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24/04/2025

Il “maestro” di storie

di Rosanna Angelelli

Da decenni esperti di didattica della storia hanno riflettuto sulla necessità di proporre un insegnamento della disciplina che non si basi su un modello tradizionale trasmissivo e passivo, che non si serva esclusivamente della lezione frontale, della consultazione prevalente del manuale e della promozione di uno studio individuale da parte degli alunni, con pochissimo ricorso all’esame delle fonti e alla metodologia laboratoriale di ricerca. Le Indicazioni 2012 intendevano valorizzare questa impostazione, sebbene non se ne siano curati quegli approfondimenti formativi necessari agli insegnanti per migliorare la qualità didattica e rendere più efficaci i percorsi di ricerca-azione.

 Nel ventennio berlusconiano l’insegnamento della storia è stato di fatto negletto nei suoi possibili rinnovamenti teorici e metodologici, al punto che il tema di storia è scomparso dalle prove scritte degli Esami di Stato, e tante questioni sono rimaste aperte sulla didattica di una disciplina che continua a essere impartita solo oralmente, così come è raro che se ne chieda un rinforzo o un recupero per quegli alunni che incontrino difficoltà ad apprenderla. In questo modo, tante sono le domande che ci si continua a porre sui suoi possibili percorsi: quale tipo di narrazioni è meglio scegliere (microstorie, grandi eventi, fenomeni politico sociali, fenomeni di costume)? E con quali periodizzazioni (iniziare dalla storia contemporanea o dalla così detta preistoria, oppure andare avanti per concetti, o sulla base di quadri culturali)? O da quali canali prendere in prestito i dati (dalle fonti scritte, da quelle orali, dai mass media)? E poiché nella scuola pubblica italiana l’intento formativo è strettamente connesso con quello istruttivo, tra le finalità della storia si finisce per evidenziare un obbiettivo pedagogico-civile formulato in un modo ancora caro all’idealismo gentiliano, che privilegiava lo studio del passato rispetto alla contemporaneità, infarcendo il passato di tante e tali periodizzazioni che ben difficilmente si arriva tuttora a considerare in classe  i fatti della II guerra mondiale. Anzi, si fa cadere lo studente in una vistosa contraddizione formativa (ignorare il proprio presente) e peggio ancora in una anacronistica precettistica, specie se passeranno i provvedimenti dell’attuale Ministro del Mim.

Infatti, da una parte si vorrebbe plasmare l’alunno della scuola dell’obbligo su un profilo di cittadinanza in erba disciplinato, laborioso e responsabile, aggiornato su certi argomenti della contemporaneità (per esempio, le questioni ambientali, di genere, o il pacifismo, o la lotta alla illegalità) comunque dettagliate dall’alto dal Ministero (ci riferiamo alle Linee Guida per l’educazione civica, che si sono affrettate a prescrivere taluni temi e percorsi, frenando la libertà dell’Autonomia scolastica su scelte diverse); dall’altra, gli si vorrebbe predisporre, sin dalle prime classi della primaria, un retorico bagaglio di memorie e di exempla leggendari remoti,  da cui trarre alimento  per la costruzione di una presunta anacronistica e nazionalistica cittadinanza “all’occidentale”.

Come il giovanissimo potrebbe districarsi da questa contraddizione? Non vediamo facili vie d’uscita oltre alla consolidata ipocrisia. Vale a dire, a scuola, lo studente impara a riverbalizzare ciò che il maestro e i sussidi didattici, tra cui i manuali sempre più bulimici, gli presentano; a casa, poi, egli approfitta dei sussidi della rete, che gli dà l’illusione dell’effetto di realtà, togliendogli anche la fatica di scegliere e sintetizzare, del “dirlo con parole proprie” e di cercare di elaborare un pensiero riflessivo personale.

Questa sembra essere la reazione al modo alquanto spersonalizzato e moralistico con cui oggi si rischia di continuare a insegnare la storia. Si tende a considerare la contemporaneità troppo immersa nella complessità delle cronache per poterne parlare in modo esaustivo e “non fazioso”. É troppo difficile imbrigliarla in una interpretazione sistemica e “serena”, con le sue contraddizioni e il concorso di cause sfuggenti. Il passato, invece, è più distante e per questo meno “caldo”, tra l’altro spesso cristallizzato in una spiegazione canonica quasi definitiva. É allora meglio modellare una identità civile sotto l’influenza e la guida di qualche auctoritas (intellettuale o politico che sia), magari da tempo morta e sepolta ma in grado di imbrigliare un giovanissimo entro lo schema educativo di valori “tradizionali” consolidati. E qui sorge il paradosso più clamoroso: si vorrebbe raggiungere questo velleitario ritorno ai buoni tempi che furono attraverso una disciplina che, avendo a che fare con la fluidità del tempo e dello spazio, continua a costruirsi su ipotesi interpretative complesse, e a ricercare percorsi di causa-effetto spesso inafferrabili. Tanto più che, se la storia riflette i passaggi fluidi dell’io-mondo, è giusto chiedersi di quale rappresentazione del mondo si tratti a scuola: lo storico è in relazione con il mondo che riesce a percepire, successivamente il maestro lo è in modo soggettivo con lo storico, infine lo studente è in relazione con il maestro, che alla fine valuta qualità e congruenza, ma siamo a un buon terzo livello di un apprendimento gerarchico! 

