No, non c’è un errore nel titolo: le "indicazioni nazionali" che, in bozza, sono state rilasciate l’11 Marzo, in realtà sono un modo per riaffermare la cultura dello "stato nazione". Dopo decenni di educazione all'inclusione nel senso più ampio e democratico, dopo le Indicazioni che, dal 2007 al 2025 hanno sostanziato una scuola dei diritti, del pluralismo, del sapere per la cittadinanza, adesso queste "Indicazioni" delineano un'idea di cultura scolastica che forma l'italiano, maschio, bianco, superiore per lavaggio del cervello.
In quel documento, reso noto “per il dibattito pubblico”, in realtà c’è molto di più che un’idea di scuola non condivisibile. In fondo, molte volte siamo stati messi difronte a norme che esprimevano idee e finalità contrarie all'orizzonte del pensiero democratico sull'istruzione pubblica. Dal caso più recente, l’introduzione delle 33 ore di educazione civica, con tanto di valutazione (l. 92 del 2019) alla più remota reintroduzione del voto numerico alla media (l. 169 del 2008), passando per molte altre leggere e profonde picconate. La scuola pubblica italiana ha visto molti interventi che hanno remato contro l’esplicitazione della sua funzione originaria, cioè quella di costruire una cittadinanza diffusa e inclusiva fatta di opportunità culturali di crescita umana.
Ogni intervento normativo su questa linea è stato recepito sostanzialmente in tre modi: chi lo ha accolto senza porsi alcun problema, chi lo ha accettato e salutato con favore, chi lo ha criticato, cercando di portare avanti un’idea di scuola coerente con il mandato costituzionale, con il suo senso Politico.
Il pericolo di questo documento del 2025 sta sia in ciò che è scritto, ma anche in ciò che non è scritto, che sta nella struttura e in alcune pieghe dei paragrafi. Ci limitiamo ad evidenziare alcuni aspetti macroscopici.
Partiamo dal paragrafo sulla professionalità docente, che parte subito alto, con il Maestro maiuscolo: "Troppo spesso si dimentica che un insegnante è magis, di più, e che è il volano del desiderio di apprendere di un allievo". Una gratificazione importante, per chi è sensibile ai complimenti gratuiti. Letteralmente, gratuiti: dove sono gli aumenti di stipendio? La formazione obbligatoria e retribuita? La stabilizzazione dei precari? Solo con questi assetti professionali l'insegnante è un punto di riferimento culturale per la società.
Questa certa idea del Maestro come pifferaio magico che incanta e ammaestra, solletica la vanità di coloro che “non mi ascoltano”, “non vogliono fare mai niente”… quelli che stanno attaccati alla cattedra come i naufraghi all'isola, quel tavolo che diventa simbolo di potere e di dissimmetria tra un superiore e una massa di inferiori. Il Novecento pedagogico fatto di emancipazione, cooperazione, contrasto all’oppressione è stato spazzato via insieme a tutte le sperimentazioni e le pratiche quotidiane di chi, sempre e comunque, vive la classe come una comunità ermeneutica, non come il palcoscenico di un teatrante fascinoso che si fa chiamare Maestro.
A questo paragrafo corrisponde quello su "Libertà, cura di sé ed etica del rispetto", un vero capolavoro di mascheramento: la pedagogia dell'ordine e della sottomissione all'auctoritas data per acquisita come dato psicologico, con l’aggravante del fingersi progressisti. Si legge: il "principio pedagogico dell’autogoverno, di matrice attivistica, che sottende gli approcci didattici contemporanei"; come a dire: vedete? La pensiamo come voi! Abbiamo letto gli stessi libri!
Il concetto di libertà, che, se è autentico, passa attraverso il sapere e si realizza nell'essere libero di conoscere ed eventualmente criticare, è subdolamente sostituito con il concetto di libertà… di non essere libero. Pardon: "Libertà di essere autogovernato". Caro alunno, ti renderemo libero di essere ubbidiente, di non creare problemi, di non manifestare critiche o, soprattutto, disagi o difficoltà di alcun genere.
