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25/03/2025

La scuola dell'infanzia nelle Indicazioni 2025

di Antonella Bruzzo

Prima di addentrarmi in una prima analisi della sezione del documento riguardante la scuola dell’Infanzia voglio riportare alcune considerazioni più generali; sarebbe infatti riduttivo e fuorviante considerarne una parte senza collocarla nel quadro dell’intera bozza e dei significati che sottende.

La prima cosa che colpisce è il titolo, non Indicazioni nazionali, ma Nuove Indicazioni, già su questo viene da interrogarsi; trapela da tutto il testo una forte centratura/chiusura sulla cultura, la pedagogia, la didattica dello stato-nazione. Perché, allora, non nazionali? Una svista? Una possibile apertura al regionalismo?  E poi la scomparsa grave di “per il curricolo” che costituiva un chiaro riferimento a quel processo di costruzione collettiva all’interno della comunità scolastica, a livello d’Istituto, di plesso, di classe, di sezione attraverso cui sviluppare la ricerca permanente, il continuo riflettere sulla didattica, sull’ambiente d’apprendimento, sugli aspetti da migliorare e innovare. E poi quel “Materiali per il dibattito pubblico”, dibattito che dovrebbe essere assolutamente ineludibile, ma prevedibilmente avverrà in modo fasullo viste le modalità di consultazione attivate finora. Ne sono esempi le audizioni, una all’inizio dei lavori della commissione e quella recente, il citato e inesistente, o per lo meno molto ridotto e parziale, confronto con “3 tipologie di esperti” tra cui “esperti dell’associazionismo professionale del mondo della scuola e del MIM (dirigenti tecnici del MIM, reti di scuole, consulte di studenti, associazioni di insegnanti e di dirigenti scolastici, sindacati, forum famiglie”), il questionario “chiuso” inviato in questi giorni alle scuole.

Inoltre, a una prima analisi e lettura del testo colpisce la dissonanza con quel “Nuove” contenuto nel titolo, un aggettivo che dovrebbe aprire a una evoluzione, a novità migliorative, mentre i contenuti, e anche la forma, riportano indietro in un processo involutivo, di arretramento da molti punti di vista. Colpisce l’abbondanza di contraddizioni, di aspetti ambigui e sarà necessaria una riflessione, un’attenta e approfondita analisi per esplicitarli, evidenziarli, smontarli, in un’operazione di “disambiguamento” che sveli le vere intenzioni e le conseguenti gravi ricadute che questo documento comporta per la scuola e non solo. Colpisce questo evidente e grave regresso dal modello della complessità al modello della linearità, della semplificazione. Elenco, di seguito, sinteticamente alcune questioni. Come si può parlare di protagonismo dello studente e al contempo esaltare la figura del Maestro magis (un po’ da libro Cuore) che si erge in cattedra, “volano del desiderio di apprendere dello studente”? Quale nesso con l’ambiente di apprendimento e con i delicati e complessi processi di insegnamento-apprendimento? Che senso assume la parola libertà se non è strettamente connessa a uguaglianza di opportunità, a equità? Che ricadute può avere l’idea di persona fuori dalla prospettiva del riconoscimento e della valorizzazione delle diverse identità in un contesto di relazioni, delle diverse storie che spesso hanno radici in vari paesi del mondo e costituiscono una grande ricchezza per tutti e tutte? Come si può appiattire tutto sui “talenti” e sulla “personalizzazione” senza mai neanche nominare l’individualizzazione? Come si coniuga questo con l’idea di inclusione? E come si può analizzare in modo così riduttivo il contesto sociale, la delicatezza e importanza dei rapporti con le famiglie risolvendo tutto a colpi di “Patti di corresponsabilità”, in una visione che sembra un po’ da Mulino bianco? Si può continuare a lungo, ma veniamo alla parte sulla scuola dell’Infanzia.

Chi l’ha elaborata ha avuto l’accortezza di mantenere alcuni principi importanti e condivisibili, ma il riadattamento è non solo peggiorativo rispetto al testo delle Indicazioni 2012, vi è anche un ribaltamento sottile rispetto a questioni fondamentali e questo rende la questione ancora più ambigua.

Nella parte iniziale è riconosciuto il ruolo strategico della scuola dell’infanzia come primo segmento del sistema educativo nazionale di istruzione e formazione, ordine di scuola con una propria identità pedagogica ed organizzativa rivolta a bambine e bambini in età compresa fra 3 e 6 anni, si nomina il Sistema integrato 0-6, si cita il Sistema europeo di educazione e cura della prima infanzia (ECEC, Early Childhood Education and Care), si fa un cenno alle Linee pedagogiche e con questi riferimenti qualcuno si metterà il cuore in pace. Ma è importante leggere tra le righe per ricostruire il quadro che emerge sin dalla premessa e dall’impianto generale della bozza.

