Nonostante i trent'anni e più da prof di lettere, provo ancora imbarazzo quando devo valutare il tema. Sì, certo, ovvio: si guarda alla qualità della lingua e alla capacità di argomentare, si apprezza lo studente che sa usare le proprie conoscenze per comprendere il mondo; eppure, si tratta di dare un voto non a quanto si è spiegato, ma – innegabilmente – alla persona, alla sua maturità intellettuale, alla sua sensibilità. Un voto che nonostante tutto rimane incerto, discutibile; l'affanno certosino con cui le griglie di valutazione sezionano e misurano le componenti del testo mostra soltanto quanto sia difficile definirne il valore e catturarne la qualità.
Nel caso dell'Esame di Stato, questo voto tanto volatile ha un peso cospicuo, perché rappresenta il venti per cento del totale. Il voto di maturità si forma secondo modalità molto rigide (che non commento). Con il meccanismo dei crediti si arriva al massimo a quaranta punti; i sessanta punti dell'esame sono divisi fra le due prove scritte e l'orale (venti punti a prova). Vale la pena notare come la ripartizione sia stata assai variabile nel corso degli anni: fino al 2018, per esempio, la prova di italiano valeva soltanto quindici punti e l'orale pesava esattamente il doppio.
Forse per questo, le tracce di quest'anno sono più clementi che in passato. La reazione unanime degli studenti è stata di sollievo: 'si può fare!'. Li ho visti sorridere increduli e anche leggermente beffardi (sono membro interno, li conosco bene), soprattutto perché Ungaretti era ampiamente previsto – un mio allievo assai matematico aveva individuato un algoritmo, 'prof esce ogni sei anni!' -, che io avevo negato con forza, scettica e superiore, 'ma no, cosa andate a pensare, figuriamoci, l'algoritmo!!'. Aveva ragione lui.
Tracce A
La prima proposta di analisi del testo era oggettivamente facile. Un testo non sempre antologizzato dai manuali, ma tipico della maniera del primo Ungaretti, quello più scolastico, perfetto per chi avesse voluto dimostrare di aver studiato bene. La parola essenziale, gli spazi bianchi, i versicoli, le analogie; la guerra, le macerie, Ungaretti/uomo di pena: c'era tutto quello che serve. L'approfondimento verteva naturalmente sul tema della guerra e della sofferenza umana. Con una novità amara: perché fino a due anni fa, lo studente tipo avrebbe potuto parlare con serena diligenza della Grande Guerra, o di resistenza, di shoah, di trincee e bombe atomiche; ora invece l'attualità impone tutt'altro tipo di riflessione, più bruciante e urgente. Ci sono studiosi che sui quotidiani deplorano il moralismo implicito in tracce come queste, che di fatto chiedono agli studenti di lamentare l'orrore della guerra. D'accordo: il rischio della banalità è ineludibile. Ma se la scuola deve davvero formare il cittadino, forse qualche frase fatta su Hiroshima è preferibile all'indifferenza al dolore umano.
La traccia su Pirandello invece era più insidiosa. Da un romanzo non canonico, I quaderni di Serafino Gubbio operatore, è stata scelta una pagina molto interessante e assai poco pirandelliana, quindi assai meno maneggevole dallo studente tipo. Nessuna possibilità di imbastire sbrodolature su vita, forma e maschere: qui Serafino Gubbio ci arringa sui pericoli della tecnica. Eccolo qui il tema sull'Intelligenza Artificiale che gli studenti tanto attendevano, acquattato nelle pieghe della traccia di letteratura. Bisognava saperlo cogliere: in molti l'hanno riconosciuto e vi si sono immersi con gratitudine.
Tracce B
Le tracce del tipo B, che propongono testi che possono spaziare in vari campi (scientifico, tecnico, storico-politico), con domande di comprensione del testo e la richiesta di produzione autonoma, sono più varie negli intenti e negli esiti.
La prima, sulla guerra fredda, tratta da un pagina dello storico Giuseppe Galasso, era limpidissima sia nella formulazione, sia nelle proposte di svolgimento. La deterrenza atomica come paradossale garanzia di pace; la proliferazione delle armi atomiche in mano a poteri non democratici, meno soggetti al controllo pubblico; la questione della responsabilità dei potenti. Attualissimo; poteva essere svolto in molte direzioni, sia più propriamente storiche, sfruttando le conoscenze scolastiche (ma non sempre i docenti di storia riescono a trattare a fondo il secondo Novecento), sia in direzione dell'attualità più problematica, richiamando per esempio l'inedita disinvoltura con cui i leader politici di generazioni che non hanno più esperienza diretta della guerra minacciano l'uso delle armi nucleari; o anche riflettendo sulla dispersione dell'arsenale atomico sovietico nel disordine multipolare degli anni Novanta, o sulla attuale corsa agli armamenti. Assai più che con altre tracce, lo studente deve qui attingere a una conoscenza del presente che non può essergli offerta esclusivamente dalla scuola, ma che deve nascere anche dai suoi interessi e dalle sue letture; deve dimostrare di essere un diciannovenne che non senza angoscia si interroga sul mondo in cui vive e sul futuro che lo attende. Non è un caso che questo tipo di tema sia stato scelto da molti degli studenti più brillanti, che per curiosità intellettuale leggono saggi e romanzi, consultano siti di informazione per conto proprio e spesso hanno interessi in senso lato politici.