Ecco uno dei gravissimi sottintesi di queste indicazioni: come sono i bambini e le bambine, oggi? I/le preadolescenti? Come pensano? Come comunicano tra di loro? Che tipo di adulte e adulti hanno intorno? Nei due paragrafi che abbiamo citato in precedenza c’è un pesantissimo, ingiusto pregiudizio su di loro. La loro dimensione presente è del tutto ignorata, le loro difficoltà derubricate a questioni di "law and order" da curare con dosi massicce di grammatica.
Non dobbiamo permettere che il principio e il fine del nostro lavoro, le persone nelle classi e il loro diritto all’apprendimento, venga sacrificato sull’altare della vanità del professionista che, per anni, essendo stato squalificato dalle politiche scellerate dei governi, e anche un po' dalla sua ignavia, adesso viene ricompensato con qualche maiuscola.
Altro aspetto a cui prestare attenzione, secondo noi, sta nelle articolazioni disciplinari, a cominciare da "I suggerimenti metodologici per i docenti". La metodologia non preesiste al curricolo, ma coesiste con l'idea di sapere, di cultura per la cittadinanza, e si realizza in conseguenza di scelte professionali conseguenti alla fisionomia della classe nel suo insieme e nelle sue individualità, dovute allo scambio professionale, al contesto in cui la scuola insiste, alla ricerca didattica. Si configura, quindi, una pesante violazione della libertà d'insegnamento, che si esercita come progettualità esperta, frutto di ricerca e condivisione.
Stessa violazione della fisionomia professionale si configura quando si leggono i "suggerimenti di possibili ibridazioni tecnologiche" e "l'esempio di modulo interdisciplinare". Per ogni disciplina, l'inserimento di questi "box" risponde all'obiettivo di far sentire la voce suadente della semplificazione e del "già pronto": la tutela ministeriale allunga le sue ombre fino alle classi. Non c'è alcuna discussione sulla "interdisciplinarietà", che cosa è e quando esiste, perchè si può praticare... L'ammiccamento alla tecnologia, inoltre, sembra un modo per far passare come inevitabile il ricorso ai giocattoli acquistati o acquistabili dalle scuole.
Dopo il divieto dell’uso dei cellulari in classe, che non si dica che è in corso una retromarcia sul digitale!
Altra osservazione può essere fatta riguardo l'elenco degli argomenti per ogni disciplina e per i vari ordini di scuola. Qui bisogna dire, onestamente, che la commissione ha messo poca originalità, costruendo "programmi" abbastanza banali. Persino alcuni libri di testo, che rappresentano, ben prima delle Indicazioni, la roccaforte del sapere scolastico trasmissivo e lineare, sono più aperti e flessibili. E' questo il momento, appunto, di dire che le Nazional-Indicazioni sono l'emersione di pratiche mai veramente morte, nelle scuole del regno, che si incarnano nella necessità incoercibile di "spiegare Dante in seconda", con la complicità delle antologie, sempre pronte ad assecondare quel bisogno e le Vestali della cultura letteraria.
Infine, il maschile sovraesteso, a cui chi scrive si è adeguata, nelle parti relative al documento nuovo. Anche nelle Indicazioni del 2012 esisteva solo "l'alunno", ma nel frattempo sono passati 13 anni di vita democratica, di educazione alla parità, di riflessioni sul valore curativo delle parole.
Su cui, come su tutto lo sviluppo della cultura per la scuola democratica, la ricerca accademica e la sperimentazione nelle classi, si passa un bel colpo di spugna.
L’operazione generale ci sembra chiara: far perdere il contatto tra la scuola e la realtà per privarla della responsabilità cruciale di costruire non “il desiderio di apprendere”, ma il “diritto di apprendere” e il bisogno di essere cittadine e cittadini.
La delegittimazione sociale e culturale di chi insegna rischia di essere ulteriormente accelerata, il dialogo intergenerazionale compromesso.
Ma noi restiamo qua, pronte e pronti a continuare con le parole e con i fatti la difesa della scuola “per” la libertà (vera, e consapevole), l’unica scuola qualificata ed efficace, per un'umanità aperta e profondamente inclusiva.