Delle varie tracce che sono state fornite alle studentesse e agli studenti impegnati nello svolgimento della prima prova dell’esame di Stato, quelle che hanno attirato di più la mia attenzione rientrano nelle tipologie B e C. Perché? Sicuramente per le tematiche che erano lì oggetto di riflessione , ma soprattutto per alcuni interrogativi di natura didattica che quelle tracce mi hanno suggerito. Partendo dal testo argomentativo, mi sono chiesta: si fa abbastanza, generalmente, per abituare ragazze e ragazzi a strutturare e saper realizzare elaborati di questo tipo? Per tentare una risposta ho preso in esame , in primo luogo, la traccia B3, un testo tratto da “Riscoprire il silenzio. Arte, musica, poesia, natura fra ascolto e comunicazione” di Nicoletta Polla-Mattiot. Gli spunti di riflessione offerti dal brano proposto sono molteplici, a partire dall’affermazione iniziale della traccia:
“Chi sceglie di usare delle parole fa un atto volontario e si assume dunque tutta la responsabilità di rompere il silenzio. [...] Si parla per impostare uno scambio”.
Pensando a quanto la cosiddetta generazione Z e tutti noi, in fondo, siamo immersi nei molteplici suoni, rumori e discorsi del mondo globale, che i media riproducono continuamente, il carattere provocatorio e filosofico di questo titolo ha finito per intrigarmi. L’Autrice fa riferimento a quel processo storico- antropologico in cui il superamento del silenzio va inteso come progressivo passaggio da uno stato riflessivo ad uno dialogico. Quest’ultimo è visto come frutto di una decisione che impone il farsi sentire, il parlare, il partecipare alla vita della comunità. Mi è parsa, questa, una paradigmatica riflessione di carattere socio-politico, ed insieme la rivelazione di una condizione esistenziale molto diffusa. In tutte e due tali accezioni essa potrebbe costituire l’input per la costruzione di un percorso didattico, valido sia per l’educazione alla cittadinanza che per la ricostruzione storico-politica della nascita del logos (parola, discorso) nella cultura occidentale. Un passaggio, una transizione che, se affrontata a scuola in un arco di tempo adeguato, sufficientemente lungo, rappresenterebbe un filo rosso nella progettazione di un curricolo verticale, dalla scuola dell’obbligo fino al termine della secondaria di II grado. Un iter di questo tipo sarebbe un valido contributo all’impresa di dare senso allo stare a scuola e, se perseguito coerentemente, permetterebbe a studentesse e studenti di affrontare agevolmente lo svolgimento di un’argomentazione come quella richiesta dalla citata traccia B3.
A mio avviso, tutte le tracce proposte quest’anno per la prima prova non erano scontate o facili, come qualcuno ha sostenuto nei media o sui social. Per far sì, però, che gli elaborati da esse ispirati potessero avere i requisiti dell’originalità e della coerenza argomentativa, evitando il rischio di ridursi a testi schematici e ripetitivi, privi di un approccio critico, essi avrebbero dovuto avere alle spalle percorsi didattici e formativi capaci anche, in qualche misura, di abbracciare trasversalmente più discipline. L’auspicio, naturalmente, è che queste condizioni si siano realizzate nel migliore dei modi possibile, in questa sessione d’esame.
Ho trovato molto interessante anche la traccia C1, rappresentata da un testo di Rita Levi Montalcini, “Elogio dell’imperfezione” (2017). In quest’opera la Scienziata mette in stretta relazione il tema del progresso con quello dell’innata, inesauribile curiosità dimostrata dal genere umano nella sua lunga storia. A quest’affermazione se ne aggiunge un’altra, suscettibile di argomentazioni e giudizi di taglio diverso, cioè che questa ricerca, coronata dalle scoperte in cui gli scienziati si sono “ imbattuti”, è in grado di generare felicità. Credo che discutere criticamente di come l’esercizio del pensiero creativo, in tutti i campi, possa dare felicità, non costituisca un compito facile per ragazze e ragazzi di quella fascia d’età. Non è facile, inoltre, cimentarsi con il concetto di imperfezione, a cui la Scienziata fa riferimento come fonte d’ispirazione per il suo percorso di ricerca. Il suggerimento fornito dagli autori della traccia ministeriale, cioè di considerare l’imperfezione come valore, potrebbe aprire la strada a fraintendimenti di carattere etico-religioso che non possono attribuirsi al testo. L’intento neoilluministico di Rita Levi Montalcini è piuttosto quello di esaltare i rischi propri della ricerca scientifica nella quale, per tentativi ed errori e con totale dedizione, si arriva a conseguire importanti risultati. Nonostante la difficoltà dei concetti espressi, mi auguro che molti studenti si siano cimentati nell’interpretazione di un testo che implicava riferimenti ad alcune attuali teorie sulla mente. È apprezzabile, infine, che venga acceso un focus sulla figura di Rita Levi Montalcini, a cui si deve ammirazione, oltre che per il suo genio, per la sua orgogliosa appartenenza al genere femminile e per la libertà sempre dimostrata nelle scelte personali. Caratteristiche queste che non ricevono la dovuta attenzione a scuola, dove il pensiero femminile appare piuttosto sottovalutato, per non dire ignorato, tra i filoni filosofici e artistico-culturali del ‘900.