Si sa da oltre un anno che il ministero competente sulla scuola, in Italia, ha messo mano alla revisione delle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, pubblicate nel 2012, aggiornate nel 2018 per evidenziare il senso del curricolo per la cittadinanza consapevole e solidale.
In questo ultimo periodo non si sono diramate bozze del nuovo documento, non ci sono state consultazioni, gruppi di studio, iniziative pubbliche di riflessione o analoghe pratiche che definiamo "scientifiche", prima che "democratiche".
Improvvisamente, il ministro rilascia un'intervista in cui chiarisce alcuni aspetti caratterizzanti questo documento (che, ripetiamo, ancora non è consultabile), lanciando una bomba mediatica che esplode suscitando reazioni critiche e prese di posizione da molte parti: accademia, associazioni, singol* insegnanti.
Le uniche realtà che non si rivoltano sono quelle dell'editoria scolastica, giacchè si rassicura subito che, una volta uscite, entreranno in vigore dall'anno scolastico 2026/2027. Se le scuole possono cambiare il sistema valutativo in corso d'anno, tanto è a costo zero, mai sia che a Gennaio, quando i libri per l'anno prossimo sono già pronti, si cambino contenuti e principi dei "programmi", rendendo inutile l'investimento delle case editrici.
La carica dirompente e divisiva delle dichiarazioni ministeriali detona subito perché il ministro ha fatto riferimento alle colonne tradizionalissime del sapere scolastico di base: la grammatica, la storia…
Niente di sconvolgente viene fuori su arte e immagine, ad esempio, ma neanche su matematica, o su scienze motorie. Qualche rapido accenno alla musica fin alla primaria, che c’è già, ma adesso di musica a scuola si occupa il maestro Uto Ughi, perché un testimonial fa sempre followers.
Chissà perché, questa concentrazione sulle discipline letterarie. Una delle ragioni, forse, sta nel sotterraneo immarcescibile pregiudizio secondo il quale il sapere si divide in due: l’umanistico, l’aristocratico eletto, e lo scientifico, il figlio cadetto, quello di second’ordine. Chi crede in questa divisione e in questa gerarchia trova nelle novità proclamate una grande possibilità di rivalsa dopo anni di dilagante digitale, fino all’emergere dell’astro delle STEM (o STEAM, fate voi).
E’ stato tirato fuori dalla naftalina persino il “latino alle medie”, nelle manovre di attacco alla scuola del curricolo e della cittadinanza. Nota bene: il “latino alle medie” se lo ricordano ancora in tanti, in Italia, paese di altissima età media. Se magari qualche sessantenne, in questi decenni, avesse subito un raffreddamento delle proprie passioni politiche, l’ircocervo scolastico ritorna, per suscitare nuove simpatie verso il caro estinto della scuola e la mano miracolosa che lo ha resuscitato.
La grammatica è la palestra di addestramento per introiettare fin dall’infanzia la cultura delle regole, così dice il titolare del ministero. A noi e alla nostra mentalità notoriamente indisciplinata, quando si parla di “regole” e di “grammatica” viene subito in mente un italiano di nome Filippo Tommaso Marinetti e… Zang Tumb Tumb! Salta in aria l’italianità grammaticalmente regolata.
Forse, però, sentir parlare di “regole” piace a chi borbotta contro questa gioventù debole e, per l’appunto, senza regole. Di certo basterà qualche lezione sul complemento di colpa o pena, per far desistere dal consumo di crack lo smidollato quindicenne.
C’era una volta Auschwitz… o anzi no: la risiera di San Sabba, che’ la “grande narrazione storica” senza “sovrastrutture ideologiche” deve privilegiare la storia d’Italia. Nessuna ideologia, nessuna idea: solo la favola delle magnifiche sorti e progressive di poeti, santi, navigatori. Maschi, bianchi, morti.
Basta parlare di “spirito critico”, una delle cose più fastidiose che la scuola del curricolo e della cittadinanza possa produrre. Tocca, poi, scomodare gli agenti per manganellare gli studenti che, dopo aver discusso di storia con poche date e molta complessità, finiscono a sfilare per la pace. Tocca pure chiamare i vigili urbani per placare gli automobilisti inferociti perché da qualche parte ragazze e ragazzi, chiedendo giustizia ambientale, si sdraiano per le strade, se a scuola qualche docente ha fatto conoscere Gandhi che, se non bastasse l’inattuale nonviolenza, era pure asiatico. Danilo Dolci era nonviolento, italiano, ma restiamo umili.
La scuola dell’eredità e della memoria, insiste l’intervistato tra una domanda e l’altra.
In una trasmissione televisiva ho sentito un giovane intrattenitore palermitano di ventinove anni dotato di ottima padronanza linguistica, nonostante sia cresciuto pure lui in quella mefitica scuola del curricolo e della cittadinanza; ha detto: “L’ossessione della memoria diventa il limite per l’immaginazione del futuro”.
E qui nessuno ha intenzione di farsi rubare né l’immaginazione né il futuro di libertà ed equità: troviamo, ciascuna e ciascuno, un buon motivo per credere nella scuola democratica e costituzionale, non foss’altro per quelle migliaia di minorenni che, mentre al ministero si scrivono “serietà” e si rilasciano interviste, in Palestina continuano a perdere il futuro.