Partire dalle "piccole" storie personali

Eppure la riflessione storica può servire a una emancipazione personale. Come scriveva la docente ricercatrice Gianna Di Caro (1992) “La storia serve a orientarsi nel tempo, a decentrarsi, a comprendere le relazioni, ad acquistare una consapevolezza metodologica di lettura e interpretazione della realtà”.

E per quanto riguarda il suo apprendimento a scuola osservava: “É importante, crediamo, dare ai giovani la possibilità di costruirsi questo orizzonte temporale per impedire che la vita si appiattisca interamente sul presente, rendendo arduo un lavoro di ripensamento di sé e della società umana all’interno di processi di cambiamento di cui è importante capire il senso e la direzione in termini aperti e problematici… È importante, ci sembra, che i giovani siano educati a vivere in un mondo dove la pluralità delle situazioni e delle scelte sia vista come equivalente delle possibilità di azione degli individui e dei vari soggetti”.

 Sono quindi motivazioni oltreché culturali, di ricerca di percorsi civili significativi, anelli di collegamento insieme con le altre discipline alla costruzione di un profilo di cittadinanza democratica, concetto questo ampiamente delineato da Mario Ambel et alii, 2020. E corrediamo queste considerazioni con il giudizio sintetico delle Indicazioni 2012:

«…Lo studio della storia, insieme alla memoria delle generazioni viventi, alla percezione del presente e alla visione del futuro, contribuisce a formare la coscienza storica dei cittadini e li motiva al senso di responsabilità nei confronti del patrimonio e dei beni comuni…»

Abbiamo messo in grassetto la parola coscienza storica per evidenziare due sue componenti fondamentali nella realizzazione dell’apprendimento “storico” a scuola: una percezione fisica della realtà; una conoscenza rielaborata, riflessiva e potenzialmente responsabile di certe azioni e di certi atteggiamenti dell’individuo che apprende. Nella buona sostanza, in questo processo di individuazione riflessiva personale (diverso da quello identitario, molto più rigido e selettivo) vale la presa d’atto del senso del titolo di una fortunata trasmissione culturale televisiva: “La storia siamo noi”. Un titolo molto efficace nella sua apparente banalità.

Nell’attuale complessità formativa, che, come abbiamo detto, produce poco sapere attivo, più conformismo e un adattamento imitativo più o meno consapevole, ci si è chiesto se si possa invitare un giovanissimo a diventare consapevole della plasticità che abita la sua vita. Come? Innanzitutto dandogli la libertà di porsi di fronte alla rielaborazione di certi tratti della sua pur breve storia personale (rispettandone sempre le eventuali riluttanze e i silenzi, talvolta più significativi delle parole) e poi invitandolo a reagire con osservazioni personali alle domande del maestro.

Purtroppo i famosi “pensierini”, su cui potrebbe cominciare la storia delle nostre consapevolezze bambine, spesso sono in partenza già carichi di banalità, di reticenze o di propositi di maniera. Questo perché? Perché i bambini capiscono con molta rapidità che significare la loro vita in un certo modo può ottenere approvazione ma anche demerito da parte dell’adulto. E poi a scuola c’è il voto a innalzare il conformismo!

Va chiarito allora che cosa vogliamo noi adulti dai nostri giovani: l’autenticità, l’esplicitazione, con il rischio che possa essere imbarazzante o dolorosa o monca, o la maniera rassicurante?

 Le Indicazioni per la scuola materna 2012 hanno delineato una fisionomia dell’infanzia molto ricca e plastica e descritto una identità infantile potenzialmente mobile e aperta.
Il piccolo già svolgerebbe una sua storia, imparando a riconoscere nel flusso del tempo la scansione delle azioni della quotidianità che lo riguardano, lo snodarsi delle sue relazioni entro spazi distinti e diversi, il senso delle occasioni comunicative incrociate con gli altri.
Il piccolo già possederebbe gli schemi mentali della descrizione  -altrimenti non potrebbe disegnare- e gli snodi concettuali della narrazione. (J. Bruner, 1996).