Innanzitutto il curricolo, i campi d’esperienza, le discipline. Si accenna in alcune parti del testo al curricolo verticale, ma la prospettiva è ben lontana dall’idea di curricolo come cuore del Piano dell’Offerta Formativa, come fulcro della ricerca didattico-educativa e ancor di più dall’idea di curricolo evolutivo. Manca qualsiasi riferimento al raccordo con i servizi educativi 0-3, alla continuità di un percorso che inizia a 0 anni, agli Orientamenti per i servizi educativi. Si nomina la continuità tra scuola dell’Infanzia e segmenti scolastici successivi, ma resta un “bel dire” ed è evidente, anche nella forma del testo, una frattura tra la sezione dedicata alla scuola dell’infanzia e la sezione riferita alle discipline per la scuola primaria e secondaria di primo grado. La bozza è attraversata dall’idea lineare della sequenzialità e trasmissività delle conoscenze e dei saperi con un evidente orientamento al disciplinarismo. Viene, dunque, da chiedersi se nel paragrafo “Una visione concreta di infanzia” l’espressione “germinazione delle successive conoscenze disciplinari” apra in qualche modo al rischio del predisciplinarismo.  Anche l’impianto dei campi d’esperienza risulta, a una prima lettura, farraginoso e l’aver introdotto i suggerimenti metodologici, un po’ raffazzonati, dà l’idea della distanza in senso tristemente peggiorativo da un punto di vista pedagogico e didattico, rispetto ai documenti precedenti a partire dagli Orientamenti ’91. Sarà importante un’analisi dettagliata dei diversi campi d’esperienza per evidenziarne contraddizioni e limiti. Nella parte della premessa dedicata al curricolo, si distingue tra curricolo formale (costituito dalle Indicazioni nazionali, una sorta di “programmazione” prescrittiva dall’alto), curricolo d’Istituto e curricolo implicito riferendosi in modo improprio al ‘curricolo familiare e comunitario’. Soprattutto chi opera nei servizi educativi 0-3 e nelle scuole dell’infanzia noterà questo travisamento sapendo bene l’importanza del curricolo implicito o curricolo del quotidiano (come definito nelle Linee pedagogiche) costituito da quei fondamentali mediatori del progetto educativo quali: la predisposizione degli spazi, dei tempi, dei materiali, l’articolazione della vita di relazione, ecc., aspetti peraltro fondamentali anche nei successivi segmenti scolastici.

A proposito di bambini e bambine si parla di puerocentrismo, ma vi sono alcune sfumature che indicano un’idea diversa dal protagonismo attivo di bambini e bambine. Ad es. compare più volte l’espressione guidare: “Bambine e bambini nella scuola dell’infanzia sono guidati a conoscere e a manifestare le loro potenzialità”” Un ruolo di guida educativa nei confronti delle bambine e dei bambini” (riferendosi al profilo professionale dell’insegnante)” “...attività intenzionalmente finalizzate a guidare bambine e bambini”. Ora il guidare può avere un’accezione positiva, ma può anche indicare in qualche modo una tendenza direttiva molto diversa dalla prospettiva così ben espressa dalle linee pedagogiche: “Il motore dell’apprendimento sta nel bambino stesso, ma promuoverlo e sostenerlo è il grande compito che spetta all’adulto”. Al centro della progettualità dovrebbe esserci l’iniziativa di bambini/e, il loro incontro con i sistemi simbolico-culturali, con i linguaggi della cultura e dell’arte che l’adulto con una “regia” attenta e competente dovrebbe promuovere favorendo l’arricchimento e l’evoluzione delle loro esperienze, cosa ben diversa dal guidare.

Nel paragrafo riguardante il gioco c’è una stonatura quasi impercettibile dove si afferma che: “La promozione del gioco nelle sue diverse forme (gioco simbolico, di finzione, di immaginazione, di rappresentazione, di identificazione; gioco strutturato, non strutturato, di gruppo, ecc.) attiva nelle bambine e nei bambini della scuola dell’infanzia processi di manipolazione della realtà sul duplice piano materiale e simbolico, di autocomprensione emotiva, di elaborazione di una propria teoria della mente, ecc. ecc.” Sembra che sia la promozione del gioco da parte dell’adulto ad attivare tali processi e non che il gioco sia, come ben esprimono le linee pedagogiche, una condotta spontanea, scelta e sviluppata liberamente (che non si può imporre), che è finalizzata solo a sé stessa ed è “caratterizzata da un vissuto di piacere impegnato”, che indubbiamente attiva molteplici processi, da cui consegue la sua centralità e l’importanza della predisposizione di spazi e tempi adeguati, del “rilancio” di quanto emerge osservando e cogliendo le opportunità di ampliamento di esperienze e conoscenze.

Rispetto alle finalità di cui si tratta nel paragrafo iniziale della sezione: ”La centralità della scuola dell’infanzia”, oltre ad essere espresse in modo più confuso, la progressiva maturazione dell’autonomia è descritta con i termini: autodirezione, autoregolazione, iniziativa personale e cura di sé, aspetti indubbiamente importanti, ma molto riduttivi se non connessi ad un contesto di relazioni; negli Orientamenti del ’91, a questo proposito si faceva riferimento alla capacità di orientarsi e fare delle scelte in contesti relazionali e normativi diversi, all’essere attivi e partecipi. Inoltre, la finalità riguardante il vivere le prime esperienze di cittadinanza in cui era ben descritto il processo graduale attraverso la scoperta degli altri e dei loro bisogni, attraverso la necessaria negoziazione e assunzione di regole condivise, ecc. è sostituita da un cenno all’educazione civica e alla costruzione di relazioni positive.  

Sparisce la parola cittadinanza e anche solo questo la dice lunga.

Scrive...

Antonella Bruzzo Docente di scuola dell'infanzia, Presidente del Cidi della Carnia.

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