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opinioni a confronto

30/03/2018

La casa del passato

di Giuseppe Bagni

Che delusione e quanta preoccupazione se anche i migliori intellettuali perdono la bussola!
Si resta profondamente disorientati leggendo gli attacchi smisurati contro la didattica delle discipline, seguiti a quelli che hanno contrapposto competenze e conoscenze.
Intendiamoci, è giusto e necessario rispondere alla grande ipocrisia che produce una pseudo pedagogia ad hoc per coprire l'ideologia sottesa a molte delle recenti novità introdotte nella scuola. Non può passare sotto silenzio infatti, un'idea di qualità della scuola misurata col metro della sua adeguatezza a quelle che si ritengono le emergenze del presente. L'enfatizzazione del "valore d'uso" del sapere interpretato come garanzia di ingresso trionfale nel mercato del lavoro; il conseguente uso del concetto di competenza, non come livello di conoscenza più elevato perché capace di trasformare le conoscenze acquisite in comportamenti e atteggiamenti sapienti, ma come scelta di quelle conoscenze che si ritiene siano di spendibilità immediata. Cioè quelle che dovrebbero garantire l'"occupabilità" per il domani stesso.

È necessario porre un argine all'abuso di tecnicismi e al proliferare degli impegni burocratici che snaturano il lavoro dei docenti, ma ci sorprende la superficialità con cui si guarda la mano invece del sasso che essa nasconde.
Così facendo si finisce per rientrare nel solco delle pressioni che hanno spinto il governo a fare marcia indietro tutta sulla scelta che sembrava già adottata di abolire il voto nel primo ciclo, ripristinando la visione "terapeutica" della bocciatura fin dalla scuola dell'obbligo e del "quattro" in prima elementare. Ma questa volta non è la solita voce proveniente  dell'area più conservatrice: l'accanimento contro qualunque tentativo di cambiamento della scuola sta diventando pericolosamente bipartisan.
Questo avvilisce.

Evidentemente nessuno sente il dovere, prima di parlare, di guardare che cosa succede nella scuola reale. Si accorgerebbe che ci sono tanti insegnanti che guardano alle "didattiche" come a uno strumento fondamentale per spezzare l'unica "catena del sapere" che nel nostro paese non cede, cioè quella che riserva il sapere più alto ai soliti predestinati.
È sorprendente che si possa pensare che l'attenzione alla didattica sminuisca il valore del sapere, quando il suo obiettivo è proprio quello  di far apprezzare quel sapere come bene comune per tutti. Questo dovrebbe rendere inimmaginabile per chiunque che si possa insegnare storia o matematica senza conoscerle a fondo o pensare la didattica come fine invece che mezzo. Ma trasmettere un valore significa farlo sentire tale anche a coloro a cui è destinato. Il passaggio di testimone deve trovare una mano aperta pronta a riceverlo, e perché questo avvenga non ci sono che  il dialogo, il confronto, la testimonianza. Cose che hanno senso solo all'interno di una relazione nella quale spetta agli insegnanti scegliere le conoscenze adatte a ogni fase di crescita, perché siano apprese davvero, cioè assimilate in profondo dagli allievi e quindi "agite".

Noi chiamiamo competenza questo sapere che diventa sostanza nei nostri allievi; chiamiamo didattica la scelta dei contenuti, dei metodi e del vocabolario adatti a stare dentro la relazione educativa; chiamiamo  curricolo l'insieme dei sentieri tracciati perché ciascuno trovi il più adatto per giungere alla stessa vetta.
Vogliamo chiamarli con altro nome? Facciamolo, non ci interessano le definizioni. Attacchiamone l'uso ipocrita, questo sì, ma rendiamoci conto che c'è un mondo di insegnanti, associazioni e ricercatori che li hanno accolti perché hanno sentito che potevano interpretarli in maniera utile per un cambiamento necessario. Un tentativo importante, che dovrebbe essere più conosciuto, apprezzato e sostenuto dal mondo accademico.

Invece dilagano i giudizi approssimativi: la scuola non insegna più nulla; gli studenti conoscono sempre meno la nostra lingua; la scuola dei tempi passati era di gran lunga migliore.
Un semplicismo che disorienta. La nostra scuola sa insegnare ancora conoscenze, ma, oggi come allora, solo agli "adatti" alla scuola. Gli altri li categorizza in vari modi, li confina in altre scuole quando va bene, quando va male li perde.
Ed è probabile che gli studenti abbiano un linguaggio sempre più povero, ma c'è un mondo fuori scuola che ci mette tanto del suo. E se commettono madornali errori di grammatica non è perché non viene più insegnata, ma perché come si insegna ancora, oggi non serve.

Invece sulla scuola che era migliore nei tempi passati dobbiamo chiarire alcune cose.
Quella scuola era "migliore" solo per gli studenti "migliori", e quei tempi passati non lo sono poi tanto.
In effetti, se potesse essere permesso di ripetere un’esperienza di scuola a qualcuno che ne è uscito mettiamo cinquant’anni fa, rimarrebbe probabilmente molto sorpreso nel trovarla, nella sostanza, poco diversa da allora.
Al posto della lavagna forse una Lim; i libri di testo con più colori e sulla seconda di copertina il "Menù delle competenze", ma nella stragrande maggioranza dei casi sarebbe chiamato a un tipo di studio "da pagina a pagina" che gli farebbe credere di essere tornato giovane.
Ma certamente non ci troverebbe studenti uguali allo studente che fu. Oggi in classe ci sono alunni totalmente diversi che apprendono in modo diverso. È questo cambiamento che chiede un cambiamento speculare della scuola, senza passi indietro sulla qualità dell'istruzione, ma con molti passi avanti sul "come" intercettare tutte le intelligenze per dare la scintilla che accende dentro di loro il motore dell'apprendimento.
Sono adolescenti sconosciuti da guidare verso un futuro altrettanto sconosciuto. Una bella impresa, che non ammette la scorciatoia di farli direttamente responsabili dell'incertezza a cui oggi li destiniamo.

Ecco forse un altro cambiamento significativo: noi scrivevamo all’ingresso della scuola "Perdete ogni speranza o voi che entrate". Oggi dovrebbero scrivere fuori dalla porta "Perdete ogni speranza o voi che uscite". Una sensazione che pesa sulla scuola in quanto dovrebbe essere per tutti la "casa del futuro".
Ma di questo cambiamento delle attese nessuno scrive, forse perché per troppi la scuola resta la “casa del passato”.

Scrive...

Giuseppe Bagni Insegnante di Chimica negli Istituti secondari, già Presidente nazionale del Cidi, già membro eletto del CSPI.

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