Diamo dunque ai bambini della primaria il tempo e l’opportunità di raccontarsi. La padronanza della lingua, anzi delle lingue di “madri e padri”, è il presupposto di partenza della densità espressiva con cui costruiamo in pensiero verbale la relazione personale con noi stessi. E da qui si può procedere con il transfer scolastico dell’educazione linguistica, che non può essere impartita al di fuori di un concreto contesto comunicativo, di una pragmatica esistenziale.
L’istruzione provvederà in seguito a sviluppare questi apprendimenti primitivi in concetti scientifici non sempre tra loro compatibili (L. S. Vygotskij, 1992).

La agevoliamo questa relazione a scuola? Direi proprio di no, o per lo meno con molta fatica e distinguo.

Partire dalla storia della classe

Innanzitutto va considerata la specifica fisionomia di un gruppo classe e delle singole individualità che lo costituiscono e animano. E dal momento che chi non sa è l’alunno, nella relazione pedagogica egli acquista la centralità rispetto all’attività didattica di quell’insegnante.

Che cosa dovrebbe fare l’insegnante di storia (o per meglio dire di storie) all’inizio del suo rapporto con quel/quei bambini? Innanzitutto dovrebbe avere chiara la consapevolezza che la sua materia si snoda attraverso una temporalità fluida in molteplici spazi, che per comodità di descrizione e di analisi insegniamo ai bambini a dividere in passato/presente/futuro. Quindi, d’accordo con l’insegnante di italiano andrebbero mostrati nell’ambito di una concreta situazione comunicativa gli indicatori temporali della lingua in uso, consapevole, tutto il team, che potrebbero esserci dei bambini in classe che ne hanno di diversi o dettagliati in modo differente o del tutto astratti da una precedente pratica di conversazione di gruppo. Non tutti i bambini si affacciano alla primaria avendo vissuto l’esperienza della scuola materna, non tutti i bambini parlano l’italiano come L1, alcuni potrebbero anche non conoscerlo per niente. Gli indicatori vanno compresi e utilizzati attraverso narrazioni orali sul vissuto (risulta che la categoria del “mentre” e del “poi” non è di così facile e immediata assimilazione per tutti). Invitati a raccontarsi su certi fatti di loro scelta, i bambini li potrebbero trasporre in recita e in disegno, distinguendo soggetti, ruoli, finalità e responsabilità, continuità e cambiamenti di azioni e intenzioni E poiché i fatti non avvengono in uno spazio siderale, ai bambini si insegnerà a individuare i luoghi, a descriverli, a disegnarli, fotografarli, ecc.  Si mostreranno loro le trasposizioni grafiche convenzionali di questi spazi, li si misureranno.   Ed essendo gli spazi pieni di “oggetti”, si insegnerà loro a considerarne le emergenze, a catalogarle, a datarle: qual è l’oggetto più antico con cui sei (stato) in contatto? Qual è il giocattolo più nuovo? Qual è la prova che ti permette di distinguere tra il ricordo di un fatto reale e una fantasia? ecc. Insomma, c’è una storia implicita, il cui senso deve essere organizzato dalla narrazione dei bambini, non dell’insegnante.

Quando in terza si arriva con questo bagaglio di consapevolezze, il bambino non dovrebbe avere difficoltà a relazionarsi con il mondo “diverso”, addirittura il preistorico, perché si è liberato dal pregiudizio che la storia appartenga sempre ad altri rispetto alla sia pur piccola storia del suo vissuto. Invece, la “preistoria” è in lui, e se la è raccontata con memorie cangianti, e potrà anche dare un valore temporale agli oggetti della sua quotidianità, potrà distinguerne la composizione, pensarli in termini di uso anche futuro, inventarne di nuovi, ecc. Potrà registrare queste esplorazioni mettendole per iscritto e imparando a distinguere i vari registri. Allora, chi è il maestro di storia? Intanto egli si mescola nell’attivazione di competenze linguistico scientifiche e tecniche con il collega di italiano, di matematica, di scienze, di disegno, di educazione fisica e, non fungendo da indottrinante ma presentandosi come un adulto che aiuta un bambino a saper “vedere il mondo”, a “percorrerlo” con curiosità, a “raccontarlo”, lui stesso avrà lavorato insieme con i bambini in classe in una serie di attività ad hoc. È chiaro che avrà dovuto scegliere attentamente i percorsi, avviare processi in base alla situazione dei bambini, di quei “suoi” bambini di “quella” classe, li avrà aiutati a costruire mappe significative e a confrontarle, verificando insieme a loro la varietà delle risposte in una valutazione senza voto numerico, passo dopo passo, in una spassionata auto-valutazione della qualità del proprio lavoro.

