nazionali di tutti i gradi di scuola, a cominciare dal ciclo di base, ha una natura che potremmo definire di sostituzione culturale, in quanto sradica, senza nessuna motivazione proveniente dal mondo della ricerca, tutti i valori, principi e criteri ai quali tutti gli insegnanti si sono ispirati in questi ultimi decenni. Sostituzione che avviene con un linguaggio che, anche quando ricalca quello delle indicazioni del 2012, lo svuota, lo destruttura e lo svilisce a livello di giaculatorie senza senso. E questo avviene non per una supposta incapacità degli esperti nominati da Valditara, bensì per un preciso disegno politico che questo governo sta portando avanti in tutti i settori della società, utilizzando anzitutto i media . La scuola, in quanto delegata ad istruire e ad educare le nuove generazioni, ben si presta a funzionare da “apparato ideologico di stato”, come già ci suggeriva nel lontano 1970 Louis Althusser [3].
Dunque, le nuove indicazioni nazionali – nuove come data ma vecchie di cento anni – ci proiettano in una dimensione distopica, prodotta con una narrazione suggestiva, potente e pervasiva basata su un preciso asse ideologico: gli insegnanti hanno l’alto compito di formare il cittadino made in Italy, con una istruzione autarchica, in un orizzonte strettamente italiano e occidentale. Gli insegnanti sono chiamati a svolgere questa funzione plasmatrice che richiede una vera e propria torsione professionale e culturale, mai vista dal secondo dopoguerra in poi.
E’ un’operazione possibile? Innanzitutto, ricordiamo a tutti, ministri ed esperti compresi, che gli insegnanti sono la più grande riserva intellettuale e democratica del nostro paese. Essere democratici non significa essere permissivi, clementi e buonisti; significa, al contrario, essere rigorosi e multi-prospettici, perché la formazione del pensiero critico non si ottiene semplificando la realtà, ma dando a tutti gli strumenti per navigare nella complessità. E questo formidabile compito si pone come una sfida continua per il docente, controcorrente in una società come la nostra che orienta, sistematicamente ed intenzionalmente, pensieri e opinioni, comportamenti ed azioni di tutti noi adulti e bambini, inquinando la realtà sociale con informazioni tendenziose, false, palesemente manipolatorie.
Emerge, con tutta evidenza, una scuola chiusa dentro un “piccolo mondo antico”, quasi una bolla in cui l’esperienza di apprendimento consiste nell’introiezione mnemonica di discipline intese, incredibilmente, come un insieme di regole, il cui rispetto si dovrebbe tradurre automaticamente in una disciplina del comportamento. Dunque, quando si parla, in poche righe sparse qua è la e in due specifici ed asfittici paragrafi – uno nella premessa alla scuola dell’infanzia e un altro in quella della scuola del primo ciclo – non si parla mai delle competenze disciplinari del docente, probabilmente perché l’estensore della bozza teme una preparazione di alto livello, la sola in grado di fornire ai giovani gli epistemi della conoscenza i cui germi vitali sono la curiosità e la creatività, fondative di quelle competenze euristiche ed ermeneutiche, che consentono di continuare ad apprendere per tutta la vita e di difendersi dalle insidie dell’informazione a ruota libera che pervade tutti i livellidella nostra realtà quotidiana.
E’ noto che le vestali [4] nel culto dei romani, erano sacerdotesse cui veniva affidata la custodia del fuoco sacro a tutela del «focolare» domestico e pubblico, ossia della famiglia e dello stato. Di quest’ultimo aspetto abbiamo appena accennato, anche se è doveroso rimandare alla lettura del testo dedicato al curricolo di storia che, svilisce questa disciplina rubricandola a storytelling di vicende più o meno reali, in grado di creare un immaginario del tutto fuorviante.
Nel paragrafo denominato “Insegnante professionista, e anche Maestro” al docente si chiede di essere “il volano del desiderio di apprendere di un allievo … modello, che sa stimolarlo in tale direzione…esempio di un maestro” che attesta “in aula, in prima persona, una passione per quanto va insegnando perché, in aula, nemo dat quod non habet. Nessuno dei grandi maestri della storia, da Dante a San Francesco, da Michelangelo a Montessori, ha mai insegnato nulla se non attraverso la propria viva testimonianza”. Anche qui c’è sovrabbondanza di citazioni latine, quasi a voler rivendicare una nobile paternità e così chiudiamo con una citazione che vorrebbe impreziosire il discorso pedagogico sul Maestro - maxima debetur puero: maxima debetur magistro reverentia.- senza nulla dire delle competenze professionali. Gli estensori avrebbero potuto semplicemente riportare l’art. 42 del Contratto nazionale di lavoro che contempla tutte le sfaccettature di un profilo professionale dei docenti “costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell'esperienza didattica, l'attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica”. Mi rendo conto che l’argomento richiederebbe approfondamenti più puntuali ed articolati, cosa che, tuttavia, io considero tempo perso perché tutto il documento è permeato di una ideologia non condivisibile da docenti che sono definiti “professionisti” nei testi normativi.
Come possono resistere gli insegnanti alla tentazione personale di conformarsi al nuovo che avanza, indotto da una prevedibile ed obbligatoria formazione a tappeto, una pressione sui dirigenti scolastici e un sistematico controllo ispettivo? La risposta è una sola: continuare a formarsi per corroborare la nostra professionalità, ispirando tutte le nostre azioni professionali all’art. 3 della Costituzione italiana.
[1] Crozier M., Il fenomeno burocratico, ETAS Libri, 1978
[2] Weick K., La scuola come organizzazione a legami deboli, in Zan S., “Logiche di azione organizzativa”, 1988, Il Mulino
[3] Althusser L., Ideologia ed apparati ideologici di Stato, in Althusser L., “Sull’ideologia”, 1976, Dedalo Libri
[4] Barbagli M., Dei M.,” Le vestali della classe media”1972, Il Mulino