Nella seconda traccia, tratta da una rivista giuridica, Maria Agostina Cabiddu (fra i 108 costituzionalisti firmatari del recentissimo appello contro il premierato) commenta gli articoli della Costituzione dedicati alla tutela del paesaggio italiano e alla promozione dello sviluppo culturale e scientifico. Mette in rilievo come questi due elementi (la bellezza e lo sviluppo) siano stati pensati dai Costituenti come un unico concetto indissolubile, nel quale trova fondamento e dal quale trae forza l'identità nazionale. Fa entrare in gioco molte questioni capitali: la qualità dello sviluppo, l'appartenenza alla comunità nazionale, una definizione più ampia del diritto di cittadinanza. Forse troppi spunti tutti insieme; una mescolanza che né le domande di comprensione del testo né soprattutto le richieste relative alla produzione autonoma, decisamente troppo generiche, aiutavano a scomporre. E dire che a uno studente preparato le occasioni per sviluppare un discorso complesso non sarebbero certo mancate: sia problematizzando il concetto di sviluppo – e qui, da Pasolini ai Friday for Future, molto si sarebbe potuto dire; sia riflettendo sul concetto di cittadinanza e di identità nazionale, oggi più che mai bisognosi di revisione e di ridefinizione, tanto più urgenti quanto più si addensano le ombre della chiusura etnica e nazionalista anche a livello europeo.
La traccia sul silenzio, tratta da un articolo di Nicoletta Polla-Mattiot, era originale e non facile. Vi si potrebbe leggere in filigrana un richiamo al tema dell'angoscia per il nostro futuro, già presente nelle altre proposte (la guerra, l'atomica, la tecnica fuori controllo...). E' infatti una riflessione sul silenzio come spazio - mentale prima che acustico - necessario al riconoscimento dell'Altro; e, in senso più ampio, come regola democratica per eccellenza, perché il silenzio è la condizione necessaria al dialogo. Occorre tacere per far posto all'Altro; non sovrastare, non censurare, non imporre la propria voce; ascoltarlo. Il brano, ricco di suggestioni, offriva possibilità di svolgimento in moltissime direzioni, permettendo di sfruttare la ricca serie di filosofi e poeti che hanno lavorato sul potere della parola e sulla tragedia della sua negazione o della sua impossibilità; poteva anche essere volto verso una dimensione intima e psicologica, oppure prendere la direzione, forse più adulta, della riflessione politica. Proprio per la potenziale ricchezza delle sue diramazioni, è stata scelta soprattutto dagli studenti più affascinati dal sapere umanistico.
Tracce C
Le tracce di questo tipo offrono testi non specialistici da commentare, senza un apparato preliminare di domande di comprensione; gli argomenti sono spesso legati all'attualità.
La prima era piuttosto stimolante: un brano di Rita Levi Montalcini che elogia l'imperfezione come strumento di conoscenza. Si capisce bene perché sia stata prediletta dagli studenti più inclini alla ricerca scientifica e prossimi a iscriversi a Medicina o a Biologia: costruendo paradossi interessanti – la gioia dell'imperfezione, l'imprudenza e una piccola dose di cecità intellettuale come punti di forza, perché sono espressione della nostra specificità intellettuale, quell'essenza umana che è in tutti noi e che ci permette di scoprire mondi – offriva agli studenti l'occasione di ragionare sul metodo scientifico in chiave antidogmatica. Un futuro biologo o genetista o chimico avrebbe potuto, in questo tema, far brillare nella discussione le proprie conoscenze filosofiche e scientifiche, ma anche sentirsi autorizzato ad abbandonarsi almeno un po' ai propri sogni e progetti di ricerca.
La seconda traccia, che ha attirato frotte di studenti, chiedeva invece di interrogarsi sulle modalità con cui questa generazione costruisce un'immagine pubblica di sé. Il testo di partenza in realtà era un po' datato (2014, dieci anni che in questo campo pesano quasi come un secolo), ma loro non ci hanno fatto caso, perché l'occasione di parlare di sé era troppo ghiotta. Maurizio Caminito, che molto si intende di bibloteche (ha diretto quelle romane) e di rete internet, propone nel suo articolo un paragone fra la segretezza del diario intimo e il clamoroso esibizionismo del diario pubblico; porta come esempio nientemeno che Anna Frank, ma soltanto per citarne una pagina meno nota – la sua consapevolezza di essere, nel diario, diversa, più grave e seria, in una sorta di voluto sdoppiamento dal personaggio recitato in famiglia. Probabilmente, gli studenti avranno tralasciato l'analisi del diario segreto, di cui non hanno alcuna esperienza diretta, per concentrarsi esclusivamente sul presente, dominato dai social, di cui sono assoluti protagonisti. Non importa: anche così, avranno comunque rispettato il fulcro di questa traccia, che riguarda appunto la questione della scissione fra dimensione pubblica e privata, fra l'esibizione di un sé spasmodicamente conformista e la propria verità esistenziale. Potrebbe essere il tema più interessante da leggere, perché nonostante i vincoli rigidissimi posti dal contesto (l'esame, la valutazione, la correzione collegiale da parte di estranei) è possibile che emerga da quelle pagine, mischiato fra i doverosi conformismi, qualche bagliore della loro verità autentica, quella che raramente noi insegnanti riusciamo a cogliere.