Stessa riflessione va fatta per il I anno della scuola secondaria di I grado, dove l’adolescente dovrebbe arrivare con un certo bagaglio di pre-conoscenze. Dovrebbe cioè essere consapevole che alla narrazione storica (che non è né una favola né un raccontino schematico) si arriva dopo una ricerca di fatti attraverso una grande qualità di fonti e di dati, di cui l’esposizione dovrà essere chiara e scorrevole. 

Esplorazione della realtà e memoria dei fatti sono dunque due ingredienti importanti della ricerca storica che, quando intende essere rigorosa, costruisce percorsi di senso su vari oggetti di prova, e poi li racconta in modo efficace e suggestivo, come faceva il logografo Erodoto e continuano a farlo gli storici anche oggi.

Approssimazioni espressive di storie ben confezionate? Non lo credo, perché esiste una onestà intellettuale in ogni ricercatore/viaggiatore/ interprete, nella fattispecie in ciascuno di noi che fa la storia “insieme con” e “dentro un”. Essa è guidata da un detto dell’altro/con l’altro che non proviene né dalla colonizzazione delle idee, né dall’assimilazione dell’interpretazione più diffusa ma da una interazione costruttiva e attenta, che ricerca e ascolta, prima di dire “so per certo che” o “tutti sanno che” o “ho trovato la vera causa di”. Le nostre costruzioni di senso non si nutrono solo di solipsismo o di pure fantasie o della volontà di potenza, ma della curiosità dello scambio tra noi e la pluralità, solo all’apparenza diversa e autonoma, del nostro sentire e raccontarci come esseri umani. E nell’ambito dei saperi l’altro da educare non va “ammaestrato”, vale a dire imbonito, minacciato, raggirato, ma istruito con notizie ed esempi il più possibile ampi e comprovati. Non esistono Oriente e Occidente né nella nostra coscienza di essere potenziali cittadini del mondo, né, e soprattutto, nella nostra storia evolutiva. E se si vogliono “cambiare le carte in tavola” del gioco della vita, se ne deve dare una giustificazione il più possibile comprovata, non subdola, né sopraffattoria, senza servirsi strumentalmente delle memorie condivise caricandole di valori etici e ideologici assoluti.
«… i temi della memoria, dell’identità e delle radici hanno fortemente caratterizzato il discorso pubblico e dei media sulla storia. […] Un insegnamento che promuova la padronanza degli strumenti critici permette di evitare che la storia venga usata strumentalmente, in modo improprio […] sarà anche in grado di suscitare il dialogo tra studenti sulle differenze.» (Bevilacqua, 2007)

Per nostra sfortuna la storia non è maestra di vita, anche se con il permanere relativo di certi suoi fenomeni (sempre documentabili e documentati) si possono individuare delle tendenze significative a sostegno di prudenti generalizzazioni. Né il suo studio può costituire un percorso esemplare per finalità educative ed ideologiche, che facciano prevalere una cultura rispetto a un’altra, un popolo rispetto a un altro.
 Il fatto di avere insegnato storia antica non mi ha certo protetta da questo rischio, perché un approccio viziato dall’autorità di uno storico e dal pregiudizio sull’esistenza di un canone immodificabile di lettura può compromettere la ricostruzione di qualsiasi epoca. Pensiamo allo stereotipo sulla democrazia che avrebbe avuto un suo precedente di nascita ad Atene, ancora vivo e usato come base per dare autorevolezza alla democrazia moderna, anch’essa una categoria istituzionale estremamente complicata e differenziata, tanto complessa da volerla semplificare o peggio ancora soffocare.

 

Bibliografia

Ambel, M. (a cura di), Una scuola per la cittadinanza, PM, 2020.

Bevilacqua, P., L'utilità della storia, Il passato e gli altri mondi possibili, Donzelli, 2007.

Bloch, M., Apologia della storia, Einaudi, 1998.

Bodei, R., Se la storia ha un senso, Moretti & Vitali, 1997.

Bruner, J., La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, 1992.

Brusa, A., Il curricolo verticale di storia nella scuola di base. Problemi, contenuti e metodi, pdf, Bari, 2014.

Id,  Editoriale di storia, Palumbo, pdf, 2018.

Di Caro, G., Insegnare storia, la disciplina, l’apprendimento, il metodo, Franco Angeli, 1992.

De Luna, G., La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, La Nuova Italia, 2001.

Koselleck, R., Il futuro passato, Marietti, 1981.

Le Goff, J., Storia e memoria, Einaudi, 1986.

Ricoeur, P., Tempo e racconto, Jaca Book, 1986-1988.

 id, La memoria, la storia, l’oblio, (2000), Cortina, 2004.

Vygotskij, L. S., Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, Laterza, 1990.

 

Scrive...

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".

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